Da quando Melo è diventato l’indiscusso padrone della squadra, le cose hanno cominciato ad andare per il verso giusto a New York

Gli ingredienti c’erano tutti: la squadra più vecchia di sempre, un allenatore a detta di tutti bravo ma niente di più, i due leader della squadra che si pestano i piedi a vicenda nelle stesse zone del campo, uno sempre rotto, l’altro egoista e caccia-allenatori, senza dimenticare il ritorno di Sheed, ai box negli ultimi due anni.

Un mix perfetto per l’ennesima stagione di transizione, con talento ammassato senza criterio; ma Mike Woodson, entusiasta o meno di un mercato estivo quantomeno enigmatico, ha fatto quello che gli è sempre riuscito meglio: arrangiarsi con quello che ha.

A disposizione nel reparto playmaker di ritorno dopo un paio di stagione a ovest Raymond Felton, il rookie trentacinquenne Prigioni e Jason Kidd, cavallo di razza ma a fine carriera. Tra le guardie il talento incompreso di JR Smith, Brewer da Chicago e il secondo anno Shumpert ai box dalla passata stagione per un grave infortunio al ginocchio.

Tra le ali Novak come tiratore specialista, Anthony e Stoudemire le stelle della squadra. Il reparti centri è il più lungo e vecchio della storia: oltre al titolare Chandler in estate sono stati firmati Camby, Thomas e Wallace. Un roster disfunzionale con molti doppioni che invece Woodson ha plasmato come pochi avrebbero creduto possibile.

La cronaca della primissima parte della stagione ci racconta di una squadra quadrata, con un’identità definita e che segue un piano comune accettato da tutti. Solo una sconfitta nelle prime sette partite, contro Memphis che a sorpresa a metà Novembre ha il miglior record della Lega, con New York capofila ad Est.

L’infortunio di Stoudemire ha coastretto Woodson a una piccola rivoluzione che si è rivelata decisiva per quest’inizio. Non avendo a disposizione un’altra ala grande che non fosse Novak, troppo specialista e poco affidabile in difesa, Woodson ha convinto Anthony a fare quello che D’Antoni non era riuscito a fare, schierando l’ex Nuggets da numero quattro.

Il gioco offensivo di Anthony non ha subito variazioni, anzi spesso sfrutta la maggior velocità rispetto ai pari ruolo più grossi. Il vero sacrificio è quello difensivo dove deve lottare per la posizione e per il rimbalzo ed è esposto ai falli molto più che in passato.

Altro colpo a sorpresa di Woodson è stata la scelta di utilizzare il doppio playmaker. Probabilmente anche questa è una conseguenza della nuova disposizione tattica: con Brewer spostato in ala e con l’assenza di Shumpert, Woodson ha fatto affidamento sull’esperienza di Kidd che in difesa può marcare le guardie tiratrici.

In queste prime uscite è nato un gioco ad alto numero di possessi, pochi i giochi che prevedono un pick and roll; Felton, in gran forma, spesso gioca da guardia uscendo dai blocchi. I pochi isolamenti sono destinati ad Anthony con Kidd e Brewer pronti a punire i raddoppi con tagli e tiri dopo lo scarico.

E’ un gioco che vive molto più di transizione che di situazioni a difesa schierata, il contropiede non è ricercato con ossessione ma il numero di possessi si alza e Anthony è più propenso a giocare con la squadra.

Il secondo quintetto è completamente nelle mani di JR Smith, primo finalizzatore in assenza di Anthony. Rasheed Wallace ha scalato rapidamente le gerarchie e oggi è già il primo cambio dei lunghi. Levata la ruggine di due anni d’inattività, ha la fiducia dell’allenatore e rappresenta l’unica arma in post basso di una squadra che vive di tiro perimetrale.

Non da sottovalutare la nuova difesa, molto più solida che in passato. Kidd si prende cura delle guardie avversarie lasciando a Felton il compito di difendere sui playmaker. In mezzo all’area un serie di specialisti che lascia tranquillo coach Woodson che può affidarsi anche a Brewer, che fa della difesa la sua arma principale.

Il vero spartiacque della stagione sarà il ritorno di Stoudemire. Woodson avrà il coraggio di non alterare gli equilibri perfetti di quest’inizio lasciando un giocatore da cento milioni in panchina come cambio?

I dubbi sulla tenuta fisica di Amar’e sono tanti, come quelli su una sua possibile convivenza con Anthony, se il traguardo è quello di vincere il titolo. Impossibile ad oggi pensare ad uno scambio, il contratto è ancora troppo lungo e nessuno se lo accollerebbe.

Stoudemire ha sempre preferito giocare con un centro al suo fianco ma seguendo la strada tracciata di Woodson sarebbe il centro ideale, capace di allargare ulteriormente il campo e lasciando inalterato l’assetto con Anthony da ala grande, ma costringendolo a fare enormi sacrifici difensivi.

Woodson dovrà trovare la soluzione anche a questo dilemma se vorrà mantenere New York ai vertici della Conference come la più seria contendente ad Est degli Heat.

3 thoughts on “I Knicks e il miracolo di coach Woodson

  1. Mah..Woodson mediocre era..e mediocre rimane.
    Semplicemente ha una squadra infarcita di all-star (vecchie o nuove che siano) e giocatori intelligenti.

    Woodson non era una merda l’anno scorso, e non e’ un fenomeno adesso.
    E’ un onesto mestierante.

  2. Woodson l’anno scorso non era una merda, Woodson lo scorso anno prendendo i Knicks da D’antoni ha fatto 18-6 quando Antoni con la stessa squadra era a 18-24, facciamoci 2 domande.

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