Meno di 2 mesi fa JR Smith e Jason Terry si provocavano, in modo anche abbastanza infantile, via twitter considerando la rispettiva squadra come la regina della Grande Mela. Paul Pierce buttava benzina sul fuoco professando il suo odio per i Knicks trasmesso dalla sua militanza Celtics ed i tifosi blu-arancio si sentivano traditi da Jason Kidd, ritirato in maglia Knicks e subito passato al nemico da capo allenatore.

C’erano tutti gli ingredienti per una rivalità che si preannunciava interessante. Due squadre di alto livello in una Eastern Conference motivata a far decadere il reame di LeBron James e dei Miami Heat. E’ passato un mese di regular season e di colpo è cambiato tutto.

Qui Manhattan

Knicks

Dice Melo che “non giochiamo assieme, siamo in crisi di identità e partiamo sconfitti prima ancora di scendere in campo”. Tutte affermazioni da Capitan Ovvio, ma d’altronde la verità è spesso la cosa più ovvia tra le opzioni che si presentano.

La crisi dei Knicks non è solamente un crisi tecnica, ma mentale. Giocano con i medesimi principi dello scorso anno ma a differenza della stagione scorsa esprimono di gran lunga il peggior gioco della lega. Il fatto è che una squadra bilanciata e tatticamente valida, che ha capisaldi offensivi di un certo tipo può fare fronte a periodi neri grazie all’esecuzione, al teamwork e alla stabilità che può dare un sistema. Questi Knicks non hanno un sistema, ne tantomeno un playbook e tutti i nodi della barba di Mike Woodson vengono al pettine.

La strutturazione con Melo da 4 è diventata antica. Seguendo l’esempio dei Pacers oggi difendere sui 4 piccoli dei Knicks è uno scherzo e attaccare la loro (pessima) difesa è ancora più facile. La strutturazione con 2 lunghi veri e Melo da 3 riesce a rovinare quel minimo di fluidità offensiva che possono avere con 3/4 tiratori appostati sul perimetro.

La nota lieta è il contributo di Andrea Bargnani, uno che ha speso un carriera trovandosi più a suo agio in una squadra perdente che in una squadra ambiziosa. Questa è la sua dimensione.

Il gioco dei Knicks è macchinoso, prevedibile, ripetitivo, noioso. Se lo scorso anno era frizzante ed efficace era dovuto all’entusiasmo di JR Smith in uscita dal pino e da una squadra che giocava con il fuoco negli occhi. Infine avere Jason Kidd a distribuire sapienza cestistica aiutava. Anche se non credo che l’assenze di Kidd e quella attuale di Tyson Chandler siano la causa scatenante di questi Knicks arrendevoli e insofferenti, incapaci di sporcarsi i gomiti e di generare quella carica agonistica che li contraddistingueva lo scorso anno.

A loro ha fatto male la batosta presa contro i Pacers negli scorsi playoff, che ha irrimediabilmente rotto il giocattocolo e lasciato Woodson e Carmelo Anthony in compagnia dei loro demoni personali.

Arrivati a questo punto ed incapaci di fare una qualsiasi contromossa mentale l’unica cosa da farsi è silurare coach Woodson e dare almeno una svolta emotiva ad una squadra che è diventata tremendamente fragile e sconclusionata. Occorre un traghettatore, anche un nome di basso profilo che porti la squadra fino a fine stagione, senza farsi ingolosire dalla voglia di firmarlo e blindarlo se riesce (casomai riuscisse) a far risalire la china a una squadra che sta colando a picco arroccata nella propria mediocrità tecnica.

Oltre il ponte

Jason Kidd

Si sapeva che una squadra assemblata con tante figurine e tanti campioni del genere dovesse richiedere del tempo per iniziare a funzionare. I discorsi del tipo “la regular season serve da rodaggio” o “l’obbiettivo è risparmiarsi per arrivare preparati ai playoff” oggi iniziano ad essere puzzare di marcio.

I Nets sono in difficoltà, essenzialmente perchè i nuovi arrivati da vecchi sono diventati anziani in un batter d’occhio e senza il loro apporto, anche minimo, la baracca non regge. Poi c’è la sfortuna, ma con gente cagionevole come Deron Williams e Brook Lopez metti in preventivo di poterne farne a meno per lassi di tempo variabili a seguito di infortunio o ricadute.

In questo momento i Nets sono un gruppo informe di giocatori che non hanno la capacità di far convergere i propri stimoli nella direzione giusta. Quello che agli occhi di tutti doveva essere l’anello debole del quintetto, ISO Joe, il giocatore più insofferente di tutti la scorsa stagione, è oggi il leader carismatico del gruppo e l’unico in grado di offrire ripetitivamente un contributo tangibile alla causa.

Pierce e Garnett sembrano invecchiati di 10 anni tutti di un colpo, Terry sembra un ex giocatore e la panchina è incapace di portare la benchè minima energia necessaria a dare un barlume di speranza.

Shaun Livingston e Alan Anderson sono due ottimi gregari, ma se li rivesti di troppe responsabilità ed affidi loro compiti più generici del semplice impatto dalla panchina, rischi di essere alla loro mercè. Per ora le note positive sono Mason Plumlee e Andray Blatche, ovvero ottime notizie se parli di un team che tanka. Il che potrebbe anche andare bene se non fosse che non hanno scelte al draft per i prossimi millemila anni e che con ciò che pagano di luxory tax riusciresti a coprire il monte salari della seconda e terza squadra con il salary cap più alto della lega.

Poi c’è Jason Kidd, capace alla sua prima esperienza da capo allenatore a farsi notare solo per aver inventato l’unofficial timeout con una genialata di gran livello. Ma non sta allenando la squadra.

I timeout li gestiscono gli assistenti. Non sta riuscendo nemmeno in quello che era il suo intento principale, ovvero catalizzare le attenzioni dei media su di lui e fare da filtro alla squadra, ovvero quel compito alla Mourinho che un po tutti si attendevano.

Invece i problemi di questa squadra sono messi a nudo e pure lui è finito sul banco degli imputati nonostante nessuno, anche nelle più rosee aspettative, avrebbe pensato di trovarsi davanti il nuovo Phil Jackson.

Contrariamente a quanto si può pensare e ironizzare, allenare in NBA è un lavoro complesso. Sono rari i casi (a memoria nessuno…) in cui un esordiente senza esperienza riesca ad emergere da subito senza aver fatto anni di gavetta.

A Brooklyn iniziano a paragonare l’esperienza Kidd a quella di Magic Johnson ai Lakers. Due dei più grandi playmaker della storia NBA, generali in campo, giocatori che pensavano da allenatori in campo, incapaci di traslare tutta la loro sapienza cestistica sulla panchina.

Magic durò 16 partite con un record di 5-11 nel 1994, prima di essere destituito. Kidd è ancora sulla carrozza e probabilmente ci starà tutto l’anno anche se i risultati dovessero condannarlo. E’ azionario dei Nets, per cui licenziarlo provocherebbe abbastanza imbarazzo. E comunque una chances se la merita, perchè non può essere realmente così pessimo come allenatore.

La stagione è ancora lunga…

Per concludere, sia Knicks che Nets nuotano in cattive acque, ma nulla è ancora compromesso dopo un mese di stagione, specialmente in questa Eastern Conference che sta disattendendo le previsioni le aspettative e propone solo 3 squadre oltre il 50% di vittorie.

Non sarà facile, ma per come è strutturata la stagione NBA, meglio partire male, perdere anche male e poi azzeccare il periodo giusto tra gennaio/febbraio, che partire forte e poi crollare alla distanza.

6 thoughts on “La crisi delle Newyorchesi

  1. Alla parte sui Nets non ci sono neanche arrivato, perchè se di partenza i Knicks sono “una squadra bilanciata e tatticamente valida” e l’assenza di Chandler non è una causa scatenante della squadra arrendevole e insofferente, non so di cosa stiamo parlando. Ah, capito. Ti piaceva Miner.

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