L’entusiasmo è alle stelle a Baltimore

La vendetta, si dice, è un piatto che va servito freddo: sedici anni, specialmente se si parla di baseball, credo sia un lasco di tempo sufficiente per poter raffreddare anche i propositi di vendetta più bollenti. Un piccolo indizio per capire di cosa sto parlando: Jeffrey Maier.

Per chi non lo sapesse, il piccolo Maier, che all’epoca del “fattaccio” aveva appena 12 anni, è, dopo Steve Bartman, il più famoso tifoso di baseball degli ultimi anni; almeno nella zona attorno allo stato del Maryland.

È il 9 ottobre 1996, allo Yankee Stadium va in scena gara-1 dell’ALCS tra i padroni di casa, futuri campioni MLB, e i Baltimore Orioles; c’è Andy Pettitte sul monte di lancio, Derek Jeter, ovviamente SS, batte come n° 9 e in panchina siedono Joe Girardi e Mariano Rivera. Sembra impossibile che siano passati così tanti anni, ma le similitudini con l’attualità terminano qui.

Pettitte, per una volta, non tiene fede alla sua fama di vincente nella post season, e quando scende dopo sette riprese i padroni di casa sono sotto di due, 2-4; nella parte bassa del settimo Darryl Strawberry conquista una BB a basi piene che riduce il gap ma, a sei out dalla fine, New York sta ancora inseguendo.

Ma, la ripresa successiva, il colpo di scena: dopo l’out di Jim Leyritz al piatto si presenta Jeter, 2/3 fino a quel momento: la fastball di Armando Benitez resta alta al piatto, Jeter la colpisce duramente e la fa volare profonda verso il warning track dell’esterno destro dove Tony Tarasco, appena entrato come cambio difensivo, si prepara a raccoglierla. Il guanto di Maier, che si protende ben oltre le barriere, però, devia la pallina oltre le recinzioni e Rich Garcia, il right field umpire, assegna erroneamente il fuoricampo che vale il pareggio.

Inutile discutere ulteriormente, le immagini televisive sono chiare e a poco serve l’ammissione dello stesso Garcia al termine del match dell’errore commesso: Bernie Williams, nella parte bassa dell’undicesimo, batte il walk-off HR che regala il successo agli Yankees.

Questo il lungo preludio, lungo e probabilmente inutile: sia perché è errato dare troppa importanza ad un episodio controverso ma che ha inciso poco nell’economia di una serie chiusa in appena 5 gare. Sia perché, tornando all’attualità, alla chiusura della Regular Season manca ancora un mese e la classifica che vede gli Orioles al primo posto ad inizio settembre, prima volta dal 1997, potrebbe variare sensibilmente nelle prossime settimane.

Impossibile, però, far finta di niente osservando la classifica dell’A.L. East: dopo essersi assicurati che non si tratta del solito miraggio di aprile, restano i freddi numeri, che sorprendentemente parlano di Baltimore come autorevole candidata ai play-off, magari proprio a discapito di New York.

Eppure, sono sempre i numeri – dopo aver guardato oltre al semplice recordo W-L – a raccontare un’altra storia, una storia che minimizza forse le speranze della squadra, ma non può impedire ai tifosi più romantici di sognare.

Baltimore – nel momento in cui scrivo – vanta un record di 76-60, il terzo migliore in A.L. ad appena una gara di distacco da New York e con una serie tra le due squadre che animerà il week-end; ovviamente l’esito di questi quattro confronti sarà tutto fuorché determinante, come qualsiasi altra singola serie nell’arco di 162 partite di regular season. Per chi crede nel momentum, negli intangibili e nelle big series, i prossimi giorni saranno decisamente emozionanti.

Camden Yard è pronto ad ospitare una gara di play-off

Ma com’è possibile che gli Orioles, che i più ottimisti vedevano al massimo come quarta forza della division ad inizio anno, siano arrivati a settembre a giocarsi importanti chance di post-season?

Lasciando da parte i discorsi “psicologici”credo di poter individuare nel bullpen e in una discreta dose di fortuna le due risposte.

A livello offensivo il team non sta facendo nulla di straordinario, nella media MLB o poco sotto, e anzi rispetto allo scorso campionato le runs segnate sono in leggero calo: salvo grossi stravolgimenti, è lecito attendersi che la regular season si chiuda con 695/700 runs rispetto alle 708 del 2011. Ci sono, è vero, 170 HR stagionali – quinto miglior team in MLB – ma i tantissimi SO subiti, e con Mark Reynolds in squadra non poteva essere diversamente, ne limitano in parte gli effetti.

Contrariamente alla moda degli ultimi anni, non bisogna rivolgersi alla difesa per sperare di trovare il motivo di un così netto miglioramento: DRS e UZR parlano di una squadra ben sotto media, una delle peggiori in tutta la lega.

Matt Wieters e JJ Hardy, tenendo fede alla loro nomea, si stanno confermando eccellenti difensori, il problema è che i compagni – in particolare Jones, Markakis, Reynolds e Betemit – stanno offrendo un pessimo contributo con il guanto. Particolarmente negativo l’apporto in difesa di Adam Jones, con un range insufficiente per un CF.

A completare il quadro offensivo, con 44 SB il team è miseramente ultimo nella classifica delle basi rubate.

Non resta che spostarsi sul monte di lancio, per cercare di trovare i motivi di questo miglioramento.
Non più tardi di tre anni fa la farm di Baltimore poteva contare su un quartetto di giovani promesse per la propria rotazione: Jake Arrieta, Brian Matusz, Chris Tillman e Zach Britton, per vari motivi – anche di salute – non hanno tenuto fede alle aspettative, anche se gli ultimi due in questa stagione hanno fatto intravedere sprazzi del loro talento.

Per costruire una rotazione almeno decente la dirigenza è stata perciò costretta a muoversi sul mercato e sono state proprio le firme di Wei-Yin Chen e Jason Hammel, oltre all’arrivo di Miguel Gonzalez, a far fare il salto di qualità al reparto. I recenti arrivi di Randy Wolf e Joe Saunders difficilmente avranno un impatto significativo, ma almeno garantiscono un’ottima profondità.

L’ex-Rockies, in particolare, sta disputando un’ottima stagione e il suo recentissimo ritorno – dopo quasi due mesi di assenza – potrebbe dare nuova linfa ad un reparto che è ovviamente migliorato rispetto allo scorso anno, ma ancora non sta dominando.

L’altro “asso” della rotazione è il pitcher taiwanese Wei-Yin Chen – un sopravvissuto della TJS – che quest’inverno ha ricevuto molta meno pubblicità rispetto a Yu Darvish, visto che essendo free agent non ha causato un’asta milionaria tra le varie squadre.

Pur senza dominare, non ha patito il cambio di lega, lanciando strike (66%) e limitando le BB (2.8 BB/9); l’unica pecca sono i tanti HR concessi – 22 in 163.2 innings – ma lanciando nell’AL East non è un risultato che sorprende.

Chris Tillman, pur con qualche normale passaggio a vuoto, negli ultimi due mesi ha garantito un discreto contributo anche se con lui sul monte il big inning è sempre dietro l’angolo; Britton è entrato in rotazione qualche giorno dopo il compagno e dopo un inizio stentato – soprattutto a causa delle troppo BB – sembra essersi assestato, specialmente nelle ultime due uscite. I free pass (4.0 BB/9) rimangono troppi ma l’aumento dei K è incoraggiante, per un pitcher famoso per essere un groundballer.

Jim Johnson, secondo in MLB con 41 saves

All’appello, quindi, non manca che il bullpen e – ovviamente – il quesito iniziale ora trova una risposta: la cosa curiosa che immediatamente salta all’occhio è che nel complesso le cifre globali mostrano un reparto nella media: la FIP (3.80) è la 17sima in MLB, il rapporto K/BB di 2.45 vale il quindicesimo posto. Un reparto nella media, quindi?

Non certamente in termini di ERA, che a quota 3.07 rappresenta il sesto miglior risultato tra tutte le 30 squadre: con l’aiuto di una BAbip relativamente bassa (.278) il reparto sta sostanzialmente dimostrando uno dei “dogmi” della sabermetrica, ossia la volatilità dei rilievi. A tal proposito è utile rilevare come le cose siano cambiate in 12 mesi: nel 2011 la xFIP di 3.95 si è tradotta in un’ERA di 4.18. Quest’anno si è passati, rispettivamente, a 4.03 e 3.07.

Sarebbe però ingiusto parlare solamente in termini di fortuna: se è vero, infatti, che le BAbip stagionali dei cinque rilievi più utilizzati – Johnson, Ayala, Strop, O’Day, Patton – sono decisamente basse, è altrettanto innegabile che tutti, con l’eccezione di Pedro Strop, sono riusciti a limitare alla grande le BB.

Mancando una macchina da SO, limitare le walks diventa una priorità e a Baltimore il messaggio sembra essere stato recepito benissimo: diventa possibile, allora, che 4/5 del reparto viaggi in stagione con un rapporto BB/K di almeno 3.00, un risultato notevole considerando che nessuna viaggia ad una media di uno SO a inning.

E mentre i partenti faticano a limitare i fuoricampo, Jim Johnson e soci vantano appena 19 HR in 288.1 innings di lavoro; lo stesso Johnson – 41 salvezze su 44 – dall’alto dei suoi 36 K in 57.1 IP è, numeri alla mano, il peggiore del reparto e nonostante ciò vanta un’ERA+ di 148 e una partecipazione all’ASG.

Dopo aver capito come gli Orioles siano arrivati a giocarsi la vittoria della division fino a settembre resta da capire quali siano le loro reali possibilità di spuntarla: la logica suggerisce che 17 gare sopra quota .500 non sono sostenibili da un run differential negativo, ma a questo punto della stagione, con appena 25 gare da giocare, è altresì difficile prevedere un crollo clamoroso. Il problema di Baltimore è che vista la situazione di classifica ravvicinata basta anche una leggera normalizzazione per far saltare in aria i sogni di gloria; lo stesso discorso vale ovviamente anche per gli avversari, New York in primis.

Chissà se dopo 16 anni Baltimore potrà avere la sua rivincita: l’occasione, quest’anno, è di quelle da non lasciarsi sfuggire.

7 thoughts on “Baltimore, la protagonista inattesa

  1. Scusate la domanda, mi stò avvicinando da poco al beseball, qual’è la chiamata corretta in caso di “interferenza” , diciamo così, di un tifoso?

      • Ne approfitto ancora:

        per cui nel caso “Jeffrey Maier” la chiamata corretta era battitore eliminato e palla morta e non “fuoricampo” giusto?

        mentre nel celebre caso “Steve Bartman”? Allora non ci fu nessuna errore arbitrale, ma non venne neppure assegnato il fuori campo

        • Esatto, nel caso di Maier la chiamata corretta era l’out del battitore. Per quanto riguarda Bartman, invece, non si tratta di “spectator’s interference” visto che la pallina aveva superato la linea virtuale del campo, entrando nell’area di foul. Infatti Alou per completare la giocata avrebbe dovuto spingersi oltre le barriere compiendo uno sforzo “straordinario” a suo rischio e pericolo; l’arbitro in quel caso chiamò giustamente il semplice foul ball.

          La differenza, quindi, è che Maier, protendendosi oltre le barriere, entrò a tutti gli effetti in campo, interferendo con il normale svolgimento dell’azione.

  2. gia’showalter non e’proprio simpatico di suo,se dovessero arrivare in post-season a scapito magari dei pigiamini,e chi lo tiene piu’!
    e non dimenticherei nell’approfondito esame dell’articolo,manny machado,che per adesso ha fatto vedere ottime cose,se son rose fioriranno…

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