Quanto gasa, il ritorno di Greg Oden. È un dono della scaramanzia da consumare con cautela, perché le partite a referto sono appena poche decine. Comunque sia, gasa da morire.

Nella mia personale classifica, che si basa su una scientifica valutazione del bilanciamento tra ethos e pathos, ha ufficialmente superato:*

1) la parentesi di Rasheed ai Knicks

2) le 16 partite di Penny Hardaway agli Heat di Shaq (dieci secondi, dal minuto 1:11)

*[Lascio volutamente fuori il periodo del 23 in maglia 45, sia perché per molti è una questione religiosa, sia perché il ricordo di averlo appreso dal televideo e da A.S.B. (American ovviamente Super Basket) la rende per me una questione privata. Meglio, molto meglio, dei due anni di Jordan ai Wizards].

Un rientro, quello di Gregory Wayne Oden jr., che dovrebbe far piacere a chiunque segua lo sport, anche se non serve ad impattare i conti con la sorte: per un Rondo che rientra e un Bynum che vivacchia, il 2014 ci priva, come minimo, di Rose, Gallinari e Kobe. Non perché siano bolliti (mai pronosticare in questi termini la fine o il declino della carriera di un campione), ma perché la ripresa sarà molto difficile per tutti e tre, per motivi diversi e ben noti. Per non sbagliare, mettiamoci pure Bargnani.

Sicché questa storia di Greg Oden a Miami fa pensare, come minimo, a due cose. Prima di tutto, c’è il romanzo delle prime scelte sfortunate: quelle, in particolare, arrivate alla chiamata #1.

Pervis Ellison (1989-2001) è d’obbligo, e ci aggiungiamo la stagione fuori per infortunio a 31 anni prima di abdicare a 33. Per il resto, statistiche ottime dal ’91 al ’93 e nient’altro.

Olowokandi, il nuovo Olajuwon, vanta un massimo di 12 ppg e 9 rpg ai Clippers. Di Yao Ming basterà fare il nome; la menzione di Bargnani potrebbe non mettere tutti d’accordo, ma mi assumo il rischio e ce lo metto.

Poi, Oden rievoca tutti quegli infortunati cronici che sono riusciti a rientrare dopo anni di inattività.

Penny Hardaway ne è degno capogruppo, con la sua storia di ginocchia e altri mali. Ha perso quasi tutto il ’97-’98, da ventiseienne, e si è dovuto trasformare giocoforza: dai 20 ppg di prima, qui ne metteva massimo 15-16.

Immancabilmente scaricato dai Magic l’anno dopo (subentra qui prepotente la questione morale), Penny H. è stato dato per morto anche nel 2000-’01, quando in maglia Suns ha collezionato 4 presenze e si è assestato, ventinovenne, sui 10 ppg.

Siccome ci dev’essere poi anche un po’ di I love this game, Penny non si è per questo rassegnato al ritiro, entrando in modalità-riciclo: nel suo triennio ai Knicks era un giocatore da 7/8 tiri a partita di media per garantire, in sostanza, minuti di qualità. Sembrava tutto finito nel 2005-’06 (altri 4 gettoni annuali al Madison e 34 anni per il Nostro), quando dopo un anno di inattività Miami ha scelto di regalargli 300.000 dollari per giocare 16 partite a fianco di Shaq, con cui aveva sfiorato l’anello del 1995. Una Miami – è bene tenerlo presente – da 15-67.

Charlotte Bobcats small forward Darius Miles looks for room under the basket.Darius Miles è un dramma sofocleo: per quasi tre anni (dal 2005-’06, quaranta partite e mezza stagione saltata) si è detto che non sarebbe più tornato. Ce l’ha fatta nel 2008-’09, guadagnandosi un contrattino a Memphis.

È vero che è stato l’ultimo, consumante, atto di una storia già scritta, ma il tentativo va ricordato. Arrivato con la generazione di quelli che al massimo finivano il liceo, i promettenti numeri iniziali lo proiettavano verso un’evoluzione/completamento in stile Garnett, apripista della tradizione.

Dai Clippers passa però ai Cavs, dove rimane per un anno e mezzo e pare dare segni di involuzione. La trade che lo porta a Portland sembra salvargli la carriera: a 23 anni circa è un giocatore prossimo ai 14 ppg e 5 rimbalzi di media (“comunque al di sotto delle aspettative” è qui verità oggettiva ma ingenerosa), con un assist e una stoppata a notte. Se non che poi D-Miles ti si devasta il ginocchio sul più bello, e addio sogni garnettiani.

A Memphis l’epilogo è americanissimo: torna per amore del figlio, dopo un camp senza esiti ai Bobcats, e ne gioca 34 a 3.5 punti e 1.7 rimbalzi. Nel 2011 si segnala per essersi fatto beccare all’aereoporto di Saint Louis in possesso di una pistola carica (è bene non dimenticare, di nuovo).

Grant Hill, che si è rigenerato (s.v. phoenix) dopo qualcosa come quattro anni, è il cavaliere dello zodiaco. Possiamo dividerne la carriera in due blocchi: prima e dopo l’ankle injury “permanente” del periodo 2000-’04.

Arrivava da Detroit dopo sei anni a 22+8+6 e una ledership totale: ai Magic (anche lui, come Penny) ne ha giocate, nell’ordine, 4 – 14 – 29 – 0. Nel 2004-’05 risorge in modo insperato e inopinato, disputando un’annata praticamente a venti di media. Da lì, fino al penultimo anno e per otto anni, è stato colonna degli stessi Magic e poi dei Suns, mai sotto la doppia cifra, sempre mezz’ora di impiego ed efficienza garantita. Lo scorso anno ci ha lasciati tutti dopo 29 ingloriosi gettoni ai Clippers, ma ragazzi, aveva quarant’anni.

Tracy Mc Grady, per finire, era nei Magic pure lui. Si è spaccato a Houston, perlomeno. Si può dire senza cattiveria e col senno di poi che a 29 anni era finito, come Gigi Riva.

Pur tuttavia, per gli ultimi 3-4 anni di carriera ha cercato di onorare il parquet, con: 1) Knicks, quasi 10 punti + quasi 4 rimbalzi e altrettanti assist; 2) Detroit (8 ppg, 3.5 rpg, 3.5 apg); 3) Atlanta, con cinquanta panchine a 5 + 3 +2. A parte mettiamo la cosa più bella: le sei partite di post-season con gli Spurs nel 2012-’13, per mezz’ora e zero punti. È bene non dimenticare, qui, che parliamo di uno accostato a Oscar Robertson per la facilità di avvicinamento alla tripla-doppia ogni sera.

Qui, intanto, Greg Oden ascolta (?) queste divagazioni con la stessa pazienza con cui ha aspettato di tornare: è stato fermo per quasi quattro anni, di cui tre stagioni intere, prima di poter anche solo pensare al rientro.

L’ingaggio da parte di Miami è arrivato dopo un’estate di indiscrezioni e accostamenti a Pelicans, Mavs e gli stessi Heat. Contratto e aspettative degli Heat hanno fatto il resto, così da superare i Mavs nelle preferenze di Oden. Hardaway I (Timme Bug) ha aperto all’ingaggio del lungo con un sacro comunicato televisivo; Hardaway II (Penny), torna per l’ultima volta per analogia.

Le statistiche mostrano a mio avviso un’efficienza indubbia. Voglio dire che per 36 minuti (santo basketballreference), Oden sarebbe uno da 13 e 10, con 2.8 stoppate e 1.8 recuperi. Al tiro, il 52%.

Anche se sono consapevole della debolezza del discorso e del fatto che ragioniamo in potenza, mi permetto un certo compiacimento. È il modo meno doloroso per interpretare questi 124 minuti in 15 gare, ma è anche una statistica che rende questo aspetto di Oden non peggiore di quello del 2009-’10.

Sul piano tecnico Oden porta un lungo prezioso in rotazione ai vari Bosh, con rispetto parlando per Andersen e Anthony. Prezioso e di valore inestimabile, rispetto ai pochissimi minuti spesi in campo. Certo, non stupisce che gli Heat stiano comunque cercando un pivot.

Ora, ogni 3-4 giorni (il ragazzo non gioca sempre, è fragilino), sta recuperando tutto il campionario. Già che ci siamo, vedremo se concluderà l’anno con l’anello al dito.

Ecco, forse ho trovato un modo, mezzo augurale mezzo trash, per esprimere quanto gasa Greg Oden:

Ultima considerazione drammatica sull’ex franchigia del Nostro. I Blazers, dal canto loro, devono ancora interiorizzare un’altra batosta che li ha consacrati a team più sfortunato nella storia della prima chiamata .

Il nome è quello di Brandon Roy, che parrebbe esser stato Rookie of the year nel 2007 e tre volte All-Star. Dopo il ritiro ufficiale, si è rivisto nello scorso campionato: Roy ha servito la causa con 5.8 ppg a Minneapolis, anche se non è certo sembrato l’inizio di una carriera promettente.

Non dimenticheremo mai, perché è clamoroso, che Oden e Roy sono il risultato di due draft consecutivi (2006 e 2007: LaMarcus, pure lui 2006, sarebbe stato sinonimo approvato del termine anello). Mi dispiace per i Blazers, ecco tutto.

Mi avevano sempre fatto innervosire i Blazers. Avevo accettato con difficoltà che ci andasse Pippen per provare a vincere l’anello e mi hanno tradito. Mi avevano svenduto Brian Grant, Stoudamire lo malsopportavo. Ecco, non li stimavo dai giorni di Isiah Rider.

Intanto, il 23 febbraio, Oden è partito titolare dopo 50 mesi: dite che Yao Ming ci sta facendo un pensierino?

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