Passata la dead-line di febbraio, l’ennesima senza colpi di rilievo (salvo la relativa eccezione di Turner ai Pacers, ma non si parla certo di un campione), il mercato è stato paradossalmente più movimentato nelle giornate successive grazie a diversi giocatori che sono stati rilasciati nel mercato dei free agents attraverso i buyout, ossia le buonuscite utili a permettere a giocatori che non rientrano più nel progetto tecnico-economico di una franchigia di trovarsi una nuova sistemazione.

Tralasciando per ovvi motivi le acquisizioni minori (quelle in stile Knicks, o stile Dolan, come Shannon Brown o Clark), sono stati due (ex) grandi nomi a fare rumore: il fu Danny Granger di pirandelliana memoria, passato dalla panchina dei Pacers a quella dei Clippers, e gli ultimi bagliori di Caron Butler, trasferitosi dal gioco a perdere dei Bucks alle ambizioni di anello dei giovani Thunder.

Si tratta di due ultratrentenni – anche se Granger, classe 1983, ha tre anni in meno – i cui anni migliori sono indubbiamente trascorsi da qualche tempo, però allo stesso tempo rimangono pur sempre due ali piccole di indubbio talento e con ancora qualche cartuccia in serbo, soprattutto in ottica post-season e con il fortissimo stimolo di poter lottare per vincere il titolo. Ma ora cerchiamo di prevederne l’impatto potenziale nei rispettivi roster e soprattutto in cosa potrebbero fare la differenza nelle partite che conteranno da aprile in poi.

Per diritto di anzianità partiamo dall’ingrigito Caron Butler, avventuriere – con scarsissime fortune – della NBA negli ultimi anni, ma che in un tempo non troppo lontano formava con Jamison e Arenas una versione temibilissima di Big Three ante litteram e scollinava volentieri sopra i venti di media a stagione.

Decima scelta degli Heat al draft – piuttosto incolore – del 2002, di passaggio ai Lakers nel ‘04/’05, si consacra proprio nella capitale in cui tra il 2005 ed il 2009 colleziona ottime stagioni e due sfortunati viaggi al primo turno dei playoff, divenendo però parte dell’elité delle ali piccole della lega immediatamente dietro a fuoriclasse come James, Anthony e Pierce.

Il declino del nostro inizia lento ma inesorabile dal fallace trasferimento a Dallas nel 2009, alla soglia dei trent’anni, e Caron nelle successive stagioni (un ritorno dimenticabile ai Wizards, un nuovo brevissimo periodo a Dallas, due stagioni personalmente mediocri agli ambiziosi Clippers) non dimostra di potersi riprendere e tornare ai fulgidi livelli di un tempo, anzi viene pure falcidiato dagli infortuni (iniziati nel dicembre del 2010 con la devastante rottura del tendine rotuleo del ginocchio destro, l’infortunio del Fenomeno Ronaldo, per intenderci).

L’approdo temporaneo ai Bucks, palesemente rivolti al tanking estremo, era solamente una parentesi in attesa di un’ultima chiamata per vincere un anello da simil-protagonista (nel 2011 a Dallas non poté festeggiare perché infortunato) e la chiamata è arrivata puntuale dall’Oklahoma.

Il ruolo di riserva di Durant è sempre rimasto scoperto ai Thunder (non ditemi che Perry Jones è un buon cambio, perché essenzialmente è acerbissimo e nemmeno talentuoso come si pensava), e invece ora, pur non essendo più nel fiore degli anni, Butler potrebbe rivelarsi un’aggiunta preziosa, un mix di tecnica, esperienza e carattere che mancava alla panchina di OKC.

La forma fisica è a dir poco approssimativa dato che a Milwaukee ha giocato con il contagocce fra acciacchi vari e scelte tecniche, quindi ora ci sarà da lavorare proprio sul fronte atletico per arrivare fra un mesetto pronto a dire la sua quando ve ne sarà davvero bisogno; mentre tecnicamente Caron ha mantenuto un’ottima mano dall’arco (40% finora), dimostrandosi capace di occasionali exploits balistici impressionanti, e d’altra parte una scarsa fiducia nei propri mezzi fisici attuali che non gli consente di essere una reale minaccia in avvicinamento a canestro.

Esiste l’ipotesi affascinante di un quintetto piccolo e tecnico da utilizzare in determinati momenti delle partite: Westbrook, Sefolosha da sano (o Lamb), Butler, Durant e Perkins/Ibaka, un’ipotesi decisamente offensiva e perciò rischiosa nella propria metà campo, ma ideale per allargare il campo con quattro potenziali tiratori da fuori e due penetratori eccellenti come Westbrook e KD a non lasciare respiro internamente.

In sintesi Butler – ricordiamo che è stato preso senza perderci nulla – è una scommessa in cui i rischi appaiono minimi: se si rivelasse un giocatore fisicamente finito e incapace di contribuire in maniera significativa, semplicemente sparirebbe dalle rotazioni e i Thunder rimarrebbero l’ottima squadra che erano prima del suo innesto, viceversa se dimostrasse – e chi scrive lo crede possibile – di saper ancora centrare il canestro con continuità nel secondo quintetto, portando punti veloci nelle brevi assenze di Durant dal parquet (oppure in compresenza nel quintetto tattico di cui sopra), allora Oklahoma avrebbe fatto un grande colpo per avvicinarsi a quel titolo che tanto anela.

Capitolo Granger: il caso in questione è decisamente più complesso del precedente, perché Danny è più giovane di Butler e perché fino a poco più di due anni fa era considerato tra i migliori realizzatori della lega (seppure mai un fuoriclasse, dato che non stiamo parlando di un giocatore dal talento abbacinante), ma soprattutto perché è reduce da infiniti problemi fisici ed il suo crollo di rendimento è stato persino più verticale del suo collega appena giunto ai Thunder.

Complice l’arrivo e la successiva esplosione di Paul George – fatalmente coincisa con l’infortunio al ginocchio di Granger che lo ha costretto a saltare l’intera stagione ‘12/’13 – hanno relegato Danny ad un ruolo di comprimario al quale non era abituato e dal quale non è riuscito a scardinarsi nelle apparizioni avute in maglia Pacers in quest’annata (partita fra l’altro in ritardo per dei fastidiosi problemi muscolari, altro campanello d’allarme per l’integrità fisica del giocatore).

Indiana-Pacers-Danny-GrangerTra il 2007 ed il 2012, quindi non ere geologiche orsono, Granger non è mai sceso sotto i 18 punti a partita, con un clamoroso picco di 25,8 nella stagione ‘08/’09, bissato dai 24 della seguente; livelli realizzativi tuttavia mai più ripetuti ed anzi calati piuttosto nettamente nel breve volgere di un paio di anni e crollati a seguito dei già citati infortuni e della spietata concorrenza di George, nuova stella della squadra e psicologicamente un problema insormontabile per Granger, passato da leader indiscusso a riserva senza poter nemmeno dire la sua in campo dal momento che passava più tempo in infermeria che sul parquet.

Dal punto di vista tecnico siamo di fronte ad una small forward dallo stile di gioco simile a quello di Butler, cioè un esterno con punti nelle mani, pericoloso dal perimetro e dalla media distanza, mediocre in difesa e non eccelso atleticamente, sostanzialmente un ottimo attaccante da inserire in un contesto di squadra ben definito dato che non dispone della classe cristallina delle superstar né è stato mai dotato di un atletismo strabordante (a maggior ragione oggi a 31 anni e con una storia recente di infortuni a dir poco sospetta).

Lo scambio che ha portato il giovane ed energico Evan Turner ai Pacers (un innegabile miglioramento rispetto al Granger che si è visto sinora) e Granger ai Sixers non era altro che il preludio ad un inevitabile buyout ed all’opportunità di firmare per una contender, opportunità che anche per lui non ha tardato ad arrivare e fra le pretendenti hanno avuto la meglio i Los Angeles Clippers, squadra dal roster già profondissimo, ma che con Danny ha aggiunto forse l’ultimo tassello per battagliare ad armi pari con Spurs, Thunder e probabilmente Rockets nei playoff della terribile Western Conference.

La chiave per la buona riuscita dell’esperimento Granger sarà ancora una volta quella di riportarlo ad una condizione fisica accettabile, indispensabile per garantire qualità nella ventina di minuti che presumibilmente – anche alla luce dello straordinario momento di Barnes – avrà a disposizione da coach Rivers.

Alle spalle proprio dell’ottimo Matt Barnes si staglierà la figura del “fu Danny Granger”, adibito al ruolo di sesto uomo potenzialmente di lusso, e ancora più importante data la concomitante assenza di Redick, pedina strategica dello scacchiere di tiratori dei Clippers alle spalle dello stellare asse Paul-Griffin.

Un secondo quintetto piccolo Collison, Crawford, Granger, Turkoglu, Glen Davis (altra ottima mossa della dirigenza) non lo può schierare nessuno nella lega e le alternative in mano a Rivers ora sono veramente sterminate; inoltre anche in questo caso il rischio è pari a zero, poiché la scommessa Granger se venisse vinta porterebbe i Clippers concretamente a lottare per il titolo, se invece venisse persa non cambierebbe molto perché il roster è comunque competitivo e il ragazzo sarebbe rilasciato in estate senza rimpianto alcuno.

In conclusione spendiamo qualche parole anche su un’operazione indubbiamente minore, ma che riguarda un personaggio di culto – anche se non si sa bene per quali meriti sportivi, se non il passato NCAA: Jimmer Fredette, alias bianco bombardiere ignorante, giunto a Chicago dopo essere stato rilasciato dai Kings tra le cui fila non era mai sbocciata l’alchimia dopo essere stato selezionato (e caricato di inopportune aspettative) con la decima chiamata al draft del 2011 (in realtà venne scelte dai Bucks, ma immediatamente girato a Sacramento).

jimmer-fredette-bullsL’apporto che un giocatore come l’ex Cougars potrà offrire alla ultimamente smagliante banda agli ordini di coach Thibodeau è tutto da scoprire, e, anche se non si devono attendere gesta eroiche o prestazioni memorabili in serie, potrebbe farsi apprezzare come arma tattica dal pino contro squadre in difficoltà a difendere sulla linea del tiro da tre, oppure con un quintetto pesante ad intasare l’area e più spazio per colpire da fuori (Jimmer ha dalla sua un range di tiro praticamente illimitato), senza dimenticare l’importanza della difesa, vero marchio di fabbrica di questi Bulls, che potrebbe mascherare le enormi lacune difensive di Fredette nei minuti in cui calcherà il parquet .

Non ci sarebbe sa stupirsi se la sua avventura ai Bulls terminasse con una lunga serie di mesti DNP o fugaci comparsate da 10’ a incontro in garbage time, però è bello e affascinante sperare che questo giocatore che tanto ammalia il pubblico riesca a infiammare lo United Center con qualche prestazione balistica indimenticabile, magari proprio ai playoff e sugli scarichi di un play di 2.11 che risponde al nome di Joakim Noah.

 

One thought on “Butler, Granger e Fredette: scommesse a rischio zero

  1. A mio parere, Granger potrebbe essere molto utile alla causa Clippers. Anzitutto, il suo 38,1% in carriera dall’arco potrebbe essere ben utile ad una squadra che tira bene ma non benissimo dall’arco (ventunesima, 35,2). E che ha JJ ai box. E Paul come playmaker, oltre che una impostazione offensiva totalmente diversa da quella di Indiana.
    Poi, non sono così certo sia un difensore così scarso; per quanto poco possano contare, le statistiche di quest’anno mostrano che con lui in campo Indiana difendeva benissimo, sia di squadra che negli 1vs1.

    Butler… mah…

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