mont443Le statistiche avanzate, per alcuni giocatori, sono una trappola; ti appiccicano un’etichetta che nessuno discuterà per paura di passare per un arretrato luddista. La vittima più illustre è Rudy Gay, che è diventato la stella più illustre ad essere messa alla berlina per la sua scarsa efficency.

Ma tra i giocatori ritenuti “merce avariata” c’è anche il nome di Monta Ellis, etichettato come “volume shooter”, che è l’equivalente, nel basket del terzo millennio, della lebbra nel medioevo.

Trattato come un paria e spesso oggetto di facile umorismo (“In questo momento Monta probabilmente sta tirando” titolava un pezzo apparso su Grantland lo scorso aprile) di chi vuol fare l’esperto a spese altrui, bersaglio prediletto degli analisti che si occupano di diffondere la religione di Michael Lewis, collocato altissimo nei ranking dei giocatori dai quali state alla larga, Monta Ellis oggi è diventato improvvisamente un giocatore efficientissimo.

I Dallas Mavericks, che delle statistiche fanno largo uso e non da oggi, hanno voluto fare un ragionamento ulteriore rispetto a quello di chi, guardandone i numeri individuali, concludeva che fosse un giocatore egoista e di scarso acume cestistico: si sono cioè chiesti se il contesto tecnico in cui giocava Monta avesse a che fare con i numeri che raggranellava, senza trasformare una serie di statistiche in una valutazione morale sulla persona (abbiamo letto tirate su come Ellis sia l’epitome del giocatore prodotto dai circuiti AAU, basati sul “me-first”, che oggi, alla luce di come sta giocando, fanno semplicemente ridere) e senza credere che le statistiche individuali esauriscano lo scibile di questo sport. [NDR: e senza neanche andarsi a rivedere mezza partita dalle sue migliori annate, quelle giocate per Golden State, dove in 7 stagioni ha avuto 4,4 assist di media, con 2 stagioni oltre i 5, non proprio il peggior passatore della lega]

Al contrario del Baseball, in cui la cosidetta “sabermetrica” funziona benissimo e consente di valutare i giocatori in modo estremamente proficuo, nel Basket a contare di più è il gioco di squadra. Non esiste tiro, stoppata o rimbalzo che non sia condizionato dal contesto tecnico. Dice Mark Cuban: “Ho una regola; i numeri nelle squadre perdenti non contano. Non si può mai sapere. I giocatori diventano frustrati, disperati”.

Monta nell’ultimo anno con Milwaukee ha tirato con il 41% e il 28% da tre punti, ma soprattutto, e torniamo al tema dell’incipit, su di lui aleggiava l’ombra del volume shooter, e a 28 anni è raro che un giocatore possa invertire in modo radicale le proprie tendenze cestistiche, ma il contesto tecnico dei Mavericks è completamente diverso rispetto a quello dei Bucks.

Come diceva Jerry West (e non solo lui, per la verità) i giocatori maturano a 27 anni, e anche per Ellis è stato così.
Non che Monta sia mai stato un cattivo soggetto, tutt’altro, ma aveva l’aura del giocatore nocivo, che pensa solo a tirare (quindi non ascolta l’allenatore, è inviso ai compagni, etc, etc) ma Ellis è andato a Dallas per mettersi in gioco, conscio che gli sarebbe stato chiesto di cambiare approccio e di reinventarsi come giocatore produttivo.

Ad agosto Carlisle lo ha incontrato in una palestra di Houston per spiegargli cosa avrebbe preteso da lui. Senza tanti giri di parole, gli ha descritto il suo profilo pubblico, per poi passare a spiegargli cosa si aspettava dalla guardia di Jackson, Mississippi.
Ancora Cuban: “Conosce la differenza tra giocare bene e giocare male, ed è per quello che ha lasciato Milwaukee”.

Ellis non se l’è fatto ripetere due volte. “Ero frustrato, e non riuscivo a giocare come avrei voluto” ha detto dei suoi anni in Wisconsin. “Alcune volte ero motivato a giocare, altre volte invece era difficile, a causa del tipo di personale da cui ero circondato. Stavo tentando di trovare il modo di essere di nuovo il giocatore che ero ai tempi di Golden State.”

Forse, aggiungiamo noi, è riuscito a fare anche meglio; quest’anno sta tirando con il 47% dal campo, e se le sue percentuali da tre non sono molto migliorate, va sottolineato che il numero di triple a partita è dimezzato, sintomo di come stia scientemente cercando tiri migliori, ma soprattutto, sta giocando bene in una squadra che vince.

Certo, la difesa rimane traballante (anche se Carlisle è soddisfatto dell’impegno profuso), ma si è sviluppata una chimica con Dirk Nowitzki e offensivamente i Mavs oggi dispongono di una coppia prolifica ed efficace, che consente loro di rimanere ampiamente in corsa per i Playoffs.

Non male, per uno che era ritenuto essere stato strapagato dal vulcanico Mark Cuban. A 25 milioni per 3 anni, Monta Ellis oggi sembra un buon affare. Fosse rimasto con i Bucks, avrebbe esteso a 25 milioni per due anni, ma ha scelto di prendere meno soldi (il che, a otto milioni abbondanti, non è necessariamente eroico, ma c’è chi non fa nemmeno questo sforzo!) per giocare in un contesto migliore.

E’ uno dei migliori giocatori di pick-and-roll (dati Sinergy Sports) per produttività dell’intera lega e, comparando graficamente l’allocazione geografica dei suoi tiri, vediamo come Monta si sia avvicinato al canestro, decrementando sia le conclusioni dalla lunga distanza che i tiri in-between.

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Quello che è cambiato è la tipologia di tiri che Ellis prende; non si tratta di un momento fortunato, ma di una tipologia di conclusioni a più alta percentuale, che, tra l’altro, genera un numero nettamente più alto di tiri liberi. Monta, insieme con lo staff di Rick Carlisle, ha ricostruito il suo gioco approfittando della presenza di insegnanti competenti e di compagni cestisticamente più evoluti di quelli dei tempi dei Bucks e anche di Golden State.

Gli era sempre stato chiesto di essere, in virtù del suo talento e del suo atletismo, un jump-shooter. Carlisle invece vuole che sia un penetratore, un giocatore che attacca il canestro e cerca sempre la conclusione nel verniciato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ellis è un upgrade anche rispetto a O.J. Mayo, che aveva trovato un suo ruolo nel sistema. Monta però ha uno stile di gioco più complementare a quello di Nowitzki.

Non sono mancate delle brutte partite (a partire dal 2-16 contro i Warriors e dal 6-15 contro gli Hawks, condito da ben sette palle perse) ma la tendenza si è chiaramente invertita. Segna 7.8 punti con le penetrazioni a canestro (drive) ed è secondo dietro a Ty Lawson per punti per penetrazione e penetrazioni per partita.

La possibilità di giocare con un bloccante come Nowitzki ha cambiato completamente il contesto di gioco di Ellis, che è passato dal segnare 0.75 punti per possesso in situazione di pick-and-roll a farne 0.94.

Poco, direte voi? Beh, è passato dall’essere 101esimo all’essere decimo in questa particolare categoria statistica, in cui, tra l’altro, segna con il 51% contro il 40% di un anno fa. Allo stesso tempo, ha vicino a sé un playmaker come Calderon, e questo si traduce in meno responsabilità nel gestire la palla.

Sono circostanze che nella carriera di Monta non si erano mai verificate (l’anno scorso il suo playmaker era Jennings), e aiutano a capire come il valore delle statistiche sia assolutamente relativo, non tanto perché ingannino su quanto un giocatore stia facendo (Ellis era un giocatore che capitalizzava poco e male le sue opportunità) ma perché non lasciano intendere nulla di quello che un cestista potrebbe fare in un contesto diverso.

Carlisle si è affidato al suo fiuto da vecchia volpe della panchina, fregandosene se Ellis nel 2012-13 nella classifica del PER è rimasto fuori dai primi 100 giocatori NBA; si è fidato della disponibilità di Monta a mettersi in gioco e ha avuto clamorosamente ragione.

Oggi si ritrova per le mani una guardia esplosiva e di talento, che fa quasi tanti passaggi quanti James e che è uno dei leader più vocali in spogliatoio e in allenamento. Come ha detto Mark Cuban “Tutto ciò che pensavamo di sapere su Monta Ellis era sbagliato”. Amen.

Nessuno credeva più in Samuel Dalembert. Ma anche in questo caso, i Mavericks sono stati capaci di andare oltre alle statistiche e al passato di un giocatore, per chiedersi viceversa in che cosa sia ancora in grado di contribuire.

L’haitiano è sempre stato un centro prettamente difensivo, capace di stoppare (1.8 in carriera) mobile e soprattutto lunghissimo.
Cuban e Carlisle, ben consapevoli di cosa era riuscita a fare l’accoppiata Chandler-Nowitzki, volevano riproporre qualcosa di simile, consci che, vicino a Dirk, più che punti, serve un’ancora difensiva.

Arrivato per 7.5 milioni per due stagioni, a 32 anni con 12 stagioni di NBA sulle spalle, è una buona mossa, anche se il suo minutaggio (21 per gara) sta scendendo.

Non sta proteggendo il ferro come ci si aspettava, e, sebbene sia un realizzatore parco ma solido (52% in carriera con il 70% ai liberi) non sta impressionando per affidabilità complessiva. Sta concedendo il 52% agli avversari quando li contrasta al ferro e per una squadra che fa riferimento a lui (e che ha in Wright un giocatore troppo leggero e in Blair uno troppo basso per il ruolo) come partner di Nowitzki, queste non sono buone notizie, soprattutto se abbinate alla recente sospensione per essersi presentato in ritardo ad un allenamento.

I numeri di Samuel Dalembert recitano 6.2 punti, 6.2 rimbalzi e 1.2 stoppate di media, con il 56% dal campo e il 78% ai liberi, e lasciano ben sperare, visto che sono quasi tutti (0.5 punti in meno) in miglioramento rispetto alla passata stagione (disputata con la maglia dei Bucks, che a quanto pare sono destinati a recitare la parte del cattivo esempio!).

Tuttavia, anche lui (come Ellis e Nowitzki) ha alcune responsabilità se i Mavs hanno perso le ultime tre partite casalinghe. Contro i Clippers i Mavs hanno subito un 16-2 di parziale nel quarto quarto capace di tagliare le gambe a chiunque, determinato dall’incapacità di porre un argine allo straripante arsenale avversario. Sono stati superati a rimbalzo da Griffin e Jordan, così, pur tirando con il 50% e segnando 112 punti, è arrivata un’altra “L”.

Inutile tentare di nascondere che la debolezza dei Mavs si celi soprattutto sottocanestro, ma Carlisle era preoccupato dalla condizione fisica del suo centro già ad ottobre, quando s’era lamentato, non richiesto dalla stampa presente alla press conference, dello stato di forma dell’haitiano. Riuscire a rapinare Milwaukee e portare a casa due giocatori efficientissimi sarebbe stato forse troppo, così, se Ellis eccita la folla dell’AAC, Dalembert modera gli entusiasmi.

Non è il centro che i Mavs sognavano, ma sicuramente risponde alla descrizione del lungo che Dallas cercava; dov’è il problema, alla luce del fatto che le statistiche non sono meravigliose ma nemmeno disastrose?

Nell’impatto difensivo. I Mavs sono stati grandi quando hanno avuto a disposizione il miglior lungo difensivo della lega. In ogni altra edizione, sono stati oscillanti tra il discreto e il sufficiente.

Serve un rimbalzista (l’anno scorso, Dallas era sedicesima complessivamente e ventiseiesima per rimbalzi offensivi) ma Dalembert non sta aiutando e per giunta, non ha la mobilità (o la voglia?) di uscire molto sul pick-and-roll, rendendo la squadra vulnerabile.

I Mavericks sono una splendida organizzazione, flessibile, con uno staff intelligente ed esperto, capace di far rendere al massimo i propri giocatori, ma la posizione di centro rimane il loro tendine d’Achille, perché il prototipo del centro che servirebbe in Texas è ormai specie rara (stoppatore ma anche ancora difensiva e non solo cacciatore di farfalle che se non respinge il tiro spalanca il verniciato) e quando si è materializzato, sotto la guisa di Tyson Chandler, dopo aver vinto se ne è andato (anche se sarebbe stato meglio strapagarlo e trattenerlo) verso più verdi pascoli.

I tentativi di colmare la lacuna con giocatori diversi (Kaman) o simili ma mano forti (Dalembert) non ha pagato, e in questo caso i Mavs hanno sbagliato nel valutare un lungo che tecnicamente è perfetto per le loro esigenze, ma che ha una storia personale fatta di scarsa forma fisica e di interesse prevalente per le stoppate sopra ogni altro assegnamento difensivo.

Forse Carlisle riuscirà a fargli cambiare rotta, ma di sicuro accostare Ellis e Dalebert mette in risalto quanto ci sia di imprevedibile in questo sport: due giocatori, valutati dallo stesso team di scout, provenienti dal medesimo sistema, stanno avendo impatti opposti.

Questo impedisce sia ai fautori che ai detrattori delle statistiche avanzate di averla vinta, e viceversa confermano che l’elemento principale per valutare un cestista è e rimane la testa; sono entrambi giocatori provenienti da un contesto perdente e con una nomea sinistra, ma se Monta è arrivato in Texas per giocare in un contesto vincente, Samuel viceversa vive l’esperienza con i Mavericks con meno enfasi e con meno attenzione per i dettami dello staff tecnico.

Quando si firma qualcuno che non ha sposato al 100% il progetto, si può essere bravissimi (e Carlisle lo è) ma i risultati difficilmente arriveranno.

4 thoughts on “I Mavs e l’inserimento di Ellis e Dalembert

  1. Bell’articolo, accurato e sensato. Spesso nello sport come nella vita contano più le motivazioni che il talento o l’intelligenza. Ellis sembra che quest’anno voglia fare bene e ha cambiato stile di gioco(ha attorno anche compagni diversi e questo conta molto).D. invece non era stato mai nulla di che ma questa poteva essere la sua grossa occasione di riscatto, invece pare che vada a giocare come andrebbe dal dentista….

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