Per gli Hornets ora è dura ripartire senza il proprio faro e leader, Chris Paul

Titoli di coda. Si è concluso un grosso capitolo della storia degli Hornets: cominciato sei stagioni fa con la scelta al draft di Chris Paul, giunto a termine meno di un mese fa con la trade a Los Angeles, sponda Clippers.

Non starò a dilungarmi su cosa abbia significato Paul per New Orleans, non è questa la sede, resta il fatto che gli Hornets salutano un grande professionista e uomo, oltre che giocatore di riferimento.

Il suo tempo nella franchigia della Louisiana era chiaramente giunto al termine, motivo per cui si è resa necessaria una trade che lo portasse altrove: scartata la meta preferita del giocatore per sua stessa ammissione, una New York a corto di argomenti validi per mettere su uno scambio, la corsa finale è stata tra Warriors, Clippers, Celtics e Lakers.

Alla fine è maturata l’ormai celebre e probabilmente storica trade annullata da Stern con la parte nobile di Los Angeles, con lo stesso commisioner che andava poi ad accettare la proposta dei “cugini” meno blasonati; putiferio annunciato, con miriadi di valutazioni più o meno soggettive da una parte e dall’altra, ma a ben vedere con poca ragione di esistere.

Non starò a sviscerare quale delle due proposte fosse effettivamente migliore, non se ne uscirebbe più, mi limito a un paio di considerazioni.

Innanzitutto trovo inutile il gridare allo scandalo per l’annullamento dello scambio con i Lakers: piaccia o meno, la NBA è proprietaria degli Hornets e di conseguenza ha il diritto di farlo.

Che la situazione sia stata gestita malissimo è piuttosto chiaro, ma sembra evidente che alla base ci sia un grossolano errore di comunicazione tra la stessa NBA e il capace ma poco esperto Dell Demps, che ha in mano la gestione del mercato a New Orleans: mentre il general manager, spalleggiato dal coach, voleva e probabilmente vuole tutt’ora cercare di mantenere la squadra su buoni livelli, sacrificando spazio salariale in nome della competitività a livelli comunque non alti (a meno che si voglia credere che gli Hornets avrebbero potuto lottare per l’obbiettivo finale tradando con i Lakers), le direttive di Stern sono state piuttosto chiaramente quelle di abbattere i costi e cercare di portare a casa scelte e talento giovane.

A margine, trovo che sarebbe stato più giusto indignarsi a suo tempo per l’acquisto della franchigia da parte della lega stessa, ma allora come adesso di questo fatto interessa poco se non c’è di mezzo la futura destinazione del miglior playmaker in circolazione.

Poi alla luce di quanto detto da Stern e accennato qui sopra, ovvero le reali richieste della NBA in merito alla trade, mi sembra ovvio che fosse ai Clippers che ci si dovesse rivolgere: meglio o peggio che fosse, semplicemente offrivano quello che questo anomalo owner chiedeva, i Lakers tutto il contrario. Al di là di tutte le valutazioni possibili, siamo quindi al più classico del volevo un gatto nero, tu me lo hai dato bianco, se mi passate la citazione.

Chiusa questa parentesi, veniamo al roster.
I giocatori arrivati dai Clippers sono Eric Gordon, con un plauso a chi non ha ceduto minimamente per averlo (un merito probabilmente da dividere), Chris Kaman e Al-Farouq Aminu.

Il primo nelle intenzioni dovrebbe essere il nuovo uomo-franchigia degli Hornets, un completo e monumentale realizzatore che va a prendere le chiavi di quel backcourt dove però fino a poco tempo fa dominava un giocatore con caratteristiche per la maggior parte opposte; da qui è prevedibile un pesante assestamento della fase offensiva della squadra, in effetti già piuttosto evidente in queste prime partite stagionali.

Il “tedesco” sano vale comodamente un posto tra i primi cinque centri della lega, ma la sua collocazione tecnica è piuttosto problematica: paradossalmente infatti va a New Orleans essenzialmente come contratto in scadenza per far abbassare il cap, ed è difficile immaginare per lui un futuro nella Louisiana, specie finchè in panchina c’è Monty Williams (per il quale Okafor ha dimostrato già l’anno scorso di essere il centro ideale); non è infatti auspicabile l’uso dei due centri come titolari o più in generale con un massiccio minutaggio condiviso, anche se è probabile che tale soluzione riceverà crescenti attenzioni durante la stagione. Ad esempio per le caratteristiche degli avversari si è già vista, con risultati altalenanti, contro Boston, mentre non era stata utilizzata all’esordio contro Phoenix.

Last but not least, il giovane prodotto di Wake Forest, scelto al draft poco più di un anno fa con l’ottava scelta assoluta: potenziale immenso tutto da vedere, è tuttavia un giocatore ancora piuttosto immaturo, specie sotto l’aspetto mentale; ci sarà da lavorarci su, e neanche poco, ma se il ragazzo saprà apprendere a dovere potrà emergere molto bene sotto un tale coach.

Vista l’abbondanza di ali piccole e la carenza di point guard, è stato poi tradato Quincy Pondexter a Memphis in cambio di un giocatore estroso ma a tratti troppo istintivo come Greivis Vasquez.

Sicuramente un’aggiunta importante, dal momento che va a creare una valida alternativa in un ruolo dove il titolare designato è Jarrett Jack, per molti versi “uomo del coach” ma palesemente inadeguato nella gestione della squadra e nel creare gioco: il venezuelano, per quanto appunto a volte sopra le righe, è sicuramente più avanti in questi aspetti.

Il primo cambio di Gordon sarà Marco Belinelli: per l’assenza di Jack (squalificato) ha giocato anche da point guard titolare contro Phoenix, con risultati abbastanza soddisfacenti, mentre contro Boston è stato la guardia titolare per via del lieve infortunio occorso a Eric. Il suo minutaggio sarà quindi da ridefinire con le rotazioni al completo, ma è probabile che trovi minuti anche da 1 e da 3, quest’ultimo ruolo ricoperto anche all’esordio a causa dell’eccessiva evanescenza di Aminu.

La small forward titolare è probabilmente il giocatore più importante nel sistema difensivo di coach Williams, ovvero Trevor Ariza. Di importanza capitale non solo per la sua difesa sull’uomo ma anche e soprattutto per la velocità e il tempismo nell’eseguire le necessarie rotazioni, sul lato offensivo del campo lascia a volte a desiderare per la tendenza a tirare troppo, a volte con conclusioni palesemente non nelle sue corde.

Lunghi titolari sono Landry e Okafor: il primo è ormai conosciuto universalmente per la sua energia, ed è il miglior rimbalzista della squadra non solo per numeri ma per attitudine e fondamentali; inoltre è affidabile offensivamente anche dalla media distanza, con un jumper che è migliorato ogni anno di più.

Emeka come già accennato è invece il centro più adatto per questo allenatore, nonostante la carenza di centimetri: lo ha dimostrato l’anno scorso, con un rendimento che avrebbe meritato maggior riconoscimento nelle votazioni al DPOY, e pare abbia intenzione di dimostrarlo anche quest’anno, nonostante una brutta prova alla prima contro i Suns.

Completano il reparto lunghi Jason Smith e Gustavo Ayon.
Smith viene da un buon campionato, dove è riuscito a ricoprire più che bene il ruolo di lungo di rincalzo, portando un’intensità probabilmente inaspettata e un tiretto dalla media distanza che ha addirittura scomodato paragoni che preferiamo non riportare. Free agent in questa off-season, si è guadagnato la conferma con un contratto non eccessivo ma comunque importante per lui (7.5 milioni in tre anni), e ha già mostrato un discreto impatto in queste prime uscite.

Ayon è invece al suo primo anno in NBA, arrivando dal campionato spagnolo (più precisamente dal Fuenlabrada) dove era emerso come uno dei migliori giocatori in assoluto; terzo messicano di sempre a giocare nella lega, è un lungo atletico e dal grande QI cestistico, versatile e capace di dare un apporto di livello su entrambi i lati del campo.

Nel momento in cui scriviamo non ha ancora esordito con New Orleans, a causa di problemi di visto; ma una volta adattatosi alla realtà del basket USA, per caratteristiche dovrebbe essere un giocatore che piace a Monty Williams: non a caso gli Hornets, allo scopo di convincerlo a lasciare la Spagna per la Louisiana, hanno viaggiato fino a Madrid e pagato i canonici 525.000 dollari di buyout (il rimanente, circa un milione, lo deve pagare il giocatore come da regola NBA), riuscendo a superare una concorrenza abbastanza agguerrita.

Completano il roster la small forward DaJuan Summers -attualmente infortunato-, la guardia Trey Johnson, la power forward Lance Thomas e la piccola point guard Carldell “Squeaky” Johnson.
Quest’ultimo è un ragazzo proprio di New Orleans, con una bella storia alle spalle e una carriera professionistica spesa finora in D-League, che ha impressionato lo staff per la sua difesa sulla palla e si è già guadagnato l’affetto dei tifosi.

Ad oggi gli Hornets sono una squadra che gira molto bene in difesa, cosa prevedibile visto il credo dell’allenatore, ma che paiono da inventare o quasi in attacco, soffrendo particolarmente la perdita di un playmaker nel backcourt a favore di un realizzatore puro.

Il problema principale però sembra essere di obbiettivi, cosa che rende impronosticabile la loro stagione: la strada tracciata dalla trade con i Clippers sembrava essere quella della ricostruzione totale, con una stagione perdente per poter meglio pescare al draft; ma Williams e Demps, da quanto emerge da dichiarazioni e prestazioni sul campo, sembrano di diverso parere e probabilmente non rinunceranno tanto facilmente all’idea di raggiungere i playoff.

Questa già accennata divergenza di opinioni che sembra possibile cogliere nell’ambiente potrebbe portare a una stagione sostanzialmente “a metà”, che probabilmente non è quello che serve maggiormente alla franchigia; il tutto, è bene ricordarlo, nell’attesa che si concretizzi la possibilità di trovare un compratore, questo sì il vero primo traguardo da raggiungere.

One thought on “Gli Hornets dopo Chris Paul

  1. nella western ci sono squadre sicuramente più scarse, con tutto il roster a disposizione potrebbero lottare per l’ ottavo posto

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