Saranno anche "vecchi", ma nessuno vorrà incontrare Duncan e Garnett nei playoffs

E chi se lo sarebbe aspettato. Spurs primi a ovest, Lakers terzi, Suns in lotta per i playoff e Celtics quarti ad est.

Età media alta, giocatori sul viale del tramonto che tirano fuori le unghie, vecchietti terribili che vanno oltre i pronostici sfoderando una stagione che nessuno si sarebbe aspettato.

In un’annata strana da 66 partite, dove mediamente si gioca ogni due giorni, con spesso tre gare consecutive ci si aspetterebbe che, con lo scorrere della stagione, queste franchigie perdano la freschezza iniziale, invece stanno progressivamente migliorando sfoderando risultati sempre più convincenti.

Anzi, tutte, dopo un inizio sicuramente balbettante, stanno cominciando a collezionare vittorie contro formazioni più giovani, e quindi sulla carte favorite a livello atletico.

Quali possono essere i motivi di queste prestazioni sorprendenti?

Innanzitutto non possiamo ricercare un unico motivo ma abbiamo sicuramente una serie di circostanze che, amalgamate insieme, hanno determinato questo interessante risultato.

Per primo la capacità gestionale dei singoli. Impossibile essere un campione affermato e vincente senza un atteggiamento mentale positivo rivolto solo al proprio lavoro, inoltre l’esperienza maturata, durante gli anni di permanenza in NBA, ha permesso a questi campioni di essere sempre sul pezzo, capaci di recuperare le energie anche dopo trasferte lunghe.

Inoltre sono  indispensabili le competenze dello staff nel preparare i giocatori e nel saperli ruotare in base alla lettura della partita perché, durante una stagione regolare, con tutte le trasferte per gli Stati Uniti, è importante ricaricarsi. Il concetto si amplifica se si guarda ad una Regular Season di questo tipo.

In più senza una dirigenza in grado di affiancare “riserve” di valore che giochino con grande continuità di rendimento, il lavoro per tutta la franchigia si complica notevolmente.

Tutti questi elementi, se non ben gestiti, portano risultati disastrosi, infatti, all’inizio della stagione queste squadre hanno fatto un po’ fatica ad ingranare, mentre per formazioni più giovani è stato più semplice cominciare l’annata in quarta per il maggior entusiasmo e tenuta fisica. Squadre con una maggior percentuale di veterani hanno dovuto impostare una preparazione che portasse i giocatori migliori in forma nel momento chiave della stagione.

I Boston Celtics sono la rappresentazione più pura dei concetti sopra citati. I veterani sono dei professionisti da ogni punto di vista, con la grande capacità di gestirsi e di condurre la squadra verso la vittoria. Garnett è un esempio per tutti ed è decisamente più famoso per le “zingarate” che fa in campo piuttosto che per quello che riguarda l’extrabasket.

Allen continua a martellare da tre come se la stanchezza non la sentisse, e tutto ciò è merito dell’interessante metodo con il quale Doc Rivers gestisce i titolari e imposta le partite. I tre tenori di Boston, il terzo Pierce è semplicemente the Captain and the Thruth, hanno una media di 33 minuti per partita, giocando meno del 70% del tempo totale.

Inoltre l’esplosione di Boston corrisponde con l’incredibile crescita di prestazioni di Rondo che continua ad andare in doppia-doppia unendo a punti e assist anche una quantità smodata di rimbalzi. La consolidata continuità di giocatori come Bass, Bradley e Pietrus (pre infortunio) aiutano notevolmente i titolari a spartirsi le responsabilità all’interno del match. In più Rivers continua, giustamente, a puntare sui fondamentali di squadra, caratteristica dove i Celtics sono maestri, rallentando spesso il ritmo della partita, nonostante le caratteristiche del play americano.

Lo stesso esempio può valere per una squadra come San Antonio, dove a comandare non sono gli uomini ma il sistema di Popovich.

L’enorme disciplina imposta dal generale Pop e la capacità di scegliere i giocatori dal nulla e trasformarli in campioni (Ginobili scelta 57 e Parker 29) è tipica di questo allenatore. E’ anche vero che la compagine texana ha il vantaggio di avere maggiori forze fresche all’interno del roster, facendo sì che il prodotto Spurs sia vincente da parecchi anni.

Formato da giocatori estremamente intelligenti che hanno perfetta cognizione del loro stato fisico (vedi Ginobili, che ha chiesto e ottenuto di partire dalla panchina), quello che spicca anche quest’anno è l’efficacia del sistema.

Scegliere di perdere una partita apposta per “dare una lezione” ai titolari, oppure recuperarla con le riserve è una caratteristica comune per questo allenatore che ha l’autorità di usare questo metodo. Inoltre la scelta di giocatori estremamente adatti al modo di stare in campo e la disciplina imposta ai propri ragazzi rende questo modello unico.

Poi se hai la possibilità di schierare Duncan che continua a giocare ad altissimo livello, con delle capacità uniche nel rimanere sempre concentrato, e una conoscenza del gioco non comune, è molto più semplice.

Ma anche qui sta il genio di coach Pop che non schiera mai il caraibico per un back-to-back mostrando però come i “sostituti” possono essere decisivi. La sensazione è che tutta la squadra sia sulla stessa frequenza: difficile trovare una situazione fuori dal campo che non sia in ordine, e i giocatori più problematici (vedi Neal in quel di Treviso) vengono presto “raddrizzati”.

Disciplina e metodo: tutto il contrario rispetto alla soap opera errante chiamata Lakers.

I laghi di Los Angeles rappresentano un caso più particolare, dove spicca senza dubbio la gestione dei singoli piuttosto che un sistema collaudato. Per un allenatore appena arrivato nella città degli angeli, soprattutto dopo Jackson, riuscire ad insegnare un metodo offensivo adeguato e vincente è pressoché impossibile come è impossibile fidarsi della dirigenza e di Jimmy Buss in particolare.

Da rilevare, come spesso le squadre di Brown prediligano l’aspetto difensivo con degli schemi offensivi molto semplici: palla ai talentuosi. Per questo, a differenza degli esempi sopra citati, in questo caso incide molto di più la gestione e la motivazione dei singoli piuttosto che un vero sistema collaudato.

Bryant è l’esempio più incredibile: dedizione al gioco che definire maniacale è quasi riduttivo. E’ vero Kobe è spesso in giro per sponsor e incontri vari ma a casa possiede una palestra, dove d’estate continuamente si allena per mantenersi in forma.

Tiri, addominali, pesi: fa tutto il necessario per migliorare il proprio corpo e i risultati, sebbene abbia 34 anni, sono ottimi. Diverso il discorso per il mitico Metta che, per sua stessa ammissione, non ha curato la condizione ed è arrivato al Training Camp sovrappeso.

Infatti, non è riuscito a mantenere prestazioni importanti come quelle degli anni precedenti, anzi è peggiorato segno che è indispensabile con l’età che avanza, avere un metodo di lavoro continuo. La stessa cosa vale per Gasol che ha iniziato la stagione demotivato, visto che era sicuro della cessione, ma poi è riuscito parzialmente a ritrovarsi inanellando diverse buone prestazioni. Bynum, ha cominciato a diventare dominante, anche se è sicuramente favorito dall’atteggiamento dell’allenatore che lavora molto bene con i lunghi.

Per i Lakers quindi il discorso della buona posizione in classifica è legato all’atteggiamento della sua stella principale che sta monopolizzando il gioco. Non è vero affermare che i Lakers sono Brayant-dipendenti ma il fatto che il giocatore più rappresentativo si senta sempre in dovere di salvare la patria è un fatto inconfutabile e ci saranno problemi quando si entrerà in clima playoff.

Il discorso può essere simile per i Phoenix Suns ma con delle eccezioni. Intanto la squadra è guidata da un giocatore straordinario: Steve Nash. Anche per lui vale lo stesso discorso fatto per Kobe: estrema dedizione al gioco e professionalità nell’interpretarlo, unito a un talento immenso.

Un esempio indicativo di abnegazione sul play canadese sta nel fatto che alla fine di allenamenti e partite è solito rigenerarsi  in una vasca con acqua ghiacciata per “purificarsi”dalle fatiche. Curioso il commento di un vecchio assistente-allenatore su questo aneddoto che dichiarava come l’acqua della vasca fosse troppo gelida anche per delle birre.

Piccole cose che però sono indispensabili per mantenere una carriera lunga e prolifica, e i dati sono dalla sua parte: 32 minuti di media con 12 punti e 11 assist. In più sono riusciti ad assemblare buoni giocatori come Morris, Dudley, Brown sicuramente non dotati di talento cristallino ma valorizzati dal sistema di gioco.

L’esplosione di Gortat, che comunque ha 28 anni, è indice della grande abilità di coinvolgere tutti all’interno del gioco. Di media 6 uomini vanno in doppia cifra e altri 2 ci vanno decisamente vicini. Non solo ma la presenza di Hill, trentanovenne, che continua a giocare per oltre 29 minuti, è segno che anche se sono eccezioni poco comuni con la giusta mentalità e conoscenza del gioco è sempre possibile essere competitivi.

Questi elementi sono importanti per far si che una squadra composta dai “vecchietti alla riscossa” rimanga competitiva, rendendo una franchigia veramente pericolosa. E’ vero che tra i quattro esempi proposti quello di San Antonio sembra l’unico a calzare a pennello nella nostra analisi, infatti, ha il miglior record delle quattro, e la sensazione è che sia la più competitiva anche per un eventuale playoff.

E’ anche vero che l’anno scorso San Antonio, testa di serie, è stata eliminata da Memphis al primo turno ma sulla carta la squadra di coach Pop sembra aver trovato un equilibrio incredibile.

Quindi con una franchigia con un età media elevata l’importanza di tutti questi  fattori si amplifica: i giovani devono essere maggiormente responsabilizzati e i veterani hanno l’obbligo di mantenere una concentrazione maggiore rispetto a quella richiesta ad una squadra normale.

Però, se tutto gira come dovrebbe, le possibilità di arrivare fino ad un buon punto dei play-off possono essere molte, e per le altre organizzare una serie contro queste squadre sarà estremamente complesso.

8 thoughts on “L’NBA e quegli arzilli vecchietti

  1. Sui Lakers: la posizione in classifica non e’ certo buona grazie a Kobe, ma grazie alla squadra. Se Kobe si fosse infortunato 2 mesi fa ora i Lakers sarebbero primi.
    e’ sotto gli occhi di tutti come i Lakers giochino meglio senza Kobe: non serve neanche guardare le statistiche..Bynum e Gasol finalmente sono liberi e giocano divertendosi, senza l’ incubo di dover sopportare ogni volta le 15 mattonate serali del mamba..
    Certo quando cominceranno i playoff bisognera’ averlo in campo, ma ora questa pausa fa molto bene alla squadra e si spera che al rientro kobe abbia molto riflettuto su quanti tiri puo prendersi a partita, magari guardandosi un po come gioca lebron..

  2. per poi giungere alla conclusione che se gioca come nei quarti perdiodi delle finali 2011 o come ha fatto in quelle del 2007 è meglio darla a Kobe… non sono un fan o un hater di nessuno nell’NBA ma dire che al momento uno pur forzando e facendo l’antipatico, in campo ovviamente fuori non mi interessa, qualcosa ha vinto e l’altro (senza commentare le scelte di team) giocado come ha fatto non ha vinto è una considerazione lecita…

  3. IL SOLITO GRAN BEL PEZZO DI PLAYITUSA!!!!

    lacustrexsempre

    ….fai ridere i porci..ehehe!!!….mai un fan di questa franchigia scriverebbe che i lakers giochino meglio senza kobe….soprattutto quando e’ chiaro il contrario.
    E vorrei ricordarti una cosa…..il carattere a questa squadra la trasmette il capitano….che con la sua fame di vittoria rende competitivo anche gasoft!!…..Strano che l’anno scorso la prematura fuori uscita dai playoff nn ti sia servita da lezione….perche’ i lakers hanno dimostrato una volta in piu'(semmai ce ne fosse bisogno) che senza il mamba nn sn gran cosa….

    • e’ chiaro che kobe e’ il leader e che senza di lui nei playoff non si va lontano. Dico pero’ che i lakers giocano meglio adesso che kobe non c’e’… e vincono pure.
      quest’ anno kobe ha davvero esagerato con le sue forzature assurde e ora i giocatori glielo stanno facendo capire sul campo e con i fatti.
      Speriamo che il mamba capisca e che al rientro, al posto dei soliti 8/10 jumper sparati alla cazzo sul ferro, dia quei 8/10 palloni a bynum o gasol..
      Basterebbe che kobe giocasse alla lebron..e sti lakers sarebbero da titolo

  4. Da Lebron? Cioè nel 4° quarto la manda in vacca? (si si scherzo dai) ;)……ahahahah….bella questaaa!!!

    E’ ovvio che senza il piu’ grande giocatore e solista al mondo si debba trovare un gioco ramificato in cui i passaggi ed il giro palla sia superiore.Avere un go to guy alla bryant rende un ottima squadra in una contender.New york, prima del avvento di un ottimo Carmelo, ha portato a casa una serie di grandi vittorie, ma nulla ciò toglie il fatto che si possa prescindere dalla sua classe.Il discorso e’ un po’ diverso…il kobe delle ultime partite ha tirato poco(rispetto ai suoi standard) e bene…..a differenza di quel mese scellerato in cui ha messo in primo piano le sue statistiche(cosa che per altro ha avuto un risvolto negativo su quest’ultime stesse e sulla sua candidatura a principale mvp dell’anno).
    La mia opinione e’ che debba prendersi 20 tiri a partita e se necessario ed in serata qualcosa in piu’.Non e’ che al posto suo quei tiri li debba prendere tizio o caio….deve semplicemente tirare quando e’ in ritmo…!!!..
    PS: CHIEDO VEGNA PER QUANTO RIGUARDA I TONI DEL COMMENTO PRECEDENTE…UN SALUTO….

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.