La felicità dei Big3, finalmente Campioni !

Doveva essere Lebron James, e Lebron James è stato. Le finali Nba 2012 sanciscono la definitiva incoronazione del giocatore di pallacanestro più discusso degli ultimi tempi, che insieme ai suoi Heat festeggia il primo anello personale e il secondo nella storia della franchigia.

I numeri delle gara sono quanto mai irrilevanti e tutti dalla parte di un team, in una notte in cui, escludendo i primi dodici minuti, la vincitrice era già stata designata dagli dei di questo sport , che le hanno finalmente regalato il più meritato e cercato dei Larry O’Brien trophy.

Una serata storica, suggellata da LBJ con l’ennesima “playoff triple-double” da 26 punti, 13 assist e 11 rimbalzi, numeri che corredano una prestazione dominante sotto ogni aspetto.

Gli Heat trovano altri tre uomini con 20 o più punti, Dwyane Wade, in ufficio, autore di venti punti e otto rimbalzi, Chris Bosh, 24 punti, e Mike Miller, impressionante, che incornicia forse la sua ultima partita in carriera con 23 punti.

Il 4-1 finale non rende troppo onore agli Oklahoma City Thunder, che aldilà di questa “strana” gara 5, nelle precedenti tre sconfitte hanno perso con uno scarto medio di 4-5 punti. Per dirla alla Doc Rivers, la differenza tra un pallone che entra ed uno che esce.

Durant è, numericamente, il migliore dei suoi, con una scollinata sopra i trenta da 32 punti che fanno doppia – doppia con gli 11 rimbalzi. Westbrook sembra per una volta la sua stessa controfigura, poca energia e zero intensità e, dopo un il primo quarto da 11 punti, si ferma a sole 19 realizzazioni.

Dei Thunder , nessuno ha dato l’impressione di poter realmente strappare gara 5 e riportare la serie alla Chesapeake, neanche quell’Harden poco producente in gara 4 da cui ci si aspettava la più grossa reazione (chiuderà con 19 punti, la maggior parte dei quali nel “garbage time” finale).

Il Recap

Gara 5 è la 804° gara in carriera per Lebron James, quella che può significare finalmente titolo per l’uomo più atteso, chiamato all’ultima vittoria “che lo consacrerebbe al suo destino”.

Le parole del prescelto di due giorni fa ( “Ho un lavoro da fare, ed il mio lavoro non è ancora finito”) risuonano nell’aria della Triple A di Miami sin dalla palla a due, e lo stesso realizza 7 punti nei primi sei minuti del quarto, con due giocate da fallo e canestro di indubitabile potenza fisica.

Ma non è solo il n°6 a fare la partita, che si gioca testa a testa tra le due squadre. Durant e Westbrook cercano invano di ricucire il primo strappo Heat, e il primo giro di cambi porta in campo da una parte Mike Miller e Norris Cole, dall’altra James Harden per Sefolosha, autore di due falli prematuri.

4 punti consecutivi in entrata di Chris Bosh fissano il punteggio sul 22-15 per i padroni di casa. Ma il massimo vantaggio del quarto arriva a quota +9 in due occasioni ( 28-19 e 31-22) e a firmarlo sono i “signori nessuno” Cole e Miller, che mettono tre triple in due.

Nonostante un approccio non all’altezza, i Thunder concludono con uno svantaggio a prezzo di saldo il primo periodo, infilando un mini-break di 4-0 negli ultimi 52 secondi della frazione che li porta sul 31-26 finale.

Tra primo e secondo quarto sono emblematiche le parole di coach Scott Brooks ai microfoni di NBA TV, che in attacco predica un maggiore movimento del pallone, e in difesa, argomento trattato a lungo negli ultimi giorni, si dimostra quasi abbattuto dalla capacità degli Heat di batterli dall’arco quando decidevano di riempire l’area e di punirli nel colorato quando non mandavano raddoppi sui post-up di LBJ e soci.

La musica non cambia nel secondo quarto, e l’aggressività di Miami resta inalterata al pari di quella poco consistente dei Thunder. Fisher segna punti importanti, e dopo una sua tripla Oklahoma rischia l’aggancio sul 32-34.

Ma da qui in poi è solo Miami, che piazza un parziale di 19 a 4, sorretto da un altro paio di bombe di un eroico Mike Miller da 4-4 dalla lunga distanza fino a qui, nonostante i ben noti problemi alla schiena, e da altre giocate fisiche al ferro di Lebron.

Massimo vantaggio del quarto per i rossi, che sul +17 mollano troppo presto il manubrio, e concedono un alto numero di liberi ad Harden e Westbrook, abili e concentrati nel convertirli in punti utili. Dopo il terzo fallo che costringe Wade alla panchina a 5:35 dal termine del quarto, sale in cattedra anche KD35, che mette una bomba ed una piuma a tabella che porta i suoi ad un tutto sommato “positivo” –10 al termine della prima metà di gara, che è sottodimensionato rispetto al gioco espresso in campo dalle due squadre.

Parole tendenti alla sdrammatizzazione quelle di Miller nella consueta intervista tra le due metà di gara. “Come mai sei così libero?” è la prima domanda che gli rivolgono, e sapientemente il veterano ex – Memphis risponde con un emblematico “All the guys double Lebron, double Wade”, sottolineando come la grande attenzione difensiva sul “dinamic duo” di Miami porti inevitabilmente a più spazi per buoni tiri dei compagni.

È la seconda domanda che, però, mette in evidenza un aspetto più rilevante di questo gioco, perché quando gli domandano in che stato si trovi fisicamente Miller è costretto ad affermare col sorriso che “è una gara 5”, quasi a dire “non puoi sentire dolore in un occasione così, vado a farmi curare dopo.”

Dopo la pausa lunga non c’è più partita se non per qualche minuto, perché i Big 3 degli Heat hanno intenzioni chiaramente bellicose, mentre i Thunder hanno sul volto i segni della sconfitta troppo presto, e gli unici a giocare ancora sono Kevin Durant e Derek Fisher.

Gli Heat scappano via in modo irrecuperabile, e sul finire della terza frazione toccano il massimo vantaggio della gara, +26, che è pura statistica, perché la gara non c’è più da tempo. Fisher da sfogo alla sua rabbia interna con un flagrant di tipo 1 su James, ma da qui in poi in Thunder alzano bandiera bianca e il quarto periodo è solo questione burocratica, passerella per alcuni giovani e palcoscenico di addio per altri, come il pluri – veterano Juwan Howard.

Le chiavi della partita

Segnare il profilo tattico di una gara 5 insolita come questa è compito ardito, arditissimo. Potremmo analizzare possesso per possesso gli ultimi 48 minuti di questa stagione, ma la chiave, probabilmente, più che tattica è emotiva. La presenza mentale delle due squadre si è rivelata totalmente differente, gli Heat erano a mille su ogni possesso anche sul +26, i Thunder parevano frastornati già dai primi possessi.

Come ribadito da Scott Brooks, i Miami Heat hanno punito tutto il punibile, da tre, dalla media e al ferro, e gli aggiustamenti degli ultimi due giorni (raddoppi spudorati in post-up su LBJ) non hanno dato alcun frutto se non levare la palla dalle mani del Prescelto che ha saputo regalare metri di spazio ai suoi compagni. Complice è stato un sistema di rotazioni difensive dei Thunder decisamente poco efficace, che ha consentito in numerose occasioni i vari Bosh e Wade di arrivare al ferro senza nessuna contestazione sulla linea di penetrazione, e il che non è giustificabile in una gara di finale importante come questa.

Ancora una volta si potrebbe imputare a Scott Brooks un ridotto minutaggio dato al sapiente Nick Collison che anche in una gara come questa è l’unico a finire con un plus – minus positivo, un +3 che è comunque oro colato paragonato ai -26 di Ibaka e al -14 di Perkins.

Un giocatore sicuramente limitato in attacco, ma che a differenza degli altri elementi del front – court di Oklahoma è stato l’unico a mettere in campo una difesa tecnica e associata ad un concetto più logico di squadra, che è altra roba rispetto alle giocate di solo atletismo e agonismo di Serge Ibaka, poco continue e poco funzionali a questo livello.

Sull’altra sponda, si può dire che finalmente Erik Spoelstra abbia dato ai suoi un sistema più consono alle loro capacità, i cui risultati restano si ancorati alle prestazioni del 6 e del 3, ma che finalmente mette i due in maggiore movimento e li rende più pericolosi in ogni zona del campo.

Convincere D-Wade a lavorare da point – guard non è stato facile per Erik, ma la mossa è stata forse la più azzeccata, dato che casualmente l’unica gara che Miami ha lasciato in queste finali è stata quella gara 1 in cui Wade è sembrato un po’ disorientato.

La jacksoniana filosofia del “stay the moment” è stata in toto ereditata dall’allievo di Pat Riley, che l’ha trasmessa ai suoi e li ha resi consapevoli che solo il fare la cosa giusta al momento giusto li avrebbe portati alla vittoria finale, senza improvvisazioni e senza discussioni.

MVP della gara

Se volessimo assegnare un MVP romantico di gara 5 la scelta non potrebbe che ricadere sull’immenso Mike Miller, che oltre al dolore fisico e oltre a dei complicati problemi , che probabilmente metteranno la sua carriera a rischio, ha messo insieme una sera da 7-8 da tre e 23 punti di inestimabile incidenza sulla gara.

La differenza di impatto fisico, mentale e tattico, però, l’ha messa in campo per l’ennesima volta il ragazzo da Akron, Ohio, che ha finalmente dimostrato di aver acquisito l’esperienza necessaria per gestire nel giusto modo una serie di finale.

Ha messo in ritmo i compagni, ha difeso, ha raccolto rimbalzi, ma ormai nulla di nuovo per le qualità di Lebron che su questa gara come su questa finale lascia una sua traccia concreta, aldilà dei numeri, perché in un contesto complicatissimo per il suo status di giocatore ha buttato giù una serenità mai vista nei suoi occhi.

Una serenità che lo fa sembrare solo lontano parente del Lebron visto alle finali dello scorso anno e ancora prima a quelle del 2007. La tripla – doppia conclusiva va direttamente nel libro degli annali di questo sport, ma, ripetiamo, è pura statistica, perché Lebron è maturato nel richiamare i compagni all’ordine, nel gestirli come un burattinaio, grazie anche alla mano di Wade, che gli ha affidato le chiavi della squadra dopo le scorse finali perse.

MVP delle Finali

Neanche a dirlo, l’MVP delle finali è, facile a pronosticarsi, Lebron James. L’uomo del “not four, not five, not six, not seven” di neanche due anni fa si è messo sulle spalle la squadra e l’ha portata al primo di quella che lui ha predetto sia una lunga serie di titoli. Anche qui le statistiche delle finali ci tornano utili, 28.6 punti, 9 rimbalzi e 5.8 assist di media nelle cinque gare, ma questo dato è solo la metà della Luna.

Lebron è stato l’MVP delle finali perché non è stato il Lebron delle edizioni precedenti. Lo aveva affermato nella conferenza stampa pre – gara 5, quando aveva sottolineato ai microfoni che adesso sentiva il dovere di prendersi la responsabilità di fare delle giocate – svolta per le partite, come la tripla su una gamba in gara 4, cosa che non aveva fatto nel 2007, tantomeno nel 2011; e lo ha ribadito nell’intervista successiva al termine dell’ultima partita stagionale, quando senza parole si è lasciato tradire da un po’ di commozione: “è stata dura lasciare Cleveland”, ha detto, “ma l’ho fatto per il mio bene, per andare in una franchigia che ha davanti ha un futuro brillante”.

E ancora: “Questo titolo significa tutto per me, è un sogno che si avvera, è il momento più decisivo che ha portato a questo trionfo sono state le finali dello scorso anno, perché l’estate passata mi hanno costretto a tornare sui fondamentali”.

Un processo che lo ha reso migliore dentro e fuori dal campo, un percorso iniziatico che tutti i campioni, chi più a lungo chi più brevemente, hanno dovuto affrontare.

Oggi Lebron ha vinto il suo primo titolo prima di compiere 28 anni, e in questo neanche MJ ci era riuscito. I paragoni si son sprecati sin dal 2004, da domani si sprecheranno ancora di più. Ma questo non importa molto e James lo sa, perché ora al mondo nessuno è forte come lui.

Delusioni e sorprese

Una piccola parentesi è giusto aprirla anche per quei giocatori che nel bene e nel male faranno la storia di queste finali.

Gli sconfitti, al solito, ne escono con le ossa rotte, ma mai come in questo in caso Oklahoma ha pagato non tanto la paura, quanto l’inesperienza. Dire che Kevin Durant è andato sotto le aspettative ci può stare, ma, proprio riguardando il percorso di Lebron, si può dire che è già molto più avanti rispetto al Lebron del 2007.

Il ragazzo ha quasi “trentellato” di media ma, esclusa gara 1, nei momenti decisivi non ha giocato con la dovuta calma, commettendo talvolta falli inutili e giocate poco “per la squadra”.

Colui che è andato oltre alle aspettative è stato, invece, Russell Westbrook, autore tra l’altro di una gara 4 da 43 punti, ma che dovrà negli anni imparare a gestire meglio il suo corpo e di conseguenza la sua mente, mettendosi più al servizio della sua squadra, di cui, in ogni caso, dovrebbe esserne il playmaker.

Da non dimenticare le serie finali di Chris Bosh, rientrato a tempo di record dal pesante infortunio occorsogli in gara 1 contro i Pacers, che ha restituito a Miami una dimensione sotto canestro, e il cui eventuale ritardato rientro ci avrebbe fatto parlare probabilmente di una finale tra Celtics e Thunder.

È chiaro che non menzionare i Chalmers e i Cole di gara 4, i Miller di gara 5 sarebbe un peccato capitale: d’altronde, anche nei Thunder gli Ibaka e i Collison hanno detto la loro. L’unico vero rammarico ad Oklahoma resta quello di non aver visto un James Harden concreto e decisivo come nei primi tre turni di playoff, e anche qui potremmo parlare di inesperienza, tensione e quant’altro, senza mai venirne a capo.

Semplicemente, al barba non sono entrati i suoi tiri, da quelli più semplici con spazio a quelli allo scadere mani in faccia. Fargliene una colpa sarebbe un accusa troppo pesante.

Se i Thunder riprenderanno da qui, a questo genere di partite li rivedremo presto, e con l’esperienza di una finale persa sulle spalle il risultato finale potrebbe anche cambiare . Le lacrime di Durant nel tunnel ve lo possono giurare.

12 thoughts on “Lebron James e i Miami Heat sono Campioni NBA!

  1. Ma come si fa a dimenticarsi di Battier che è stato uno dei più decisivi in queste finals ?

    • esatto
      fase difensiva a parte dove da sempre è da manuale, ha costretto okc a uscire dall’area coi lunghi.
      da quel momento, coi i cani da guardia distratti, lebron gli è entrato in casa e l’ha svaligiata.
      da lì in avanti non ci hanno capito più nulla, completamente disorientati sbagliando ogni singola decisione

  2. LeBron James: 697 points, 224 rebounds, 116 assists, championship. best postseason performance EVER. men lie, women lie, numbers dont.

    • Beh, che siano le migliori statistiche lo dici tu…..Ad esempio MJ nel 91/92 aveva p. 759 – r. 137 – ass. 127 – rubate 44 e stopp. 16 in 22 partite…Quindi segnava di più, passava meglio, ma prendeva meno rimba….Poi bisognerebbe vedere i numeri degli altri 4 che non sono lì per caso.
      E’ vero che i numeri non mentono ma in realtà non dicono più di tanto.

  3. Vedremo nelle prossime stagioni se gli Heat diventeranno una dinastia come gli Spurs anni Duemila o i Bulls anni Novanta, intanto Lebron può finalmente godersi il suo anello alla faccia degli Haters.

  4. la spurs dinastia?!!=?!=!=!=!?!?!?!?!? ma scusate negli anni 2000 i Lakers hanno vinto 5 titoli…5…ora dinastia gli spurs…mah…

  5. nell’articolo c’è una inesattezza…se si intende come ennesima triple-double in carriera ci sta, ma di quest’anno regoular season più P.O questa per Lebron è la prima ed unica tripla doppia.
    complimenti a Lui, ha cambiato modo di giocare in questi P.O , inzio a pensare che il problema fosse più di Wade che di LbJ, si è dimostrato finalmente leader e dominante in ogni aspetto del gioco.
    può stare simpatico o no, a me personalmente no ed anche come tipo di giocatore, ma indubbiamente ha dominato la lega quest’anno…solo Durant avrebbe potuto fermarlo, peccato. Cmq non reputo QUESTI Heat una squadra capace di vincere anelli a ripetizione. vedremo.

  6. Davo vincenti i Thunder.
    Nulla da dire, titolo meritato degli Heat che hanno trovato nel momento giusto l’apporto del supportingcast…anche oltre le più rosee aspettative.
    Brooks bocciato!

  7. Il paragone con MJ mi sembra un pò forzato…sia statisticamente che a livello di età del primo titolo,si è vero lebron l’ha vinto prima dei 28…ma solo perchè MJ è nato a febbraio e lebron a dicembre! Se proprio dobbiamo dirla tutta Lebron ha passato molto più tempo nella lega di Michael prima di vincere un titolo, 804 gare non sono pochine…Per quanto riguarda le statistiche non credo siano comparabili visto che i due giocano i due ruoli differenti…Comunque Lebron quest’anno ha meritato di vincere, devo ammetterlo anche se sono un lebron hater, perchè non è calato mentalmente nei momenti decisivi come è successo spesso negli ultimi anni quindi onore a lui.

  8. l’anno scorso ho goduto sia per la vittoria (meritatissima) di wunderdirk e la sconfitta di lebron…. quest’anno devo dire che LBJ ha meritato il titolo… insomma è proprio forte, uno come lui almeno un titolo lo merita… poi mi sa che ha appena iniziato

  9. Mo gli spurs con 4 titoli in 8 anni non sono una dinastia, peró lo sono i lakers con 5 in 10…
    Coerenza portami via

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