Doc Rivers e i Celtics ripongono grandi speranze in Jeff Green

Ci sono persone, che senza volerlo o saperlo sono marchiate alla nascita, marchiate dal Destino, marchiate riguardo al percorso che le aspetta. Jeff Green è sicuramente tra loro, con un cognome del genere; ed i Celtics, i Verdi di Boston, non potevano che essere nel suo tragitto di vita sportiva, e non solo, una tappa importante verso una maturazione cestistica di primo livello.

Lo sapeva senza dubbio Danny Ainge che lo scelse al Draft del 2007, vedendo in lui quelle tipiche caratteristiche innate di chi nella storia, via Red Auerbach, ha indossato la maglia dei Celtics. Ma, e c’è un “ma” grosso come una casa, quello stesso istinto di Ainge svanì nel medesimo istante in cui grazie al talento di Green i Celtics potevano mettere su i primi passi di una trade complessa, che avrebbe alla fine portato a Boston il duo KG-Ray Allen.

Ed ecco quindi che un ragazzo destinato, nelle sue lettere, alla Beantown si vide catapultato senza troppe spiegazioni a Seattle nel nuovo regno di Durant, in attesa che Oklahoma si prendesse il titolo ed un pezzo della storia griffata Sonics.

Non male come storia di partenza, per un ragazzo che aveva nella testa solo il football NFL, e la corsa per la ricezione. Non male per un ragazzo che superati i 2 metri di altezza venne catapultato senza volerlo in un mondo cestistico pieno di intrighi scouting e duro lavoro. Quel duro lavoro che ha portato Green ad amare la pallacanestro, e fare di lui uno dei prospetti più futuribili del basket USA.

Nel passato del ragazzo, prima dei Thunder (Sonics) via Celtics, si registrano grandi numeri che già facevano intravedere un talento fuori dal comune. Liceo Northwestern, doppie doppie a pioggia, con media di 17 punti a partita, ed il vizio della stoppata che lascia un discreto segno all’indirizzo degli scout universitari.

Poi il passaggio alla Georgetown con una ottima carriera universitaria.
Già da freshman oltre 13 punti a partita, e la qualità suprema di saper controllare le emozioni, in modo da essere freddo nel momento in cui la palla cominci a scottare. Percentuali al tiro da giocatore maturo e pronto per spettacoli più adeguati.

Georgetown si coccolò il suo ragazzo, forse anche troppo, e pagò la cosa con una stagione da senior più problematica, ma non per questo priva di dimostrazioni lampanti di quello che potesse fare realmente Jeff Green, ovvero una macchina da canestri intelligente e adattabile ad ogni situazione.

Lo sapeva bene coach Thompson, suo maestro al tempo di Georgetown, che al terzo anno di Green tra le sue fila (l’anno per capirci del “Big East Player Of The Year”, titolo che non veniva vinto da un giocatore di Georgetown dal lontano 1992) lo spinse con parole al miele verso una carriera da professionista di primo livello: “Probabilmente non ci crederete ma Jeff Green è il giocatore più intelligente e adattabile nei vari sistemi di gioco che abbia mai allenato”.

Insomma il ragazzo, dopo aver guidato Georgetown alle Final Four NCAA con prestazioni da urlo contro North Carolina e Vandy, non se lo fece ripetere due volte, e si dichiarò, come ben sappiamo, al Draft del 2007. Il resto è storia… Sonics, Thunder e la compagnia di gente come Durant & Westbrook, ragazzi che a basket ci sanno decisamente giocare.

Tra Sonics e Thunder Jeff Green non ha fatto altro che ampliare il proprio bagaglio tecnico, crescendo da un punto di vista dell’approccio e dell’etica del lavoro. Si è costruito il suo tiro dalla media, ha lavorato sul tiro da fuori, ha lavorato nel migliorare ogni aspetto del suo gioco.

Ne hanno sicuramente giovato Durant, Westbrook ed i Thunder che in breve tempo hanno visto in lui l’arma tattica giusta per prendersi il tiro giusto al momento giusto. Una terza opzione offensiva di lusso che spaccasse in due la difesa avversaria.

I risultati furono positivi da subito. Nell’anno da matricola 10 punti a partita con 5 rimbalzi scarsi. Certo i risultati di squadra non furono fantastici, ma il processo da seguire, quello si che fu fantastico.

Nel secondo anno le statistiche erano in continuo aumento… 16.5 punti a partita, 6.7 rimbalzi, e 2 assist con quasi il 40% da tre punti. Niente male.

Jeff Green trova il suo spazio, la felicità si legge nei suoi occhi. Terza stagione: 15.2 punti a partita + 6 rimbalzi, la rincorsa playoffs, ed un ruolo da protagonista nella post-season che vedrà i Thunder mettere in crisi i futuri campioni NBA: i Los Angeles Lakers. Lakers costretti a gara 6, e ad un dispendio di energie non previsto! E’ momento per un ulteriore step?

Più che altro diremmo che è arrivato il momento che il Destino venga a “battere cassa”.
E così dopo un inizio di quarta stagione convincente, sempre al fianco di Durant & Westbrook, i Celtics in una trade molto discussa, si sono venuti a riprendere di forza il giocatore che avevano selezionato con molta cura nel draft 2007.

Green e Krstic per Robinson e Perkins. Rivoluzione. Jeff Green, il destino nel cognome, approda, questa volta veramente, al Boston Garden, gli occhi su di lui. 14.2 punti a partita, oltre 5 rimbalzi, uno stile più raffinato del grezzo Green che avevamo imparato a conoscere.

Perché i Celtics hanno voluto insistentemente Green?
Ainge è chiaro, come Rivers: “Poliedrico, talento pazzesco, può difendere sui 3, può giocare da 4, può far tornare i Celtics ad uno stile di gioco simil 2008 che ricordi i Celtics con Posey pezzo pregiato dalla panchina”.

Alle parole seguono i fatti, Jeff Green, tralasciando le prime due uscite, dimostra che le parole su di lui erano state spese bene.

Atletismo spaventoso, stoppate, gioco in post basso, bravura nell’adattarsi al ruolo di 3 o 4, mano delicata, jolly indispensabile per una panchina dei Celtics fino a quel momento instabile. In alcune partite, vedi contro Golden State o Philadelphia o Indiana, Green arriva a piazzare il ventello con soluzioni degne di un top player. In altri frangenti, vedi anche nell’ultima vittoria in casa dei Knicks, è sublime il suo modo di sapersi adattare a seconda di ciò che Rivers gli chiede.

KG, Pierce e Ray, e non lo hanno nascosto nelle varie conferenze stampa, sono già pazzi di lui. C’è chi vuole una pronta conferma, un contratto da allungare.

Chi lo vede al fianco di Rondo, quale pezzo ovvio nello scacchiere futuro dei Celtics.
C’è chi ritiene che il bello debba ancora venire. Jeff Green sorride a tutto ciò, giocando la sua pallacanestro semplice, e sognando un titolo Nba.

Per il resto c’è tempo.
Il Destino ora l’ha riportato a Boston, ed è qui che vuole stare. Non c’è fretta di sapere quale sarà la prossima destinazione per un ragazzo con il Verde inciso nel cuore.

3 thoughts on “Jeff Green: il destino nel cognome

  1. Bell’articolo!
    nel nba contemporanea crescono i prospetti di giocatori poliedrici e capaci di giocare + ruoli con grande atletismo e non altrettanto grande sapienza tattica.
    tra questi è paradigmatica la figura del giovane Green.
    Inizio col dire che se prendi un giocatore con le regole salariale nba non puoi considerarlo solo per l’immediato ma anche in prospettiva sia individuale e sia collettiva ( spazi che occupa in campo e nel cap ). Perciò è sbagliato dire Green per Perkins = errore Celtics e loro rinuncia al titolo.
    innanzi tutto perchè non vi rinunciano affatto ma decidono di arrivarci per altra via: 1) alzare ritmi e correre di più; 2) avere un giocatore che può sostituire + giocatori; 3) togliere Pierce da incombenze difensive su un eventuale sfida con Lebrom per parecchi minuti; 4) avere un lungo atipico che mancava al roster celtics sopratutto in campo aperto; 5) la sua tridimensionalità e la capacità di spostarsi lungo tutto l’attacco sono e saranno lo stimolo per la completa maturazione di rondo e della sua capacità, tutta sua, di pensare passaggi e non solo impensabili.
    Il rischio è che, ad anno in corso, sia troppo difficile il suo adattamento sopratutto nella difesa di Rivers e manchi troppo la presenza di Perkins e considerando l’anno prossimo come un incognita per il rendimento dei big tree la dirigenza celtics si prende un bel rischio per l’immediato
    ma dall’altro lato si garantisce un rinnovamento del team graduale e non troppo costoso.
    una squadra nuova parametrata su Rondo che per me sarà il cardine del nuovo decennio celtics e che per certi versi è, come Green, un’Atipico anche lui. non so se questa strada sarà vincente però di sicuro è interessante.
    Molti guardano alle sconfitte delle ultime settimane dei celtics come la prova del loro errore oltre che alla fine di un ciclo ( destino comune con gli Spurs) ma io non mi fido e penso che rimangono
    nelle gare che contano l’osso + duro ad est perchè temo l’appagamento dei Bulls ai P.O. dove il loro attacco troppo sbilanciato su rose potrebbe pagare, temo il nervosismo Heat che alla prima difficoltà wade, james, bosh provino a fare tutto da soli e temo, infine, l’incostanza nelle % dei magic che ne danneggia il rendimento ed ecco perchè se riescono ad inserire Green i Celtics mi sembrano ancora la squadra + completa ad est.
    P.S. Aggiungo che le uniche squadre che potrebbero ingigantire la mancanza di Perkins e il non pieno inserimento di Green sono i Magic con DH12 (probabile in una eventuale finale di Conference) e i Lakers con Bynum ( finals ) ed ironia della sorte i thunder di Perkins stesso ( finals anche loro ) ed alla luce di questo che la trade di Ainge potrebbe essere un’azzardo con molte + possibilità di quello che molti oggi credono non solo perchè hanno non poche chanche di evitarle tutte ( tranne i Lakers vedo molto poco probabili magic e thunder) ma perchè più tempo passano insieme e più cresce il loro gioco crescerà anche la volontà e la convinzione di KG, Allen e Pierce di tentare, forse per l’ultima volta, di ripetere il trionfo del 2008.

  2. è lampante che è stato preso per mettere un corpo su LeBron.

    io credo che i celtics han pensato: orlando la battiamo, howard fa 40 ma li battiamo, gli heat invece rischiamo perchè non possiamo tenere pierce 48 minuti o su wade o su lebron.

    ergo, compriamo uno che fisicamente può stare su lebron per una ventina di minuti, anche nell’eventualità che giochi 4, poi saranno loro di la a dover decidere chi marca allen e pierce…

  3. articolo interessante. fossi stato ainge avrei chiesto aldrich al posto del vecchio nenad. per il resto… lo avrei fatto, ‘sto scambio. green è giovane e talentuoso, può essere una pietra angolare su cui ricostruire la squadra (assieme a rondo). per la stagione, manca un 2 (qualcuno ha detto tony allen?) in grado di dare difesa e punti dalla panca. mancano shaq e j’o (j’o è appena tornato ma ha la mobilità di un paracarro). epperò ad est se la giocan con tutti.

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