Tom Thibodeau e Gregg Popovich sono come al solito candidati per il titolo di Allenatore dell'anno.

La creazione di una squadra, di anno in anno, non è il semplice assommare talento, il più possibile, ma richiede la scelta di giocatori funzionali allo stile di gioco dell’allenatore e ai compagni di squadra. Una volta strutturato il roster è compito dell’allenatore far rendere al meglio ogni singolo giocatore.

Come ogni anno a fine stagione regolare è tempo di riconoscimenti individuali non solo per protagonisti in campo, ma anche per chi, come Allenatori e General Manager, assemblano e dirigono le trenta franchigie NBA.

Un occhio particolare va naturalmente alle squadre dal rendimento migliore ma tra i capo-allenatori che hanno deluso maggiormente le aspettative perché incapaci di cambiare lo stile di gioco rispetto alla passata stagione sono Brooks e Spoelstra, che difficilmente potranno ambire al premio di “Coach of the Year”.

I Thunder hanno avuto fin da inizio stagione il miglior record assoluto ma un finale di stagione zoppicante è costato il sorpasso ad opera degli Spurs. I miglioramenti nei risultati della squadra di Brooks sono dovuti più alla maturazione naturale di giocatori di talento ma ancora molto giovani come Durant, Westbrook e Harden.

Spoelstra invece non è riuscito a far cambiare il modo di giocare ad una squadra che ha tre top-player e un cast di supporto inadeguato. La difesa è ancora una delle migliori della Lega ma in attacco si ricade negli stessi errori passati nella fase offensiva: poca circolazione, isolamenti continui e poche soluzioni in area.

Chi rischia di ripetersi è Tom Thibodeau. Chicago ha giocato per quasi mezza stagione senza Rose senza averne risentito come ci si sarebbe aspettato. A turno i vari Deng, Boozer, Watson, Lucas, Noah e Korver hanno alzato il livello di gioco e sopperito alla mancanza del MVP 2011.

Thibodeau ha imposto una regola in spogliatoio a cui non è disposto a rinunciare: chi non difende non gioca. Senza trattamenti privilegiati l’ex assistente di Doc Rivers ha rafforzato la sua credibilità presso i giocatori e i risultati hanno fatto il resto anche se ad oggi il mancato prolungamento del contratto può destabilizzare l’ambiente soprattutto se Chicago non facesse meglio della passata stagione.

Ad Ovest menzione d’obbligo per Gregg Popovich che nonostante un Duncan “vecchio” e un Ginobili spesso ai box è riuscito a plasmare una squadra con giocatori scarto di altre franchigie. Da Blair a Green, passando per Bonner, Neal, il ritorno di Jackson e l’arrivo di Diaw.

La forza di San Antonio è Popovich stesso e il rapporto che ha saputo creare con le sue tre stelle. Chi non si adegua alla “Spur’s Culture” può tranquillamente andarsene ma chi resiste cresce in tutti gli aspetti del gioco, l’esempio del rookie Leonard è lampante.

Tornando a Est la sorpresa maggiore è il ritorno dei Boston Celtics, dati dai più ormai finiti, hanno saputo rigenerarsi per l’ennesima volta. Il segreto? Una squadra esperta che sa come dosare le forze e qualche accorgimento tattico.

Infatti Doc Rivers merita di essere tra i candidati per la capacità che ha dimostrato di saper osare e ristrutturare le gerarchie di un gruppo assieme ormai da diversi anni. Come prima mossa ha spostato Garnett da centro. Il cambiamento favorisce il numero 5 in attacco perché può giocare contro avversari più lenti e permette di affiancargli Brandon Bass, molto più efficace di Jermain O’neal, senza risentirne troppo in difesa.

Altra varante decisiva è il nuovo ruolo di Ray Allen. Uscendo dalla panchina Allen ha la possibilità di avere più possessi in attacco come leader del secondo quintetto. Al suo posto parte Bradley, ottimo difensore che spesso è utilizzato in marcatura sui playmaker avversari. Più difensore di contenimento rispetto a Rondo, abilissimo sulle linee di passaggio ma che gioco solo per il recupero, Bradley garantisce un equilibrio maggiore alla difesa e Rondo è libero di cacciare palloni senza sbilanciare la squadra.

Tornando ad Ovest dopo una partenza lenta Mike Brown ha condotto i Lakers fino alla terza piazza dietro Spurs e Thunder. L’abilità di Brown è stata quella di non imporre a forza una pallacanestro che è all’opposto di quella predicata da Jackson e di cercare collaborazione con i giocatori stessi, Bryant in primis.

Da sempre considerato uno specialista della difesa Brown ha impostato anche una linea offensiva basata su palla in posta basso e sulla ricerca non della soluzione più rapida ma molta circolazione con schemi dalle molteplici opzioni.

Uno dei suoi punti di forza per la candidatura è la serie di vittorie anche in assenza Bryant, con un gioco più corale e più responsabilità distribuite. Senza Bryant non si vince il titolo ma è innegabile che la presenza del numero 8 in campo sia forte e accentratrice.

Candidatura romantica e senza alcuna possibilità di vittoria per coach Alvin Gentry. I Suns non sono una squadra giovane e futuribile, sono guidati in campo da due quasi quarantenni, un centro polacco e un sesto uomo che negli ultimi anni può contare più operazione che partite giocate.

Nella sempre ipercompetitiva Wester Conference Nash e compagni si sono giocati fino all’ultima partita l’ingresso nella post-season, onore e merito al play canadase ma anche a coach Gentry che è riuscito a stimolare una squadra che poteva benissimo considerare la stagione come di transizione in attesa dell’addio del numero 13.

Chi invece deve lavorare al meglio durante la off-season sono tutti i trenta General Manager che in estate cercano di rafforzare le trenta squadre NBA chi con pochi soldi a disposizione, chi con il draft, chi con svariati milioni da offrire ai free-agent che di anno in anno si liberano dal contratto precedenti.

Anche la finestra di mercato che si apre ad inizio stagione e si conclude con l’All Star Game può riservare occasioni interessanti come l’arrivo in maglio Pistons di Rasheed Wallace nell’inverno 2004, il tassello mancante alla squadra di Larry Brown campione poi in estate, ma spesso è utile solo per ritocchi al roster sia per rafforzare la panchina in vista dei play-off, sia per scaricare contratti per alleggerire il monte salari.

Tra i riconoscimenti individuali quello di “Executive of the year” è quello meno seguito dal pubblico anche perché non coinvolge direttamente un protagonista del campo, ma non meno ambito da chi la NBA la vive da dietro una scrivania.

R.C. Buford non ha mai vinto il premio nonostante abbia dimostrato in queste ultime stagioni di saper scegliere i giocatori adatti, sia al draft sia sul mercato. Gli Spurs non vincono il titolo dal 2007 ma Buford è in carica dal 2002 ed è coprotagonista dei tre titoli di inizio millennio.

Quest’anno ha dato un’ulteriore prova delle sue capacità scegliendo Leonard al Draft e soprattutto ha rinforzato la panchina con due veterani come Diaw e Jackson scaricando in contemporanea Jefferson che non era mai riuscito ad integrarsi realmente nel contesto Spurs.

San Antonio così ha trovato un cambio dei lunghi con esperienza e talento ed un esterno che già conosce l’ambiente, entrambi pronti a sacrificare minuti per poter giocare per il titolo.

Criticato da molti quando era da poco in carica come G.M. dei Memphis Grizzlies per la decisione di scambiare Pau Gasol, Chris Wallace ne raccoglie oggi i frutti e con scelte mirate al Draft negli anni successivi ha costruito una delle squadre più solide e competitive ad Ovest.

Dopo i sontuosi play-off della scorsa stagione il difficile sarebbe stato quello di riconfermarsi. Wallace in estate ha allungato il contratto di Marc Gasol rendendo il catalano assieme a Randolph e Gay i giocatori di riferimento della squadra.

Gli infortuni di Arthur e Randolph hanno indotto Wallace a tornare sul mercato trovando in Speights dei 76ers un ottimo sostituto. La mossa a sorpresa è stata la firma di Arenas ed ora che anche Randolph è tornato , Grizzles, che chiudono la stagione a ridosso delle due squadre di Los Angeles, sono pronti a dare l’assalto ai play-off.

Restare competitivi nonostante ogni anno cambiamenti radicali nel roster è la caratteristica dei Denver Nuggets degli ultimi anni. Masai Ujiri in pochi anni ha rivoluzionato una squadra che era salita fino alla finale di Conference. Dopo l’addio di Anthony e Billups, le mancate riconferme di JR Smith e Martin quest’anno è stato il turno di Nenè.

Denver è anche quest’anno ai play-off e ha uno dei monte salari più basso della Lega, una situazione ottimale per un futuro solido e da protagonisti.

Infine chi ha pazientemente aspettato che i giovani crescessero fino a raggiungere il terzo posto ad Est sono i Pacers di Larry Bird. Prima del lock-out lo scambio di una scelta futura per George Hill, poi la firma di un biennale di West e l’arrivo a metà stagione di Barbosa. Una squadra giovane è diventata così una realtà ad Est con solide speranze di passare il primo turno dei play-off.

Anche in questo caso il lavoro negli anni di Bird da i frutti in questa stagione e sicuramente non potrà che migliorare in futuro anche se lo stesso Bird ha annunciato il suo ritiro definitivo a vita privata.

In attesa di veder incoronata la nuova regina della stagione 2011-12 abbiamo azzardato una lista degli allenatori e dei G.M. che hanno una possibilità di essere nominati i migliori nel proprio ruolo per quest’anno.

3 thoughts on “The Road to… Coach and Executive of the year

  1. A mio parere non si possono inserire brown e gentry e dimenticarsi di vogel che e’ arrivato terzo a est…x me merita il premio

  2. ma Othis Smith dei Magic? Lui non lo vedrai mai, da tifoso Magic ti dico che se la gioca con Colangelo come GM più scarso della lega

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