“I’m Lebron James, from Akron, Ohio, from the inner city. I’m not even supposed to be here… I’m blessed”.
La pura visione afroamericana del Mondo.
Dietro al giocatore, al quattro volte MVP della regular season, al due volte campione NBA e miglior giocatore delle finali, al due volte campione olimpico, al Chosen One, insomma dietro a questo LeBron James c’e’ stato e c’e’ tuttora un ragazzo, cresciuto con la madre Gloria in uno dei quartieri piu’ difficili di tutti gli Stati Uniti, il cui unico obiettivo era trovare finalmente un luogo che si potesse realmente chiamare casa e se andava bene qualcosa da mangiare per cena.
Il basket all’epoca era solamente un’illusione che non ci si poteva permettere.
Le inner cities, che nell’inglese caro a Orwell sarebbero i centri citta’, in questo caso significano semplicemente quei luoghi periferici dove devi considerarti fortunato se vieni avvisato prima che si inizi a sparare e solamente il fatto di sognare ti rende tremendamente debole.
Come lui, altri sarebbero dovuti arrivare cosi in alto ma le vie per il cielo, purtroppo, avevano meno traffico di quelle per il successo.
Come lui, altri divenuti stelle gia’ al liceo, avrebbero potuto cambiarlo questo gioco ma per un motivo o per un altro non sono mai riusciti realmente ad uscire dall’inner city.
A differenza sua ma in realta’ esattamente come lui Earl Manigault, Benjamin Wilson e tanti altri.
Con questo background si nota come il ragazzo sapesse come emergere e l’uomo sappia come dominare.
Dai tempi dei Fighting Irish di St. Vincent – St. Mary gli era stato pronosticato tutto quello gli sarebbe capitato giunto nella NBA.
Ce ne e’ voluto di tempo, probabilmente piu’ del previsto, ma tra la sua nona e decima stagione – “it’s about damn time” – ha raggiunto cio’ che il destino aveva previsto per lui.
Tra premi individuali e di squadra, nazionali e mondiali, nel basket come in tutti gli altri sport – sportivo dell’anno per Sports Illustrated – in poco piu’ di un anno solare ha vinto e rivinto tutto, ma proprio tutto, quello che poteva vincere.
Dominando come solo i Prescelti sanno fare.
Se l’estate del 2010 e “The Decision” – scelta quanto mai sbagliata, nella forma piu’ che nei contenuti – viene considerata all’ unanimita’ il passaggio fondamentale della sua carriera, la sconfitta nelle successive Finals contro Dallas è stata la svolta del LeBron giocatore.
Nelle settimane successive al trionfo dei Mavs, James ha capito, o piu’ presumibilmente gli e’ stato fatto capire, che un cambiamento nel suo stile di gioco e nel come viveva il gioco stesso era necessario.
Da quel momento si e’ formato un mostro da parquet.
Un quoziente d’intelligenza cestistica pitagorico incastonato in un corpo scolpito da Michelangelo.
Considerando che il gesto fisico attraverso cui sono arrivate le stoppate su Hibbert e Splitter, due momenti che hanno orientato le ultime due serie, ha sempre fatto parte della sua faretra, una cosa che e’ cambiata nel suo gioco e che gli ha realmente permesso di poter possedere le partite sono state le scelte, difensive ed offensive, sotto pressione come fosse in preseason.
In tutte le serie che ha perso, nel suo attacco si nota chiaramente come James, non appena la difesa gli toglieva la prima opzione, ritenendo che un piano B non fosse necessario, ci mettesse sempre una frazione in piu’ per attaccare, e che questa frazione aggiuntiva lo costringesse a pensare e a fare determinate scelte, il piu’ delle volte, in momenti decisivi delle partite, sbagliate.
Quando ci si doveva limitare ad agire, senza riflettere, arrivavano la gare 5 a Detriot, la tripla sulla sirena contro Orlando, il primo quarto di gara 3 al Boston Garden durante l’ultima stagione a Cleveland.
Se ci si doveva fermare a pensare, arrivava LeChoke.
Da quella lezione di pallacanestro tenuta da Nowitzki nel giugno del 2011, e’ cambiato tutto.
Togligli pure la prima opzione. Ti punisce con la seconda o se necessario anche con la terza. Pensandoci. E scegliendo, sempre l’opzione migliore.
Solamente nell’ultima gara 7, gli Spurs hanno provato a mandarlo dentro verso gli aiuti, a passare dietro al pick&roll, a raddoppiarlo facendogli chiudere il palleggio.
In tutti i casi, ha dato una veloce lettura alla difesa e ha reagito scegliendo sempre la contromossa giusta.
Quando l’hanno mandato dentro, non ha concesso il minimo tempo di reazione alla difesa per l’arrivo degli aiuti.
Quando gli hanno lasciato il tiro, ha iniziato a metterlo regolarmente con una meccanica di movimento di una guardia.
Se lo raddoppiavano, era automatico uno scarico a cambiare lato per il Battier di turno.
Concentrandosi solamente sull’attacco pero’ si rischia di perdere di vista l’aspetto piu’ sorprendente e probabilmente meno realistico del suo gioco. La difesa.
LeBron, mettendone a referto, tra punti e assist, una cinquantina abbondante di media tra la serie con Indiana e la finale con gli Spurs, contestualmente ha difeso sempre contro il migliore attaccante degli altri. Non importa se questi fossero David West, Paul George o Tony Parker, cioe’ tre giocatori con caratteristiche tecniche e atletiche completamente diverse.
E’ riuscito a difendere in post contro West, sulle penetrazioni di Parker e sul jump-shot di George. Uscendone da vincente in tutte e tre le situazioni.
E quando in alcune azioni veniva a trovarsi sul lato debole, aiutava anche il terzo uomo impegnato sulla palla, proteggendo il ferro come fosse un centro puro.
La questione sul fatto che sia gia’ adesso indirizzato ad essere il giocatore piu’ forte di tutti i tempi e’ impossibile da perseguire, in quanto il gioco e’ cambiato e cambierà ancora e i giocatori che vengono messi a confronto provengono da epoche troppo diverse per poter essere paragonati.
Se la discussione vertesse su quale sia il giocatore piu’ completo, difficilmente il mio pensiero non si orienterebbe verso il meraviglioso bagaglio tecnico del numero 6.
Jordan per l’epoca in cui ha giocato deve essere considerato una mitologia vivente.
Ha cambiato per sempre il basket, il modo in cui lo si guarda e lo si gioca.
Il mistero che derivava dal poterne sapere cosi poco, o in maniera cosi ridotta rispetto ad adesso, lo rendeva una meravigliosa unicità e come tale non e’ paragonabile a nessun altro bipede presente sulla terra.
Riguardo a James si sa tutto da sempre e proprio questa sua figura, cosi tangibile, grazie alla quale ogni volta che scende in campo possiamo realmente sognare, lo rende, in maniera diversa, altrettanto unico.
Tra quindici, venti, trent’anni, quando arrivera’ “the next big thing”, essendo una novita’, il paragone con il suo predecessore, che sia Micheal o LeBron, verra’ ritenuto a prescindere un’eresia inqualificabile e il James di turno sara’ considerata una divinita’ intoccabile.
Voi, che non riuscite ad apprezzarlo e ad ammirarlo e che una volta che la sua carriera sara’ terminata probabilmente ve ne pentirete, non vi rendete conto di quale privilegio vi state perdendo.
Perche’, seppur nolenti, anche voi, siete tutti testimoni.
LeBron James, from Akron, Ohio, campione Nba, MVP Finals.
Direttamente dall’inner city.
Per se stesso. Per The Goat. Per Benji.
@tanni__b / giovanni.benveniste@gmail.com
Articolo bellissimo, complimenti.
L’ho sempre ammirato ma al contempo l’ho sempre trovato un po’ troppo sopra le righe in certi atteggiamenti. Dalle Finals 2011 è cambiato tanto, anche come modo di porsi.
Ancora oggi fa qualche scelta sbagliata in qualche sporadico finale di partita, come ad esempio è accaduto nel finale di Gara-6. E’ servito un super Allen per salvare capra e cavoli. E’ questo che ancora, a mio parere, lo distanzia da MJ. Se colma quest’ultima lacuna, lo dico da grandissimo fan di MJ, anche il #23 sarà alle sue spalle.
E un primo passo l’ha fatto: in gara-7, per la prima volta da quando è nella NBA, ho avuto davvero la sensazione che ogni canestro finisse dentro (come è praticamente avvenuto). Una sensazione che solo Jordan mi dava.
bravo! bellissimo articolo.
“Il mistero che derivava dal poterne sapere cosi poco, o in maniera cosi ridotta rispetto ad adesso, lo rendeva (MJ) una meravigliosa unicità e come tale non e’ paragonabile a nessun altro bipede presente sulla terra.
Riguardo a James si sa tutto da sempre e proprio questa sua figura, cosi tangibile, grazie alla quale ogni volta che scende in campo possiamo realmente sognare, lo rende, in maniera diversa, altrettanto unico”
Hai detto bene, MJ cambiò il modo di giocare a basket e stimolo’ la fantasia di tutti noi che guardavamo il recap settimanale NBA “nel mondo dell’Iperbasket” su telemontecarlo2 la domenica mattina assieme a Francicanava.
Ma non e’ che fosse cosi’ perche’ la gente comune ne sapeva talmente poco da chiedere “ah giochi a basket? vuoi essere come quel giocatore americano li’…quel Magic Jordan?”
Io collezionavo le UpperDeck e le Fleer e di Jordan sapevo anche la media centesimale ai liberi durante l’All Star Game.
Il fatto che tu oggi possa attaccarti ad un iPhone ed essere testimone di quale aroma floreale sia la flatulenza mattutina di Lebron non lo rende piu’ tangibile ne’ fa sognare di piu’ quando scende in campo. Anzi.
Uno seguiva il basket e sapeva tutto di Jordan comunque, ma se le doveva andare a cercare, le cose.
Ora te le rifilano anche se non ti va di saperlo.
In sostanza, hai una buona facilita’ nello scrivere, chiaramente questo non voleva essere un articolo ma piu’ un’ode-apologia di Lebron. Bene, d’accordo, ognuno ha le sue idee.
Manca solo un palco, un microfono, e strilla che chiamano il nome del Prescelto, capelli strappati mentre gente inferma si rialza a camminare impregnata di sudore e lacrime ringraziando il Divino.
Il privilegio e’ tutto di Lebron, non nostro. Ricordati che stiamo parlando di un gioco.
Il migliore di sempre, punto!!
Quello che non è mai stato eguagliato di MJ, se non, forse da Larry Bird, è il senso del dominio, il controllo psicologico della gara, dei compagni e perfino degli avversari: tutti “piegati” alla sua volontà, supini all’ineluttabile ultima azione vincente, tiro o assist che fosse. Per LBJ questa sensazione la si prova solo a sprazzi, ma non nei momenti di massimo stress da finale di gara. Non di meno, sul finale di gara 6, prima del tiro di Allen, quel Lebron senza fascia in testa che cadeva a terra, disperato, ma attaccato con i denti alla partita, mi è rimasto più simpatico dello spaccone egocentrico del passato. Era un uomo di fronte alla prova più difficile, che ha dato generosamente tutto se stesso, sporcandosi le mani anche in movimenti goffi e tentativi azzardati, ma alla fine premiato per aver dato fondo ad ogni energia. Ma non era dominante.
articolo che condivido fino a metà . per il resto mi sembra un po’ di parte.
premettendo che è il giocatore più forte del pianeta non è vero che è uscito sempre vincitore contro west george e parker. col primo ne è uscito perdente almeno le 3 volte in cui miami ha perso. senza contare che James ha attaccato pochissimo il ferro proprio perché intimorito (giustamente) dalla presenza di west e hibbert. con George stesso discorso. il ragazzo di indiana gli è stato fondamentale nelle 3 vittorie e almeno in queste 3 partite certo James in difesa non ne esce vincitore. infine parker fino all’infortunio è stato tutt’altro che una pratica semplice basta vedere il canestro a culo di gara 1. tiro senza logica ma cmq ha mandato 3 volte a farfalle James.
cmq ripeto è il giocatore più forte del pianeta al quale secondo me manca la cattiveria agonistica dei più grandi per essere riconosciuto un top 3 degli ultimi 30 anni. ad oggi bird superiore per me.
Grande articolo, grande LeBron, come non si fà ad amare il backet vedendo tutto cio’?
COMPLIMENTI… Articolo da promessa…