noah565Nel mondo della NBA esistono e sono esistite diverse stravaganti personalità, alcune delle quali più o meno incisive di altre.

Nel corso degli anni, soprattutto nelle ultime decadi, non sono mancati esemplari che potessero sembrare ambigui, strani ed eccessivamente estrosi e bizzarri. Uno di questi ambienti, che ha visto passare svariati originali soggetti è lo United Center di Chicago, Illinois.

L’ultimo di una lunga e gloriosa stirpe, capitanata da Dennis “The Worm” Rodman, è Joakim Noah. Il figlio del tennista francese Yannick e della modella svedese Cecilia è sempre stato un personaggio sull’onda dell’entusiasmo e dell’estro, aspetto che ha sempre rispecchiato sul parquet già dagli esordi nella lega cestistica più grande e famosa del mondo.

Già nella sua stagione da rookie, infatti, in una intensissima gara 6 del primo turno dei play-offs, dove i suoi Chicago Bulls affrontavano i Boston Celtics (sconfitti solo dagli Orlando Magic, poi vicecampioni NBA, del miglior Dwight Howard visto finora forse), il centro francese rubò la palla direttamente dalle mani di Paul Pierce e la portò direttamente e personalmente dall’altra parte del campo, schiacciando su “The Captain and the Truth” e portandolo al sesto fallo, quindi all’espulsione. Quello è stato solo il primo grande momento di una carriera fatta di lavoro, sudore, sangue sputato e tanta, tantissima voglia di fare sempre e comunque il proprio dovere nella maniera più solida e concreta possibile.

Dopo una stagione (la seconda) in cui ha dovuto saltare quasi 20 partite a causa di un infortunio, arriva il primo grande contratto. La stagione successiva ancora arriva la prima tripla doppia contro i Milwaukee Bucks, composta da 13 punti e 13 rimbalzi conditi da 10 assistenze.

Il ragazzo mostra nel corso del tempo una tecnica abbastanza grezza, forse rozza, ma le mani che si ritrova aiutano la crescita, la propria consapevolezza ed il continuo apprezzamento di Tom Thibodeau.

La stagione 2012-2013 è quella che definitivamente lo consacra ai livelli più alti, grazie alla gara da career-high per punti (30) e rimbalzi (23) contro i Detroit Pistons il 7 Dicembre 2012. Solo 11 giorni dopo, il 18 dicembre, realizza la sua seconda tripla doppia nella vittoria contro i Boston Celtics (11 punti, 13 rimbalzi, 10 assist).

Ma soprattutto arriva la prima convocazione alla gara delle stelle, l’All Star Game, come riserva. Noah diventa così il primo centro nella storia dei Bulls dopo la convocazione di Artis Gilmore nel 1982 a diventare un’All-Star. Un’altra serata da ricordare è quella in cui è occorsa la tripla doppia formata da 23 punti, 21 rimbalzi e ben 11 stoppate. Joakim si unisce così a giocatori del calibro di Hakeem Olajuwon, Shaquille O’Neal, Kareem Abdul-Jabbar nel mettere insieme almeno 20 punti, 20 rimbalzi e 10 stoppate.

Molti hanno pensato che con l’infortunio di Rose le cose sarebbero potute crollare in quel di Chicago, ma il roster di Thibodeau poteva ancora contare su Deng e lo stesso Noah, oltre che alla grande difesa costruita e messa in piedi dall’allenatore proveniente dal Connecticut. La questione sembrava messa ancora peggio quando l’ala piccola è stata spedita verso il “Mistake on the Lake”, per non parlare di tutte le voci che riguardano la più che possibile partenza di Boozer quest’estate.

Niente però è perduto se hai uno come Noah in squadra. La sua etica del lavoro, ben trasmessa ed inculcata nella testa dei propri compagni anche grazie all’aiuto dello stesso Thibodeau, è stato un fattore importantissimo dall’inizio del 2014, arco di tempo in cui i Bulls hanno espresso una gran pallacanestro che li sta proiettando sempre più in alto nella Eastern Conference. Proprio il centro è il fulcro di questo nuovo progetto, tanto da rendergli l’onore delle grida “M-V-P” alla linea del tiro libero svariate volte da parte dei tifosi di Chicago.

I numeri del francese stanno lentamente crescendo e alzando il tiro, soprattutto nella metà campo offensiva, dove Noah sta dimostrando sempre più di avere una più buonissima intelligenza cestistica. Nel corso di quest’annata sta dimostrando di essere nel miglior momento della sua carriera, anche in quella fase offensiva dove è stato criticato in maniera continuativa soprattutto sulla tecnica, come detto, non bellissima da vedere.

Spesso e volentieri però, si potrebbe anche affermare che la bellezza tecnica potrebbe finire in secondo piano di fronte all’efficienza, come detto anche da Dwight Howard riguardo ai tiri liberi. Già, proprio il numero 12 dei Rockets, non molto tempo fa, ha accennato ad una piccola discussione avuta con Kobe quando ancora militava nei Lakers, discussione in cui il Black Mamba si è rivolto a Superman affermando che non importava come tirasse i liberi, sottolineando quanto importante fosse invece il semplice fatto di segnarli, non importa come per l’appunto.

Un’importante decisione per valorizzare Noah è stata quella di impostare parecchi giochi su una sua ricezione al gomito, dove il centro ha potuto trovare una sua dimensione, ed è in grado di realizzare in svariati modi (sia partendo dal palleggio che facendo partire l’elbow-j) o aiutare i propri compagni sui vari back-door, scarichi o pick & roll, cosa in cui il francese ha dimostrato in svariate occasioni di avere un certo talento ed una certa apprezzabilità di lettura.

Nel corso di questa stagione quindi è stato, e sarà ancora, possibile apprezzare quanti step-up abbia compiuto Noah grazie a Tom Thibodeau, all’assenza di Rose (diciamolo tranquillamente, dato che gli ha permesso di avere molti più palloni per le mani) e soprattutto a se stesso.

La recente pesante vittoria contro i New York Knicks potrebbe essere il sigillo e l’emblema delle qualità che i Tori di Chicago stanno dimostrando, nonostante la squadra di Carmelo Anthony abbia aiutato scendendo sul parquet quasi senza spirito e voglia di lottare. Il concetto, però, è che la base della resilienza dei Bulls si chiama Joakim Noah, in grado di tenere in piedi quella che poteva essere una squadra ormai infranta in tanti pezzi, ed in grado di mantenerla a livelli molto alti.

Un centro sicuramente atipico, con una tecnica per certi versi rivedibile è diventato l’anima ed il cuore dei Chicago Bulls. Lo stesso Noah ha sottolineato quanto questi meriti che finalmente gli sono riconosciuti siano solo la punta dell’iceberg, e quanto sia affamato di vittorie.

La sua etica del lavoro e la sua voglia di lottare sono parecchio contagiose e potrebbero aiutare una squadra senza il suo giocatore numero 1 ad arrivare lontano. Pensare che qualche anno fa il numero 13 era solo un “porta-borracce” ed ora è una stella rende benissimo l’idea di quanto abbia lavorato.

Vedremo cosa avrà il futuro in serbo per questo ragazzo molto estroverso, originale e molto carismatico.

 

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