Faried, Pekovic, Koufos: 3 lunghi di impatto che non costano un occhio della testa

Quando vedo Boozer e Brand giocare a pallacanestro mi si stringe il cuore. Niente di personale, sia chiaro, solo una fisiologica reazione allo spreco.

Dare 15 “sonanti” milioncini a Rashard Lewis, per quanto mi riguarda, è un po’ come lasciar scorrere il getto d’acqua mentre ci si lava i denti o come prendere la macchina per andare dal lattaio sotto casa. Il “contrattone” è già di per sé qualcosa di soffocante, se poi le prestazioni del firmatario non ripagano le attese di tifosi e dirigenza quello stipendio sul salary cap diventa un vero e proprio incubo.

Per fortuna però ci sono anche loro: l’altra faccia della luna. Quelli che, pur percependo una cifra modesta, sfoderano prestazioni degne di un contratto di prim’ordine.

Quando questi giocatori sono in azione mi piace pensare che le loro prestazioni compensino tutto il denaro dato ai famosi sovrapagati. In pratica: uno lascia l’acqua gocciare e l’altro non si lava neppure le mani.

La realtà però è ben diversa visto che in gioco non c’è alcun interesse collettivo ma i risultati di ogni singola squadra, motivo per cui, ad esempio, a Denver si gioisce nel vedere i dreadlocks di Faried volare tra le aquile del Colorado e a Chicago si storce un po’ il naso vedendo giocare il sopracitato Boozer. Se si pensa al giocatore che era (o sembrava essere) in quel di Utah un po’ di amarezza viene a tutti, non solo a quelli che sborsano più di 15 milioni di dollari per averlo all’interno del proprio roster.

Si intenda: qui nessuno vuole azzardare alcun confronto con un giocatore come Boozer, non si arriverebbe da nessuna parte, semplicemente si vuol porre l’accento sulla sproporzione che spesso c’è fra salario e rendimento del giocatore. In questa sede, si parlerà dei casi in cui il saldo è positivo; in fin dei conti, potendo scegliere, perché soffermarsi troppo a lungo sulle “note dolenti”?

Anderson Varejao è sicuramente uno di quei giocatori che sta viaggiando al di là di ogni rosea aspettativa. Dall’inizio della stagione è andato solamente tre volte sotto la doppia cifra nella casella rimbalzi e punti segnati collezionando una media (15 e 15 ad allacciata di scarpe) da fare invidia a centri da 10 milioni in su come Chandler, Noah, Jordan o Marc Gasol . Una “double-double machine” si direbbe dall’altra parte dell’oceano.

E’ vero, presumibilmente la sua media punti diminuirà e alla fine della stagione non sarà lui il miglior rimbalzista assoluto della lega (Kevin is back…) ma per 8 milioni all’anno, quale squadra, in questo momento, direbbe di no ad un centro come lui?

Non nego comunque che in casi come questi farsi trasportare dall’entusiasmo è davvero questione di un attimo. Ne sa qualcosa Tom Thibodeau che pochi giorni fa ha dichiarato di vedere un pò di Yao Ming nel suo ex giocatore Omer Asik.

A prescindere dal significato vero delle parole di Tib, già solo nominare all’interno della stessa frase Yao e Asik sa tanto di eresia. Il centro turco però, a dirla tutta, di milioni ne prende ancora meno di Varejao ed attualmente le sue statistiche non si allontanano molto da quelle del brasiliano. 12 punti e 12 rimbalzi di media: mica male per uno che due anni fa giocava poco più di 10 minuti a partita..

Nella stessa conference merita una citazione il gigante bianco Kosta Koufos. Tratti somatici duri, fisico possente e movenze non troppo aggraziate ma mano piuttosto dolce sotto canestro. Coach Karl, probabilmente il migliore nel valorizzare giocatori mediocri, è riuscito ad ottenere, con questi ingredienti, un prodotto quasi imprescindibile per il suo sistema. Centimetri, fisico e buona posizione fanno di Koufos uno dei centri titolari meno pagati di questa lega.

Le prestazioni di Nikola Pekovic invece non sono una notizia per quelli che amano seguire anche il basket europeo. Il montenegrino, scelto al draft di tre anni fa al secondo giro, per soli 4 milioni e mezzo all’anno garantisce ai T’Wolves 14 punti e 7 rimbalzi di media e non è un caso se la scorsa stagione con lui e Love i Timberwolves hanno guidato la classifica di rimbalzi catturati in tutta la regular season.

Nella stessa conference sarebbe un reato non menzionare “Big Baby” Glen Davis, il quale, per inciso, ha sempre suscitato un particolare fascino al sottoscritto. Il motivo? Presto detto: è basso e grosso. Una montagnetta di 130 Kg che produce quasi 15 punti e 9 rimbalzi a partita.

L’altezza sarebbe più adatta ad un’ala piccola ma lui non se ne cura e se dei numeri non vi siete mai fidati, perché in fondo le statistiche restano sempre un parametro di giudizio piuttosto discutibile, vi basti pensare che mentre vi scrivo i Magic non sono poi così lontani dal 50%. Quasi dimenticavo..prezzo richiesto: 6 milioni.

L’oscar di “miglior lungo low-cost” se lo aggiudica però, a mani basse, il giovane già citato Kenneth Faried. Se il testosterone avesse sembianze umane somiglierebbe a lui. E’ giovane (classe ’89), è atletico, ha agonismo da vendere ed essendo al suo secondo anno prende poco più di un milione di dollari.

Confrontandolo con molti colleghi che fanno dell’atletismo la loro arma vincente non ha neppure un IQ cestistico così tanto basso. Rispetto allo scorso anno, nonostante i limiti offensivi e difensivi su cui deve ancora lavorare, Manimal ha incrementato le sue cifre sia a rimbalzo (primo rimbalzista offensivo della lega) che a canestro (13 ppg). Spettacolo ed efficienza al servizio di Denver.

Beati i Nuggets allora, visto che di pepite, per uno così, ne sborsano davvero poche…

3 thoughts on “Lunghi NBA: non solo “albatross”

  1. Faried è da squalifica. Deve avere qualche congegno dell’Ispettore Gadget nelle gambe, perchè non fa altro che “riimbalzare” da un tabellone all’altro, … :) :) :)

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