Foto di "famiglia" con trofeo per i Mavs!

“Città di Dallas, stiamo tornando a casa”.

E’ così che Jason Terry, a fine gara, annunciava la fine dei festeggiamenti in Florida, e l’inizio di quelli in Texas, dove tutta la città sta aspettando che la squadra ritorni per festeggiare a dovere.

A Dallas sono veramente impazziti tutti (alcuni anche letteralmente, visti i quattordici arresti) per questi Mavs, facendo ore di fila, dall’alba, davanti ai negozi di articoli sportivi, e solo per poter acquistare le magliette celebrative della vittoria. Oppure aspettando per ore il ritorno della loro squadra al Love Field Airport, il giorno dopo, solo per vederli con il trofeo, battergli il cinque e rendersi conto che era tutto vero.

La Mavs-Mania è effettivamente iniziata, come dimostrano anche i dati di ascolto della partita in città (39.8 per cento di case guardavano la partita, addirittura il 50.8% negli ultimi trenta minuti), in una città che ha voglia di festeggiare, visto che l’ultimo titolo sportivo conquistato risale al 1999 (quando gli Stars vinsero la NHL).

E sono proprio i tifosi, la Mavs Nation, alcuni dei quali sono addirittura volati a Miami, acquistando i biglietti per la partita e facendosi vedere e sentire, con le loro magliette blu, in un’American Airlines Arena , ad essere nei pensieri, a fine gara, dei protagonisti, a dimostrazione di quanto l’attaccamento sia forte e di quanto anche loro ci abbiano creduto in questi anni, soffrendo con la squadra, come dimostrano i 399 tutti esauriti consecutivi in regular season (la striscia più lunga della NBA), e i 58 nei playoffs.

Redenzione e determinazione, queste sono le parole che più si adattano a questi Mavs, una franchigia che ha vinto ieri il suo primo titolo in trentuno anni di storia: e da oggi i Mavs potranno fregiarsi anche del titolo di cittadini onorari dello Stato dell’Ohio, come da comunicato del Governatore John Kasich, per i valori di “lealtà, integrità e lavoro di squadra” dimostrati, in particolare da Dirk Nowitzki, che ha scelto di rifirmare e di rimanere leale alla squadra con la quale ha sempre giocato, in evidente contrasto con quel Lebron James che ha lasciato l’Ohio, suo stato di origine, per cercare fortune personali in Florida.

Le storie nei Mavs sono veramente tantissime, e lo spazio troppo poco per raccontarle tutte. Come, però non partire da Mark Cuban? Dopo gara 6 ha finalmente rotto il silenzio (con tanto di parolaccia in diretta nazionale) e si è potuto finalmente scatenare, monopolizzando il trofeo, prima portandoselo a letto e poi mettendoselo nel posto di fianco a lui sull’aereo che ha riportato la squadra in Texas.

Anche lui questo titolo se l’è decisamente sudato, da sempre considerato come un proprietario generoso, che nei suoi undici anni di gestione ha sempre investito tanto, ma che parlava troppo e a volte era troppo invadente, pur avendo reso i Mavs una contender (prima di lui la percentuale di vittorie in regular season era del 40%, dopo di lui del 69%).

Quest’anno è parso maturato, è stato zitto per la sua squadra perché, come ha detto a fine gara, sapeva che avrebbero cercato di trascinarlo a fare polemiche e lui non voleva. Maturazione che è dimostrata da due gesti molto importanti, di classe: l’aver fatto alzare per primo il Larry O’Brien Trohpy al fondatore ed ex proprietario Mr. Donald Carter e alla sua consorte e l’ aver detto che la parata celebrativa (che si terrà giovedì) verrà sì organizzata dal comune, ma sarà interamente pagata da lui, perché vuole che la città si goda appieno la festa.

Probabilmente, in questi anni, la scelta più importante di Cuban è stata quella di continuare a credere, anche quando in tanti lo criticavano,  in Nowitzki; continuare a credere che con lui si potesse vincere un titolo, bastava mettergli a fianco le pedine giuste: “Come potevo non credere in lui? E’ un giocatore fantastico. In tanti lo mettevano in dubbio, ma non puoi metterlo in discussione dopo aver visto quanto lavoro fa, ogni giorno. Ha il cuore di un leone”.

E allo stesso tempo Cuban è stato fortunato a trovare un Nowitzki che anche la scorsa estate, quando tanti pensavano che i Mavs avessero bruciato tutte le loro chance di vincere un titolo, ha deciso di rifirmare per la squadra con la quale ha esordito nella Lega. Secondo lui, era una decisione scontata, perché vincere da un’altra parte non avrebbe avuto lo stesso sapore.

Nowitzki ha definitivamente cambiato l’etichetta che gli era stata appioppata, da soft e perdente a campione, quindicesimo miglior realizzatore nella storia nei playoffs. E quello che tutti a Dallas tengono a sottolineare è come loro lo sapessero già, di che pasta era fatto il tedesco: è il resto del mondo che se n’è reso conto solo ora.

L’impressione di molti, a fine serie, è che la squadra di Dallas abbia battuto le individualità di Miami, come ripreso anche sul sito della NBA, dove lo slogan che campeggiava sotto la foto di Terry e Nowitzki era “Where team happens”.

E coach Carlisle, a fine gara, ha colto l’occasione per togliersi un sassolino dalla scarpa: ”La nostra squadra non è basata sull’abilità individuale, ma sulla grinta, il coraggio e la volontà collettiva. Anche noi abbiamo talento, ma il nostro gioco è a rasoterra. E quelli contro cui giocavamo, il loro gioco è in cielo. Noi abbiamo giocato nel modo giusto, fortunatamente, e alla fine abbiamo vinto. Quante volte ancora dobbiamo sentire parlare del reality show di Lebron, che cosa fa o non fa? Quando inizieremo a parlare di quello che hanno fatto questi ragazzi?”.

A fine gara tutti, tra i quali Terry, hanno sottolineato come i Mavs fossero una squadra unita, che ha lottato insieme: “E’ un gruppo molto speciale, lo sapevo dal training camp. Sapevo quello che questo gruppo poteva dare, ci siamo protetti a vicenda. Loro avevano tre pezzi, noi quattordici o quindici”.

Ed è lo stesso Terry che merita anche lui attenzione particolare, perché è stato decisivo in tutte le vittorie dei Mavs e perché, come Nowitzki, è uno dei reduci, come detto anche da Carlisle: “Dirk e Jet hanno dovuto convivere con quello che è successo nel 2006 per cinque anni. Ora quei demoni sono finalmente distrutti”.

E come scordarsi di Kidd, che vince il suo primo, meritatissimo titolo a trentotto anni, sacrificandosi in difesa; per non parlare di Marion, Chandler, Barea, Stevenson e tutti gli altri, senza scordarsi di coach Rik Carlisle. Tutti potranno mettersi l’anello al dito per la prima volta. Ma, come detto, per raccontare tutte le storie di questi Dallas Mavericks ci vorrebbe un’enciclopedia.

Chiudiamo allora con le parole di un Nowitzki che, ancora nella conferenza stampa post-gara, sembrava essere su una nuvola: “La sensazione di fare parte della miglior squadra del mondo è indescrivibile. Siamo campioni del mondo. Mi sembra incredibile”.

Credici pure Dirk. Siete i campioni.

2 thoughts on “Dallas: redenzione e determinazione

  1. “l’aver fatto alzare per primo il Larry O’Brien Trohpy al fondatore ed ex proprietario Mr. Donald Carter e alla sua consorte e l’ aver detto che la parata celebrativa (che si terrà giovedì) verrà sì organizzata dal comune, ma sarà interamente pagata da lui, perché vuole che la città si goda appieno la festa.”

    Cuban

    Un grande. Per come se le è sudato il titolo avrebbe preso quel trofeo per primo invece ha aspettato il suo turno dopo Mr. Donald. Avevo sottolineato questo gesto subito dopo la premiazione.

    Il fatto che voglia pagare la parata mi sembra un altro di quei gesti che gli fanno onore. Un grande davero. Peraltro lui ha sempre pagato le multe della NBA e dando lo stesso corrispettivo in beneficenza.

    Bello vederlo dietro i giocatori muto come un pesce. Sembrava uno dei tanto invece. Come dice il proverbio “non si finisce mai di imparare”.

    Da tifoso Kings sono felice per Peja che in finale non ha inciso ma che la soddisfazione di aver dato una mazzata ai Lakers non se le fatta sfuggire.

  2. A me Cuban non sta simpatico perchè l’ho sempre visto come un personaggio in cerca di celebrità, il classico proprietario che fa di tutto per apparire e per rimanere sulla cresta dell’onda. Però è anche vero che stavolta ha avuto ragione lui e che una grossa parte di passione in quello che fa c’è. Poi vabbè, i giocatori e lo staff tecnico sono stati semplicemente fantastici e, come dice giustamente Erica, ci vorrebbe un’enciclopedia per raccontare la favola di questi Mavs…

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