Masai Ujiri, gm dei Nuggets e architetto della trade

La storia recente (prendiamo gli ultimi quindici anni) dei Denver Nuggets si può tranquillamente spezzare in due tronconi.

Otto stagioni che vanno dal 1995/1996 al 2002/2003 e che passano attraverso il 31% di vittorie (190-424 il record per i libri di statistiche) e sette diversi allenatori, mentre quelle dal 2003/2004 al 2009/2010 con quasi il 60% di W, sette approdi consecutivi ai playoffs, una finale di Conference e la guida solida di George Karl dopo l’interregno iniziale di Jeff Bzdelik.

E questo secondo spezzone di storia parte, ovviamente, dalla notte del Draft 2003, momento in cui Carmelo Anthony si veste di azzurro per la prima volta.

Il 21 febbraio 2011 diventa così, giocoforza, la data per l’inizio di un nuovo capitolo nella storia della franchigia del Colorado. Termina finalmente il “Melodrama”. Anthony si accasa ai Knicks accompagnato da Chauncey Billups. I Nuggets ricevono in cambio tanto. Tantissimo. Troppo per la maggior parte degli addetti ai lavori. Masai Ujiri, gm mai troppo stimato, vince il braccio di ferro che durava da mesi con la squadra della Grande Mela e riesce a non uscire sconfitto da una situazione complicatissima, con il suo miglior giocatore che lo tiene in pugno, forte del contratto in scadenza.

Danilo Gallinari, Raymond Felton, Wilson Chandler, Timofey Mozgov, Kosta Koufos e due prime scelte future. Questo il conto da pagare per mettere Anthony su un aereo in direzione New York. Conto che, implicitamente, permette a Denver di intraprendere un nuovo discorso tecnico, differente da quello portato avanti negli ultimi anni ma anche, cosa più importante, totalmente differente dalla ricostruzione a partire dalle fondamenta che più di una volta era stata paventata in passato.

Il rapporto tra Karl e Anthony era ormai logoro

Il primo segno di fiducia nel nuovo gruppo di giocatori è certamente il rinnovo di contratto su base triennale di George Karl. Lo è se pensiamo alle condizioni di salute di George Karl e che ci rendono difficile pensare a una sua possibile firma su un contratto per legarsi a una franchigia che non gli assicurasse piani seri per il futuro.

Lo è anche nel senso del messaggio che viene mandato ai giocatori, i quali vedono confermata la fiducia nel coach che tanto bene ha fatto in questi anni (secondo allenatore più vincente nella storia della franchigia, poco distante da Doug Moe) e che ha in questo momento la possibilità di allenare un gruppo che sembra più consono alle sue caratteristiche, diversamente da quello gestito comunque con successo fino ad ora.

Le stesse parole di Karl subito dopo la trade sono andate verso la conferma di questa teoria, se è vero che lo stesso allenatore ex Real Madrid, pur elogiando le doti offensive di Anthony (“il miglior attaccante che abbia mai giocato per me”), ha fatto trasparire una certa insofferenza verso le lacune difensive dello stesso e degli squilibri tattici che la squadra doveva sopportare per favorire il gioco di Carmelo. Più in generale, ormai, la situazione all’interno della squadra era diventata pesante e difficilmente sopportabile, come testimoniato anche da Ty Lawson (“Non credo di avere mai visto coach Karl sorridere in questi cinque mesi. Ed è un problema perchè le sensazioni dell’allenatore si riversano inevitabilmente sui giocatori”) e dallo stesso Karl (“è normale che dopo sette anni passati assieme ci si cominci a stancare a vicenda. Sono sicuro che ‘Melo fosse un pò stanco di me.”)

Di conseguenza, meraviglia fino a un certo punto l’ottimo trend che Denver ha inaugurato dall’arrivo degli ex Newyorchesi. La squadra al momento non ha più la stella designata che in precedenza era Anthony o, all’occorrenza, Chauncey Billups, ma una serie di giocatori di ottimo livello che, tra le altre cose, permettono al coach di avere una panchina profondissima.

Al momento, senza contare gli infortuni, Denver parte con in quintetto Lawson, Afflalo, Gallinari, Martin e Nenè, mentre dalla panchina si alzano Felton, JR Smith, Chandler, Harrington, Andersen e Mozgov con Gary Forbes e Kosta Koufos a chiudere la lista. Un assetto che la squadra sembra aver recepito subito nel migliore dei modi, vincendo cinque partite su sette, con una sconfitta di un punto al supplementare contro i Blazers, ai quali gli stessi Nuggets, adesso, somigliano molto.

Cercare obiettivi nel breve termine non è semplice, perchè i cambiamenti sono stati comunque parecchi e la chimica di squadra sarà da rivalutare più avanti. In ogni caso, l’approdo ai playoff appare abbastanza sicuro e il modo in cui verranno giocate le restanti partite servirà a stabilire la posizione nel tabellone. Appare più realistico il pensiero di tenere a distanza le squadre alle spalle, piuttosto che rincorrere Oklahoma City per il titolo divisionale. Avendo chiaro in testa, però, che l’obiettivo vero è quello di fare bene a stagione terminata.

La trade coi Knicks ha posto Denver in una situazione al contempo molto favorevole ma anche altrettanto delicata. Detto del gran numero di giocatori di valore presenti a roster ci sono una serie una serie di situazioni di cardinale importanza da vagliare. Proviamo ad analizzarle sinteticamente.

  • FREE AGENCY: Al termine di questa stagione saranno in scadenza due contratti come quelli di Kenyon Martin (16,500,000 $) e JR Smith (6,000,000 $). Per entrambi è molto difficile prevedere un rinnovo. Martin è tutt’ora l’anima difensiva della squadra, ma, come è palese, non può certo ambire a cifre simili a quelle attuali. Ovunque firmerà il prossimo anno lo farà (nuovo CBA permettendo) a massimo un terzo della cifra attuale. E i Nuggets potrebbero anche non volergli concedere quella. Su Smith, invece, pende il giudizio di Karl, che in passato ha più volte provato a cederlo stanco dei suoi colpi di testa, in campo e fuori. Di recente i rapporti sembrano essersi distesi, ma è probabile che l’occasione di liberarsi di un talento tanto clamoroso quanto ingestibile verrà colta al volo dal coach;

    Quale futuro per il Gallo?

  • RINNOVI: Parlando di rinnovi contrattuali, la priorità assoluta è quella di tenere Nenè che per il prossimo anno ha una player option a 11,600,000 $. E’ pensabile che il centrone brasiliano la eserciti, ma i tentativi fatti dalla dirigenza ultimamente per intavolare una trattativa per il prolungamento del contratto potrebbero indurre a credere il contrario. Di certo la sua conferma è uno degli snodi cruciali per il proseguo del progetto, ed è uno snodo reso ancora più difficile da interpretare a causa del nuovo CBA sopra citato. Ci sono poi le questioni Afflalo e Wilson Chandler. Entrambi in scadenza e entrambi trattenibili con la qualyfing offer che però non permette di superare il limite di salary cap e dunque di valore relativo. Il primo è uno dei giocatori più stimati dal coaching staff. Arrivato l’anno scorso per riempire il buco di guardia titolare è partito come specialista difensivo, poi è diventato anche specialista nel tiro da 3 e quest’anno ha completato il processo diventando un fattore in attacco, tanto da essere ormai un elemento imprescindibile. Su di lui andranno valutate le offerte che riceverà, ma l’intenzione è di trattenerlo. Diverso il discorso per Wilson Chandler, che quest’estate, sul mercato, potrebbe comandare cifre piuttosto importanti. Il talento, anche qui, non si discute, ma le partite che restano da qui alla fine della stagione serviranno per valutarlo attentamente, tenendo presente anche l’eventuale dualismo con il nostro Danilo Gallinari;
  • LAWSON – FELTON: Attualmente, in cabina di regia, stanno giostrando (ottimamente) i palloni Ty Lawson e Raymond Felton. Due giocatori diversi (Lawson razzente peperino da campo aperto, Felton più ragionatore e ottimo interprete del pick & roll), ma che meritano entrambi il ruolo di point guard titolare. Al momento la convivenza con Lawson titolare e Felton a partire dalla panchina, con i due in campo insieme per diversi minuti, sta funzionando, ma alcune dichiarazioni dello stesso ex Knicks hanno fatto intendere che al momento la cosa può stargli bene, ma col passare del tempo richiederà più minuti (comunque più di 30 a partita finora). E anche qui la dirigenza dovrà effettuare una scelta precisa. Puntare sul talento di Lawson senza tenere conto delle sue lacune a livello di taglia fisica o usarlo come arma di scambio preferendogli il più navigato Felton, che a sua volta ha mercato per via di un contratto molto maneggiabile e in scadenza il prossimo anno?;
  • DANILO GALLINARI: subito dopo la trade le voci sembravano andare verso una rapida ricollocazione del Gallo in qualche altra squadra di basso rango per ottenere scelte alte al draft. Rumors smentiti e tentazione arrestata dalla superlativa prova contro i Blazers a cui ha fatto seguito un intervista in cui George Karl ha dichiarato che Danilo è la sua ala piccola titolare. L’allenatore sembra stimare davvero il Nostro, ma bisogna anche vedere, se arriveranno, quali offerte giungeranno ai Nuggets per Gallinari. Al momento sembra che Denver abbia fatto sia un pensierino a costruire un futuro con la maglia azzurro-oro al Gallo, sia a inserirlo in un pacchetto nel caso qualcuno fosse intenzionato a cedere un giocatore di alto livello;
  • ALBATROS: La follia estiva del contrattone a Harrington (5 anni a 35 milioni di dollari) ora è più lampante che mai. Al non ha demeritato finora, ma con le nuove acquisizioni è apparso un pesce fuor d’acqua (senza contare i precedenti con Gallinari) e la cosa migliore sarebbe tradarlo alla prima opportunità. Che non è certo detto che si presenti, con quelle cifre inchiostrate in luglio.

Il tutto senza dimenticarsi di Mozgov, fortemente voluto da Ujiri, ma che non si vede come possa trovare spazio in un front court composto da Martin, Nenè, Andersen, Harrington e, all’occorrenza, Chandler e Gallinari. La sua acquisizione potrebbe essere vista in ottica futura come soluzione estrema in caso di addio da parte di Nenè o, anche qui, per un ipotesi di trade, sfruttando il potenziale del russo per cavarne fuori qualcosa di buono.

Ricapitolando, si capisce come Denver sia uscita molto bene da una situazione potenzialmente devastante e abbia nelle proprie mani il suo futuro (non dimentichiamoci del Draft). E’ sicuro che la parte restante di stagione servirà per effettuare le dovute valutazioni sugli argomenti sopra sviscerati e da lì tirare le somme per decidere se puntare e su chi puntare degli attuali protagonisti oppure effettuare un’altra piccola rivoluzione per arrivare a qualche nome grosso.

3 thoughts on “A Denver la ricostruzione può attendere

  1. Gran articolo..d’accordo su tutto…davvero assurdo il contratto dato ad Al…anche senza senno di poi…Il Gallo quando rientra??

  2. Ottimo articolo: è vero, i Nuggets hanno 10 giocatori di ottima qualità, ed in effetti quello che gli manca ora come ora è un po’ di leadership, sia a livello tecnico (la dava Anthony) che a livello emotivo (la dava Billups). Ma sono un progetto interessantissimo, anche se purtroppo uno dei loro maggiori difetti sta nell’avere diversi “cavalli pazzi”, a partire da JR Smith passando per Harrington, Andersen, Martin…e questa è una cosa che ai play-off si può pagare a caro prezzo. Vedi l’anno scorso ad esempio, quando avevano tutte le carte in regola per superare almeno il primo turno e invece vennero eliminati senza troppi complimenti.

  3. Credo che questa cosa di 10 giocatori di ottima qualità ma senza una stella possa essere un’arma a doppio taglio. Nel senso che a livello di regular season potresti riuscire a vincere più di quanto pensi (9-2 dalla trade) ma poi nei playoff l’assenza di un giocatore che ti trascina (emotivamente o tecnicamente, come dice giustamente xandro) rischi di pagarla a caro prezzo.

    Spero comunque di sbagliarmi! :)

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