Ricky Rubio e Jeremy Lin, 2 giovanissimi interpreti del ruolo di playmaker in NBA

C’era una volta un’NBA in cui si diceva che il ruolo del playmaker era ormai morto e sepolto, che non nascevano più talenti nel ruolo.

C’era una volta, ma non era nemmeno tanto tempo fa, perché la crisi del ruolo ha vissuto dall’inizio del millennio la sua crisi, coincisa in pratica con l’addio al basket del Playmaker per definizione, quel John Stockton che ha appeso le scarpette al chiodo nel 2003 a 40 anni suonati.

In realtà all’epoca nel ruolo sarebbe rimasto un signore canadese che alla faccia della crisi si sarebbe portato a casa due MVP stagionali nel 2005 e 2006. Steve Nash, infatti, entrato nella lega nel 1997 a fare da backup a Jason Kidd, l’altro grande interprete del ruolo rimasto, ha illuminato la Lega con il suo talento.

Intorno a loro, però, una serie di giocatori e stelle che giocavano come play ma erano anni luce distanti dal concetto di playmaker classico, quello di organizzatore del gioco. I vari Iverson, Marbury, Francis erano tutti giocatori che avevano molto palla in mano, ma la gestione spesso era più per la creazione di un gioco per loro stessi che per i compagni, diventando una sorta di pionieri di questo nuovo ruolo di point guard che tanto sta prendendo piede nell’NBA moderna.

Il 2006 è stato l’anno della svolta, grazie all’arrivo di due giocatori che nella lega si sono subito imposti come il top del ruolo. Deron Williams e Chris Paul hanno infatti rinverdito i fasti del passato e hanno mostrato come si possa interpretare il ruolo in modo classico ed essere davvero fondamentali per la propria squadra.

Negli anni successivi, poi, sono sbarcati in NBA altri play che hanno acquisito lo status di star, arrivando ad oggi in cui il ruolo sembra davvero tornato ad avere come protagonisti giocatori di grandissimo talento.

Nella stagione in corso infatti, stiamo assistendo ad un livellamento verso l’alto del rendimento dei playmaker. Chris Paul, trasferitosi ad inizio stagione ai Clippers, ha infatti preso in mano le redini della squadra e risulta di gran lunga il giocatore più decisivo dei suoi, nonostante abbia visto diminuire le sue statistiche alla voce assist.

Deron Williams, altro giocatore che ha cambiato squadra nell’ultima stagione e mezza, trasferendosi ai Nets a febbraio dello scorso anno, sta mostrando tutto il suo talento nel deserto tecnico della franchigia del New Jersey, rimasta scottata dal mancato arrivo di Dwight Howard e che rischia di vederlo partire a fine stagione alla scadenza del contratto. Per lui quest’anno sta arrivando il career high di punti di media segnati e un calo degli assist, dovuto anche al contesto in cui gioca.

Dietro di loro, che rimangono i top del ruolo, scalpitano vecchi irriducibili, come Jason Kidd, fresco di anello di campione NBA con i suoi Mavs o Steve Nash, autore a 37 di una delle stagioni migliori della carriera, con una media assist di 11.3 a partita e la strabiliante percentuale dal campo del 54.4%.

A tenere alto il ruolo di playmaker classico, quello con mentalità Pass-First come i giocatori citati sopra, questa stagione è arrivato nella lega Ricky Rubio. Il catalano, con il suo gioco spettacolare e la sua predisposizione all’assist, ha incantato i tifosi e si è ritagliato un posto importante tra gli interpreti del ruolo, prima di subire un grave infortunio che lo costringerà a star fuori per tutto il resto della stagione, in cui rimane comunque al quinto posto assoluto per media/assist con 8.2 a gara.

Oltre a loro, interpreti di quel ruolo che sembrava defunto, ci sono una serie di giocatori che giocano playmaker ma che non lo sono nella concezione più classico del termine, seguendo le orme del pioniere Iverson. Sono quei giocatori per cui le definizioni si sprecano, da Point Guard a Combo Guard a Shoot Play.

A far parte di questa categoria, ovviamente, l’MVP della scorsa stagione, Derrick Rose. E’ indubbio che il giocatore dei Bulls sappia passare la palla, come dimostrano gli 8 assist di media a partita, ma è altrettanto indubbio che il meglio lo dia quando attacca il suo avversario con il suo primo passo rapidissimo. Non a caso Derrick, entrato in NBA nel 2008, sia anche ampiamente il miglior marcatore della squadra con i suoi quasi 23 punti di media a partita.

Della stessa classe di draft e con uno stile di gioco molto simile, troviamo Russell Westbrook, play di Oklahoma City. Il 23enne, già criticato ampiamente lo scorso anno per alcune decisioni troppo individualista, quest’anno pare voglia confermare il trend, aumentando ulteriormente il numero di tiri presi per se stesso e diminuendo il numero degli assist. I Thunder vincono e tutto va bene, ma siamo pronti a scommettere che se qualcosa dovesse andare storto tutte le dita saranno puntati sulla sua gestione.

Chi invece sta giocando una delle sue migliori stagioni da quando nel 2001 è entrato nella lega è il Franco-Belga Tony Parker. Il 29enne giocatore degli Spurs è infatti al massimo in carriera alla voce assist, con i suoi 8 di media e segna 20 punti.

L’ottima stagione di San Antonio, ritornata prepotentemente ad essere contender, è anche, se non soprattutto, merito suo e di come sta organizzando il gioco offensivo. Logicamente l’ex signor Longoria rimane un giocatore maggiormente incline a creare soluzioni per se stesso che per i compagni, sfruttando la sua gran velocità e la capacità di concludere nel pitturato, ma la sua produzione giustifica le iniziative personali che quest’anno si prende con più frequenza rispetto al passato.

Uno stile molto simile a Parker è quello che abbiamo visto in questo spezzone di stagione da parte di quello che con 2 mesi di anticipo si può considerare il Rookie of the Year, Kyrie Irving.

L’ex Duke sta mostrando tutta la sua classe e la sua leadership a Cleveland risollevando una franchigia tecnicamente allo sbando dopo la dipartita di LeBron James. Anche Kyrie non è un play classico, di quelli che porta la palla nell’altra metacampo e inizia a creare un gioco dal passaggio d’apertura, ma piuttosto un play che tende a sfruttare i Pick & Roll e il suo primo passo mortifero per crearsi una soluzione personale o per creare l’assist al compagno smarcato. Però fino a quando continuerà a tirare con le ottime percentuali che sta facendo vedere quest’anno (il 40% da tre e il 47% complessivo) il suo tipo di gioco sarà l’ideale per i suoi Cavs.

Non è un rookie ma è come se lo fosse la vera sorpresa della stagione, e qui non parliamo del ruolo del playmaker ma in generale. Jeremy Lin, da quando è esploso con le partite-monstre di cui tutti siamo stati testimoni, ha creato una vera e propria mania, la LinMania appunto, che ha spopolato soprattutto nello scorso mese di febbraio.

Da quando è diventato titolare infatti è stato protagonista della striscia di vittorie dei Knicks grazie alla sua energia e alla sua imprevedibilità. In lui non scorrono i geni del playmaker d’antan, però a differenza di altri, ha la capacità sia di accendersi e creare per sé, sia di fare il classico play che diligentemente organizza i giochi e lascia il proscenio agli altri. Se si guarda però i momenti in cui risulta più efficace, sono ovviamente i momenti in cui ha libertà d’azione e palla in mano durante lo sviluppo del gioco, sia per una conclusione che per un assist. Nelle ultime 18 partite, da quando cioè ha avuto quasi 35 minuti di media, le sue statistiche parlano di 19 punti e 8.2 assist.

Fino a questo momento abbiamo suddiviso i playmaker moderni tra play classico e point guard. Ora parliamo di una categoria a parte, la categoria Rondo.

Il play di Boston, entrato nella lega nel 2007 e già vincitore di un anello di campione NBA con Boston nel 2008 è infatti un play che difficilmente si riesce a catalogare, perché non ha abbastanza tiro da potersi costruire una conclusione che non sia vicino al ferro e non è abbastanza inseribile in uno schema mentale classico da farne di lui un organizzatore di gioco.

Ne esce uno splendido giocatore che vive tempi offensivi tutti suoi e che riesce a massimizzare il lavoro dei compagni servendo in media 10.4 assist (secondo in stagione solo a Steve Nash) e grazie alla sua iperattività riesce ad essere un terribile rimbalzista per la stazza, diventando la classica “tripla doppia in the making” come dimostrano alcune prestazioni stagionali, prima tra tutte quella in casa contro i Knicks che lo ha visto scrivere a referto 18 punti, 20 assist e 17 rimbalzi, un’enormità per un play di 1,85 per 84 kg.

Menzione a parte va per un giocatore che quest’anno sta confermando quanto di buono mostrato già la scorsa stagione. Kyle Lowry, play di Houston, dopo un difficile inizio nella lega a Memphis ha infatti trovato la sua consacrazione in Texas grazie al suo gioco pieno di fosforo che lo porta ad essere un po’ l’antitesi di Rajon Rondo. Al momento Lowry, titolare in stagione di 15.9 punti e 7.2 assist di media, pare uno dei candidati più seri per essere il prossimo ad essere etichettato come “grande play” di questa stagione.

Stagione che, come visto, può essere davvero già da ora ricordata come quella della rinascita del ruolo. Bentornati!

7 thoughts on “I Playmaker son tornati!

  1. Vorrei ricordare Brandon Knight…magari non sarà al livello di Irving, ma con Jeremy Lin me lo gioco….

  2. Riproviamo… gran bell’articolo, complimenti ! Ci aggiungerei una categoria a parte per i playmaker che hanno uno stile playground, i primi due che mi vengono in mente sono Skip to my Lou e Jamaal The Abuser, anche se sono passati i loro migliori anni.. che ne pensate ?

  3. nei play dominatori dell’era nash e kidd non si cita billups. magari non un grandissimo distributore di gioco, ma come trascinatore e vincente ha segnato un’epoca.

  4. Bell’articolo, ma Lin ha un po’ rotto le balle…non ha la minima idea di cosa sia il lato sinistro della metà campo offensiva e gode di un hype mostruoso solo per via delle sue origini e della sua storia personale…citare lui e non citare un Conley ad esempio mi pare quanto meno delittuoso.

  5. Il premio ROY lo vincerà Irving, ma siamo cosi’ sicuri che il giocatore piu’ forte di questo draft non si chiami klay thompson

  6. Rubio e Lin non sono paragonabili secondo me. Sul fatto che Rubio sia un play “vecchio stile” non ci sono dubbi mentre su Lin non posso dire altrettanto

  7. Bè parliamoci chiaro, penso sia opinione di tutti che se Lin fosse stato un “Jackson” o un “Johnson” non sarebbe stato nessuno….non che adesso sia chissà chi è.

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