dt.common.streams.StreamServer.clsDalla notte del draft fino a questi primi giorni di torrido mercato NBA, in cui si sono susseguiti ad un ritmo impressionante cambi di casacca più o meno pirotecnici, una delle squadre che ha smobilitato completamente, proiettandosi verso il futuro per dimenticare il presente, sono gli Utah Jazz.

La franchigia dei mormoni ha lottato fino alle ultimissime partite di regular season per l’ultimo posto disponibile nella griglia playoff della iper-competitiva Western conference, cedendo il passo ai Lakers proprio sulla linea del traguardo.

L’annata è stata la fotocopia di quelle post premiata ditta Deron Williams\Carlos Boozer: sempre in corsa per i playoff, senza stelle dominanti pur avendo molti giovani interessantissimi, un gioco tanto noioso quanto efficace; anche se la mancanza dell’indimenticabile coach Sloan si è fatta sentire assai in queste due ultime stagioni.

Ovviamente sono terminati da molto tempo i fasti leggendari della “Stockton to Malone” che tanto ha fatto sognare sul finire degli anni ’90, e tali fasti sarà davvero raro riammirarli dalle parti di Salt Lake city, non esattamente una metropoli appetibile per i migliori free agents della lega come lo possono essere New York, Los Angeles o la Miami attuale.

Tenuto conto di tali premesse tecniche e ambientali, la dirigenza ha voluto dare uno scossone ad una squadra da troppo tempo nel limbo della mediocrità, delle ambizioni velate e mai realizzate.
Nella notte del draft è arrivato da Minnesota il giovane e promettente play Trey Burke, autore di una bella stagione ai Michigan Wolverines (in cui ha giocato per due anni).

Burke è un giocatore interessantissimo, molto dotato tecnicamente, però per essere competitivo a livello NBA dovrà lavorare duramente sul suo fisico, ancora piuttosto gracile (oltre ad essere alto 1, 85 mt); affidargli le chiavi della squadra fin dall’inizio sarebbe a dir poco un azzardo.

Oltre al rookie sono arrivati altri tre giocatori finora, tutti da Golden State (da cui sono arrivate anche le scelte del periodo 2014-2017, scelte probabilmente alte dato il futuro roseo a cui sembrano destinati i Warriors): Biedrins, Jefferson e Rush.

I primi due sono contratti “albatros” di giocatori “finiti” (anche se, paradossalmente, non si tratta nemmeno di vecchie glorie, ma di giocatori che hanno subito una paurosa involuzione nelle ultime stagioni) in scadenza il prossimo anno, acquisiti solamente con lo scopo di liberare spazio salariale per la succosa estate 2014; mentre Rush, reduce da un grave infortunio, potrebbe rivelarsi utile e ritagliarsi uno spazio importante essendo giovane e dalle qualità più che buone.

A fronte di queste entrate di certo non entusiasmanti, le uscite sono state ben più roboanti.
Nell’ordine sono partiti Earl Watson (verso Portland, l’uscita più indolore), Kevin Murphy a Golden State, Carrol e Millsap verso Atlanta, il giocatore più dotato della squadra Al Jefferson in direzione Charlotte (si, proprio agli ambiziosi Bobcats del mago MJ) e, notizia fresca di giornata, se n’è andato pure Foye, ai Nuggets, firmando un triennale da nove milioni, in cambio dell’ennesima scelta dei Warriors, stavolta la seconda scelta del draft 2018.

Ora manca anche lo spazio salariale per ri-firmare Mo Williams, ma forse questo è il male minore dato che si è scelto di scommettere su Burke al draft.

Quindi è stata veramente smembrata la squadra che è arrivata nona quest’anno con un record più che positivo, e le prospettive immediate, in un mare di squali quale è la Western Conference, assomigliano ad una parola che un appassionato NBA non vorrebbe mai che venisse pronunciata: tanking.

Un quintetto con Burke\Tinsley (o comunque un play esperto ed economico), Rush, Hayward, Favors, Kanter (finalmente questi due lunghi potranno dimostrare tutto il bene che si dice di loro tra gli scout, grazie ad un sostanzioso minutaggio e a responsabilità ben maggiori di quelle di back-up), per quanto tale quintetto appaia intrigante e affamato, zeppo di sbarbatelli in una lega in cui Duncan e Bryant dettano ancora la loro legge, non avrà molte possibilità di fare voli pindarici né, quasi certamente, la dirigenza e lo staff vorranno autorizzare i giocatori a farne ed il perché è presto spiegato.

Il draft del prossimo anno si preannuncia ben più ricco di talento rispetto all’ultimo, una posizione ai primi posti della lottery garantirebbe un prospetto dal futuro -quasi- garantito e porterebbe avanti il progetto giovani appena intrapreso.

Senza dimenticare la già citata caccia senza frontiere ai top fa del prossimo anno, quando i Jazz saranno nelle condizioni di offrire contratti sontuosi e noi tutti sappiamo quanto il dio denaro possa influire sulle scelte dei cestisti (vero Al Jefferson?), e allora anche il piccolo mercato dello Utah acquisirebbe il suo fascino.

La stagione per una tifoseria abituata ad avere un record positivo e ad essere comunque costantemente temuta e rispettata da tutti sarà forse complicata da digerire, però quale senso avrebbe avuto l’ennesima annata uguale a sé stessa? Una buona regular season, una squadra composta da buoni giocatori, ma di fronte ai playoff tutto ciò non sarebbe comunque mai stato abbastanza, le ambizioni non sarebbero mai state effettive e confortate dai risultati.

Forse il processo di ricostruzione avrebbe potuto essere affrontato in modo più graduale -Utah non è una squadra da tanking, non siamo a Charlotte!- ma prima o poi sarebbe stato un passo inevitabile.

Se il draft e il mercato della prossima estate andranno per il verso giusto i Jazz sono destinati ad una rapida risalita (Kanter, Favors, Burke e l’ottimo Hayward sono materiale pronto ad esplodere), altrimenti si attenderanno tempi migliori, dopotutto Stockton, Malone e Deron Williams sono state tutte pesche benedette al draft: segno che la cabala tra i mormoni non sarebbe da considerarsi così pagana come può apparire e la dea bendata da quelle parti evidentemente ci vede piuttosto bene.

2 thoughts on “Non è ancora tempo di grandi orchestre a Salt Lake City

  1. Il Tanking è “giocare a perdere”…
    I Jazz non giocheranno per perdere…non sono abbastanza forti da vincerne più di 30….ma non giocheranno mai per perdere…specie in casa…
    La scelta è sacrosanta…
    La coppia Jefferson-Millsap non ti porta oltre l’8°-9° posto…ora è il turno di Kanter-Favors….
    I 2 giovani lunghi devono giocare per dimostrare il loro valore….
    Abbiamo una squadra giovane….e il prossimo anno avremo scelte + spazio nel cap….
    L’unico problema è Corbin…è troppo scarso…speriamo se ne rendano conto a Salt lake…

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