Il bello delle serie al meglio delle 7 partite è che si può sbagliare. È ammesso fallire una, due, magari anche tre volte purché si ritrovi la retta via e si conquistino le altre gare.

Il bello delle serie di playoff NBA è che, eliminato un avversario, puoi azzerare quanto di negativo successo fin lì e ripartire da zero, contro una nuova squadra che, in genere, presenta anche sfide diverse.

Gli Indiana Pacers, testa di serie numero uno ad Est, dopo essere scampati alla tempesta del primo round con gli Atlanta Hawks ed aver sfiorato la tragedia (sempre sportiva, si intende), avevano l’occasione per riniziare la corsa verso l’anello, questa volta col piede giusto, mettendo a tacere i dubbi e le polemiche emerse nei giorni scorsi e dando un segnale forte alle altre contenders.

Offrire una prova convincente in gara 1 del secondo turno contro Washington, due giorni dopo aver domato con personalità le velleità di successo di una sorprendente Atlanta, avrebbe fatto gridare tutti gli addetti ai lavori all’ineluttabile ritorno dei tremendi Pacers di inizio anno, tutta difesa e intimidazione.

Inoltre c’era la possibilità di misurare il polso ad alcuni degli interpreti in giallo e capire, partendo da una prospettiva più ampia data dalla possibilità di affrontare un avversario differente, la reale portata di alcuni dei problemi riscontrati in post season.

Il primo dubbio ovviamente riguardava il possibile recupero di Hibbert: dopo essere stato relegato al margine della sfida fino a gara 7 contro una squadra che mal si sposava con le sue caratteristiche (lunghi come Millsap e Antic che lo portavano regolarmente lontano dall’area) sarebbe potuto tornare a costituire un fattore fin dall’inizio contro un avversario più classico, in grado di schierare due big men d’area come Nene e Gortat (che tuttavia avevano fatto ammattire Noah al primo turno)?

Altra domanda abbastanza abusata: se Jeff Teague (buonissimo per carità) a tratti è sembrato Iverson contro la difesa molle di Hill, ma anche di George, Stephenson, Watson e compagnia bella, Wall chi può ricordare? Mazinga Z?

Un’ultima considerazione che si poteva fare alla vigilia riguardava, sempre in casa Pacers, la necessità di bilanciare l’attacco: impensabile pretendere che George e Stephenson siano entrambi contemporaneamente aggressivi ed attacchino il canestro, troppo elevato è il potenziale atletico di questi Wizards e quindi il rischio che la partita si trasformi in una specie di All-Star Game a suon di contropiedi.

Vi erano infine le classiche valutazioni sulla maggiore esperienza di Indiana e sull’annosa questione se sia preferibile riposare molti giorni (Washington ha eliminato Chicago martedì), col rischio di perdere il ritmo partita, oppure giocare ogni due lune con l’intensità brutale che si vede nei playoff. Tradotto: Pacers stanchi? Wizards pronti?

Che Washington sia pronta lo si intuisce lontano un miglio. Il quintetto è formidabile: presenta 3 esterni di tutto rispetto e per giunta in crescita da febbraio (un All-Star, uno che lo sarà certamente e il terzo che a casa ha dell’argenteria da mostrare con fierezza).

Wall non lo scopriamo certo oggi, è una delle guardie più elettrizzanti che ci siano oggi nella lega. È rapidissimo e fa della penetrazione, spesso con scarico spettacolare, la sua arma migliore.

Beal ha solo 20 anni ed è destinato a lasciare il segno in questo sport. Ad alcuni ricorda Ray Allen, la sua tecnica di tiro è sublime. Ariza può vantare attributi, tiro e difesa a palate ed è già stato qui (si è spinto anche oltre per la verità, da protagonista).

Il reparto lunghi poi conferisce a Washington quella doppia dimensione inside/outside che può mandare in bambola gli avversari. Gortat è un duro, se Beal assomiglia a He Got Game lui assomiglia a Boruta, demone della mitologia slava, signore dei boschi e della caccia, che abitava dentro a un pino.

Nene, quando la forma e la salute fisica lo assiste, è un signor giocatore e lo ha dimostrato in molteplici occasioni. In più ha demolito le certezze difensive di Thibodeau e dei Bulls. La cosa incredibile dei Wizards è proprio questa: segnano tutti i giocatori del quintetto, difficile isolare una singola minaccia.

Washington da dopo l’All-Star Game è 19-11 in regular season. Nei playoff è la squadra che al primo turno ha concesso meno punti per partita agli avversari con appena 90,0 (42.2% al tiro per i Bulls). Compresa questa gara 1 ha vinto 9 delle ultime 10 giocate (7 in fila). Una squadra in salute, si potrebbe dire.

Ironia della sorte, prima di stanotte, non vinceva a Indianapolis dal 18 aprile del 2007 (12 sconfitte consecutive), quando a guidarla sul parquet vi era un appena trentenne Jamison.

Se guardiamo al recente passato, anche se a giudicare dalla metamorfosi compiuta dai Pacers sembra trascorso un lustro, solo il 10 gennaio di quest’anno i Wizards erano stati tenuti a 66 punti complessivi realizzati, minimo stagionale assoluto per una squadra NBA. Nella partita della Bankers Life Fieldhouse appena conclusa, Wall e compagni hanno impiegato appena 26 minuti e 2 secondi per raggiungere quota 66.

Washington e Indiana sono, almeno apparentemente, due squadre che procedono in direzione opposta lungo la parabola che stanno compiendo da inizio stagione: i primi risalgono, come salmoni, la corrente; gli altri sono in caduta libera, anche se ogni tanto si aggrappano a qualche tronco che trovano sulla strada per resistere al flusso contrario dell’acqua (Hibbert è affogato).

Nell’immediata vigilia di gara uno, intorno agli enigmatici Pacers si era scatenata una vera e propria dissertazione. Le posizioni principali si riassumevano in due argomentazioni opposte ma che ugualmente potevano vantare diritto di cittadinanza.

Indiana ha mostrato da tempo i suoi difetti, che ormai col passare dei mesi possono definirsi conclamati e che sono stati sviscerati da tutte le migliori penne del paese: l’innesto di Turner si è rivelato un errore, la difesa non copre più come in precedenza l’aridità dell’arsenale offensivo, Hibbert attraversa una crisi di identità, Paul George deve costruire la culla al figlio, etc.

Tutte valide argomentazioni e che soprattutto hanno trovato riscontro nella serie di primo turno contro gli Hawks, quando la terribile schiera di tiratori messa in mostra da Budenholzer ha fatto più volte vacillare le poche certezze rimaste ai Pacers.

Vogel non c’ha pensato su due volte e in gara 6 e 7 ha panchinato Turner e Scola ed ha gettato nella mischia Copeland, venendo meno a tutti i suoi dettami tattici.

Ha fatto a meno per lunghi tratti del suo centro titolare ed ha preferito in alcune circostanze C.J. Watson a George Hill. Se sia stata disperazione o bravura non è facile da stabilire e nemmeno importa più di tanto.

Basti dire che, avessero vinto gli altri, sarebbe stato uno degli upset più incredibili di sempre, il seed n.1 che perde contro l’unica squadra delle fantastiche sedici col record perdente.

Questo non è successo, ma la tendenza negativa mostrata negli ultimi mesi è proseguita e può darsi che sia solo questione di tempo, prima che qualche squadra, mediamente più attrezzata (e magari che gioca nella capitale?), metta fine al travaglio di Indiana e stacchi definitivamente la spina a un gruppo agonizzante, mandando George e compagni a riflettere sui propri errori sotto l’ombrellone.

Questa appena snocciolata potrebbe essere la prima posizione di quello che a tutti gli effetti ricorda un dialogo platonico. Se in un ipotetico Simposio di Platone, questa tesi può essere sostenuta da un Socrate, che cerca di smascherare le illusioni sull’amore, dicendo quella che a suo parere rappresenta la nuda e cruda verità, l’intervento successivo potrebbe essere quello di Alcibiade che, almeno inizialmente, si rende protagonista di una breve schermaglia col commensale.

Egli direbbe, e con lui gli esperti di Pacersologia, che le difficoltà incontrate da Indiana al primo turno sono esclusivamente il frutto dell’insolita composizione del quintetto degli Hawks, la quale inevitabilmente ha messo a nudo i limiti del lineup dei Pacers con due lunghi classici e non troppo mobili. In queste condizioni Atlanta avrebbe messo in difficoltà chiunque.

Troppi tiratori, tutti all’apice della forma, spinti dall’entusiasmo e dall’incoscienza di una cenerentola. Anzi, proprio l’esser passati attraverso queste peripezie può costituire per la compagine di Vogel un’autentica catarsi.

Vedrete – dicono i sostenitori di questa parte – che contro una squadra meno atipica torneranno i veri Pacers! Ecco, abbiamo detto che tale posizione potrebbe essere attribuita ad Alcibiade…

Quello che ci dice il buon Platone e che finora è stato taciuto è che il prode Alcibiade fece una clamorosa irruzione al banchetto, completamente ubriaco e con in testa una corona di edera e di viole.

A giudicare dallo svolgimento di gara 1 del secondo turno infatti la prima argomentazione, quella del malato terminale, è forse anche la più credibile, oltre che quella più lucida. A questo punto, se è vero che due indizi fanno una prova, qui di indizi ne abbiamo quanti ne volete, ci si potrebbe riempire da zero il terzo capitolo del film sulle avventure del mitico Sherlock Holmes interpretato da Robert Downey jr.

E il primo segnale in questa direzione fa capolino presto in gara 1. Nei primissimi minuti di gioco Trevor Ariza, come fosse un Mike Scott qualsiasi, manda a bersaglio 2 conclusioni pesantissime dalla lunga distanza. Viene naturale chiedersi se ci troviamo sempre ad assistere al primo turno o siamo davvero passati oltre.

I tifosi dei Pacers si accorgono che di fronte non c’è più Atlanta però quando vedono Nene dettare legge nella propria metà campo, rispedendo al mittente un paio di conclusioni poco convinte. George e Stephenson perdono palla, come fanno da… sempre e in men che non si dica siamo 8-0 per gli ospiti.

D’altronde si sa, nei primi quarti di gara Washington parte fortissimo: nei playoff 51.2% dal campo (61.1% da 3!), 27,3 punti e 6,5 assist di media con un +35,1 di disavanzo per 100 possessi. L’atteggiamento di Indiana è semplicemente inaccettabile. Stanno probabilmente cercando di stabilire nuovi standard assoluti per linguaggio del corpo negativo. Che siano stanchi?

L’intensità difensiva di Washington è comunque spaventosa. John Wall mette gli stivali delle sette leghe e vola in cielo a stoppare i tentativi di layup di George e Stephenson, che sembrano Stanlio e Ollio per comicità in questo primo quarto.

Sotto il canestro dei Wizards non si tira stasera (2-12 fin qui). Quello di Wall invece è un vero e proprio show: penetrazione mancina e assist (5 nel quarto) con palla fatta passare dietro la schiena di Hibbert per il canestro facile di Nene.

Il backcourt di Washington si trova come il topo nel formaggio nel pitturato degli avversari. Sul 16-7 hanno segnato tutti gli starter. Indiana che ad 1:39 dal termine tira con 4-20 dal campo si affida alle vecchie rotazioni con Scola e Turner che tornano a vedere il parquet della Bankers.

Terza tripla di Ariza e quarto che si chiude sul 28-15 per i Wizards, che hanno anche 10 punti segnati in contropiede (nel primo incontro di regular season a novembre erano 0). Il +13 maturato nei primi 12 minuti si riproporrà per tutto l’arco della partita, un solco scavato presto fra le due formazioni e che risulterà impossibile da ricoprire.

Il quintetto di Indiana di inizio secondo quarto con Stephenson, C.J. Watson, Turner, Scola e West sorprende Washington: parziale di 16-2 e primo vantaggio (nonché unico nella serata) Pacers della sfida sul 31-30 a 8:30 dall’intervallo. Il primo confronto fra le panchine è appannaggio esclusivo di Indiana (11-0 nei punti).

Tornano i titolari e i Wizards riprendono il largo. Nene è inarrestabile nel pitturato e quando si trova a 4-5 metri dal canestro ringrazia Hibbert, che si limita a guardarlo a debita distanza, e manda dentro il jumper.

Proprio il centro dei Pacers è in nettissima difficoltà. Commette falli in attacco banali e concede troppo in difesa agli avversari. Il plus/minus con lui in campo è di -16. In breve tempo su twitter parte il tam-tam dei commenti che si prendono gioco di lui.

Kyle Weidie del blog capitolino Truth About It scrive: “Hibbert gioca come se avesse fumato due canne. Non trovate?” Mahinmi è molto più efficace del titolare. Ben presto si capisce infatti che la cosa migliore che può capitare a Roy in questa serata è finire sul pino con problemi di falli, come twitta Sekou Smith di nba.com.

I pick&roll continuati dell’attacco di Washington con Wall e Beal ad alternarsi nel ruolo di palleggiatore, Nene e Gortat a bloccare e Ariza pronto nell’angolo per bombardare sono letali. L’ex campione NBA con la maglia dei Lakers chiude la frazione di gioco con 17 punti e 5-5 da 3 punti.

Washington ha 8 stoppate di squadra. Il punteggio è ancora +13, 56-43 per chi gioca fuori casa. I Wizards tirano col 48%, Indiana col 35%. I punti da seconda chance sono 10-5 per chi comanda. Gortat ha un’incredibile tendenza ad appropriarsi delle cosiddette 50-50 balls. Il suo onesto tabellino dice 4 rimbalzi in attacco, 4 in difesa, 2 assist e 3 stoppate. Washington ha 7-13 nei tiri contestati (si fa per dire) dai Pacers, Indiana 0-7.

A inizio secondo tempo Hibbert spinge nuovamente a rimbalzo e commette fallo. Probabilmente crede di trovarsi sul tappeto colorato di un incontro di lotta greco-romana. Di buono c’è – per lui – che anche Nene commette il quarto fallo personale.

Gortat sembra Chamberlain, Gooden pare ancora un giocatore: 68-52 Washington. Stephenson non vede nemmeno la targa di Bradley Beal, quando è costretto a seguirlo sui blocchi. A questo punto del match, i Wizards contano 19 assistenze, i Pacers dal canto loro 19 canestri.

Indiana pratica un curioso gioco tutto suo, in cui il tempo utile per completare un’azione è di 8 secondi, invece dei canonici 24, visto che a turno Hill, Stephenson, George e West tengono palla per decine e decine di secondi senza costruire un briciolo di schema. Spesso e volentieri così il pallone finisce nel cesso.

In particolare un’azione che sembrano prediligere i ragazzi di Vogel è quella che prevede innanzi tutto che lo schema principale evidentemente non riesca e la prima opzione venga quindi cassata.

Questo costringe il palleggiatore di turno (ancora una volta Stanlio George e Ollio Stephenson) a sfruttare in punta il blocco di West per fare uno, forse due palleggi a destra e recapitare la palla rigorosamente dietro la schiena al solito West per un long-two, che il lungo Pacers mette dentro con incredibile puntualità.

Ah ovviamente ho tralasciato il fatto che i blocchi sono sfruttati male, il giocatore che ne dovrebbe beneficiare passa regolarmente a 12 metri dal compagno, e, se possibile, chi le effettua fa peggio. L’attacco di Indiana è leggermente telefonato, come si suol dire, con una valanga di tiri presi dal midrange.

Dall’altra parte però c’è Drew Gooden che difende come Topolino e prende confidenze in attacco come fosse Kevin Durant (8 tiri in 10 minuti; quando sei stato giocatore della settimana ad Est in un momento della tua vita, puoi farlo).

Cominciano a scendere le percentuali dei Wizards che rimangono all’asciutto per tutti i 6:12 finali del quarto. Inizia invece a ruggire Born Ready (9 punti in un amen) e grazie a un parziale di 10-0 Indiana si rifa sotto (68-62). Il pitturato però continua a rimanere inaccessibile per George, West e Stephenson (combinano per 2-15 in totale fino a questo momento).

Nell’ultimo periodo sale in cattedra Bradley Beal che segna a ripetizione sia uscendo dai blocchi, che aggirandoli in palleggio. Turner, che in attacco si è rivelato un onesto contribuente, non può in nessun caso seguire le tracce della guardia avversaria.

Per lui si prevedono – nuovamente – tempi duri e tanta, tanta panchina. Anche perché Beal segna anche un corner 3 contestato (da Scola) e in equilibrio precario quando viene preso in custodia dal più competente George.

Dopo le nefandezze del terzo quarto, adesso Gooden è decisamente un fattore per i suoi. Uno dopo l’altro mette a segno due tap-in cruciali per tenere Indiana a distanza. Beal intanto continua a perforare la retina da fuori, sono 14 i suoi punti nel quarto. A 5:44 dal termine il punteggio recita Washington 92 Indiana 78. Le speranze dei Pacers sono ridotte al lumicino.

Sul web inizia a girare una simpatica foto messa da Agent 0 Gilbert Arenas con il fotomontaggio della testa di Hibbert nella celebre istantanea dei 100 punti di Chamberlain. Nel foglio però c’è scritto 0 punti, 0 rimbalzi, che sono poi il fatturato finale del centro in 17:43 d’impiego.

Se ricordate la prima domanda dell’articolo, barrate pure NO nella risposta. Stephenson ha il sapone nelle mani (e pensare che gestisce lui quasi tutti i possessi in questo frangente…), Bradley Beal però non infierisce e decide di sbagliare 3 liberi consecutivi (di cui l’ultimo, cortissimo, sfiora appena la retina).

Ha pur sempre 20 anni. Washington in generale dimostra tutta la poca esperienza in post season di alcuni suoi giocatori. Con Indiana lì davanti che barcolla moribonda, la squadra di Wittman non infligge il colpo di grazia ma perde palla e successivamente commette infrazione di 24 secondi. Negli ultimi 7:41 del match, i Pacers non segnano mai se non dalla lunetta.

Poi Vogel pesca negli special team e mette Copeland – il che vuol dire che siamo alla frutta candita – che insacca una tripla a 40 secondi dalla fine (94-87).

Ormai è tardi, a nulla servono le 3 bombe di Hill, come si suol dire a babbo morto, perché i Wizards prima con Nene e poi con la coppia d’oro Wall-Beal non hanno pietà dalla linea della carità. Finisce 102-96, punteggio, se vogliamo, anche beffardo: il divario espresso dai valori messi in campo dalle due squadre è sembrato ben maggiore.

La supremazia di Washington sotto le plance è stata letteralmente sorprendente: 53-36 il computo dei rimbalzi (17-6 quelli offensivi). L’aggressività espressa dai lunghi in maglia rosso-blu-bianca ha fruttato il 36.2% delle carambole in attacco catturate nelle situazioni di rimbalzo disponibili.

I punti da seconda chance alla fine sono 19-5. In area avversaria i Pacers hanno segnato solo 20 punti (minimo stagionale) con 10-29 al tiro.

L’MVP della serata è da attribuire senza indugio a Bradley Beal che va a fare compagnia a Kobe, LeBron, T-Mac e D-Rose (quattro qualsiasi) fra i giocatori con 21 anni o meno che dal 1986 ad oggi hanno vinto una partita di playoff realizzando almeno 25 punti, 7 rimbalzi e 7 assist.

Nel libro dei record ci entra pure Trevor Ariza, terzo nella storia con almeno 6 triple realizzate senza errori in una sfida di post season. Che dire poi del coach Randy Wittman? È solo il terzo allenatore della storia a vincere le prime 4 partite di playoff della sua vita giocate in trasferta (gli altri due sono Pat Riley e Mike Dunleavy; entrambi raggiunsero poi la finale).

Per quanto riguarda Washington, si tratta della prima vittoria al secondo turno dal lontano 28 aprile 1982 e con quella di stasera la squadra della capitale ha già eguagliato il numero totale di vittorie fuori casa nei playoff delle passate 20 stagioni (4-23 lo score). I 10 canestri da 3 punti realizzati da Ariza e compagni rappresentano il record franchigia in post season (10-16 in gara 1).

Indiana che già aveva concesso ad Atlanta il record assoluto di triple tentate in una serie playoff è adesso di gran lunga la peggiore del lotto per canestri da 3 subiti con 11,1. La difesa un tempo impenetrabile sul perimetro rimane adesso solo un ricordo sbiadito.

Le parole dell’eroe di giornata Beal sono emblematiche per fotografare il momento delle due squadre: “Ho 20 anni, sto giocando i playoff. È un qualcosa che ho sempre sognato. Perché non sfruttare l’occasione?” e ancora “Tutto ciò che devo fare è divertirmi.”

Beata gioventù! E beata incoscienza, che è proprio ciò che servirebbe ai Pacers per alzare nuovamente la testa dopo questa ennesima, pesante caduta. Nonostante la buona prestazione di Washington però, l’impressione generale è la solita: il peggior avversario di Indiana è Indiana stessa.

Se osservate bene, l’efficienza offensiva dei Wizards non è risultata così superiore a quella dei Pacers. Tre pedine chiave dello scacchiere di Wittman hanno sbagliato diverse conclusioni: Wall 4-14, Gortat 4-12, Nene 6-16. Dati contrastanti, non facilmente interpretabili.

Come indecifrabile è ormai la squadra di Indianapolis. Chissà quale vestito porterà al ballo di gara 2, mercoledì notte, sempre alla Bankers Life Fieldhouse?

 

2 thoughts on “Indiana abbiamo un problema: 1-0 Wizards

  1. Articolo meraviglioso scritto in maniera competente e divertente allo stesso tempo. Magari un po’ troppo lungo ma anche se non me ne fregava niente della cronaca della partita l’ho letta tutto lo stesso per il semplice piacere della lettura. Complimenti

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