Dopo i primi due episodi di Indianapolis la serie si sposta nella capitale. Al Verizon Center di Washington, D.C., l’atmosfera è elettrica. Era dai tempi di Spencer Haywood e Frank Johnson che non si giocava con un obiettivo così ambito da raggiungere, se si esclude il cappotto in semifinale di conference rimediato nel 2005 contro i Miami Heat da Gilbert Arenas e compagni.

Comincia la partita e le due squadre fanno una gran fatica a segnare. Nelle serie al meglio delle 7 partite chi vince gara 3 si aggiudica l’intero bottino nel 75.9% dei casi.

Washington è più aggressiva e fa la voce grossa a rimbalzo d’attacco, Indiana si affida alle proprie individualità, costrette a inventare rigorosamente alla fine dei 24 secondi. Un’improbabile tabellonata da 3 punti di Ariza, che trova il fondo della retina, fa pensare che qualcuno parecchio in alto abbia a cuore le sorti cestistiche della città dove ha sede il Jefferson Memorial.

Tuttavia dopo aver tentanto la fuga sul +5, i maghi sono costretti sul pari, a quota 17, alla fine del primo periodo. Washington in questo frangente ha quasi sempre una doppia chance per segnare. Dall’altra parte Paul George (finora deludente nella serie con solo 14,5 pts a partita) scalda il motore e propizia il parziale di 7-0 che ricuce lo svantaggio.

La contesa è senza esclusioni di colpi: si danno e si prendono sotto entrambi i tabelloni. Miller, il professore, fa l’appello dall’alto della sua cattedra, Nene diligentemente risponde presente. A 8:45 dal riposo di metà tempo è di nuovo +5 Washington.

I tiri di Indiana sotto tutti contestati, i Wizards invece sembrano trarre vantaggio dalla familiarità coi ferri di casa e continuano a dominare a rimbalzo (rimbalzi offensivi nell’intero primo tempo: 1 su 20 per Indiana, 8 su 26 per Washington).

Le palle perse sono 4 per i Pacers, sulle quali Washington fa l’amplein: 8 punti. I padroni di casa mettono grande intensità nella metà campo difensiva, sembrano i Pacers di novembre. 5-10 per cominciare, dopodiché Indy tira con 3-18.

Gooden, dopo un paio di tuffi degni della migliore Tania Cagnotto ma tanta sostanza, torna a sedersi. PG stasera è venuto alla partita in attack mode, come dicono di là dall’Oceano. A 2:25 dalla fine del primo tempo Hibbert schiaccia nel canestro il 30-28 Pacers.

La prima frazione si conclude sul 34-33 (è solo la 13esima volta che due squadre combinano per 67 o meno punti totali all’halftime dall’introduzione del cronometro dei 24 secondi).

Proprio come accadeva quando i Pacers facevano saltare sulla sedia ogni abitante della capitale di quello che un tempo era considerato il basket state per eccellenza, è nel terzo quarto che la squadra di Vogel torna ad imporre la propria legge.

Lo fa come non si vedeva da tempo. Hibbert, che chiuderà con una prestazione a metà fra la sua gara 1 – orribile – e la 2 – sontuosa – con 14 punti, 5 rimbalzi e 3 stoppate, è di nuovo il perno di una difesa-caveau che non è possibile (forse nemmeno pensabile) provare a scardinare.

Manda a segno le sue classiche giocate in semigancio da destra come da sinistra e da queste trae nuova linfa per ergersi come un salice giallo (che non piange ma sorride pure quest’oggi) a protezione del canestro.

Come una scarica di elettricità, l’entusiasmo e l’intensità, oltreché una certa dose di sicurezza, si trasmettono a tutti i Pacers che si alternano sul parquet. Improvvisamente anche le palle 50-50 iniziano a dirigersi tutte verso le manone di West, Scola e compagni (dopo che non ne avevano annusata una nei primi 24 minuti).

Stephenson segna in controtempo in contropiede, George svolge accuratamente le sue mansioni da leader. Persino l’orribile – fin qui – attacco di Vogel sembra un po’ meno improvvisato: le conclusioni non sono sistematicamente contestate e le scelte appaiono più sensate e maggiormente qualitative.

Nene prova ad opporre una fiera resistenza ma, come i compagni, non converte i tiri liberi quasi mai (dopo il 5-12 di gara 2, 11-21 nella 3). A 1:25 dall’ultimo mini-riposo ci troviamo sul 58-41 Pacers. Il parziale messo a segno è di quelli pesanti: 22-4 in poco più di 7 minuti.

Neppure Evan Turner, che commette una serie di sciocchezze, ognuna diversa dall’altra, riesce a fermare l’emorragia in casa Washington. Il terzo quarto finisce 26-12 per Indiana che tiene gli avversari a 5-15 dal campo e 5 palle perse con un ridicolo 2-8 nelle conclusioni a gioco fermo.

Sul pino dei gialli ci si chiede con facce interrogative che giorno sia. Siamo forse tornati al 10 di gennaio? Meglio ancora, a dire il vero.

Per i Wizards la partita si mette peggio di quell’infausta prestazione alla Bankers Life Fieldhouse di qualche mesetto fa (66 punti segnati alla fine, -27). Nei primi 6 minuti dell’ultimo periodo Bradley Beal, colto da un moto d’orgoglio, realizza tutti i punti dei Wizards. Wittman prova addirittura a scongelare Al Harrington. Siamo ormai all’invocazione dei santi e dei miracoli. 

West respinge con l’efferatezza di un despota i tentativi di ritorno dei beniamini del Verizon Center. L’ultimo quarto è interlocutorio, nello svolgimento di questa gara 3 e dell’intera serie.

Avanti di 17 punti, i Pacers mostrano quella cattiveria che solo i grandi sanno tirare fuori. Vanno per la giugulare, Il loro obiettivo è distruggere ogni residuo di autostima nei giovani ed inesperti rivali. Sembrano alfine riuscirci, vedendo Bradley Beal, l’eroe di gara 1, consegnare la palla direttamente nelle mani del dirimpettaio George, quasi come ipnotizzato, a 3 minuti dalla fine.

Il silenzio dell’Arena rende l’atmosfera infuocata dell’inizio alquanto surreale mentre il cronometro scorre inesorabile. L’incantesimo dei maghi pare spezzato.

Quando George Hill mette la tripla del 78-58 la partita sembra assumere le sembianze di un incubo per Wall e gli altri. Entrano le riserve e viene alzata bandiera bianca.

Finisce 85-63, con la bomba di Scola che sa tanto di beffa che viene dopo il danno. I 63 punti realizzati rappresentano il minimo storico di franchigia per i Wizards nonché la quarta peggiore prestazione nei playoff di una squadra dalla stagione 1954-55 secondo NBA Stats.

La debacle è frutto di percentuali scadenti, questa volta determinate dalla difesa dei Pacers e non solo dalle burle del Caso: 24-73 (32.9%) totale dal campo, 4-16 (25%) da 3 punti, 11-21 (52.4%) ai tiri liberi. Le palle perse sono 17 (7 esclusivamente di Wall, che nelle precedenti 4 uscite ne aveva collezionate solo 5). I 24 canestri dal campo rappresentano la peggiore prestazione di una squadra in questa post season.

Magistrale la difesa di PG su Beal che chiude sì con 16 punti in 40 minuti (6-19 al tiro) ma 11 di questi, frutto di un 4-8 dal campo, sono arrivati nel quarto quarto, quando i buoi ormai erano scappati dalla stalla.

I Pacers tengono i Wizards a 49 punti (col 30% al tiro) nel gioco a metà campo, dopo che ne avevano incassati una media di 81,0 nelle precedenti due apparizioni.

Paul George, incisivo in difesa ma anche in attacco, segna 23 punti con 8 rimbalzi. Dall’altra parte Ariza rimane all’asciutto per tutto il secondo tempo e Gortat si ferma a quota 4 punti, mentre il suo collega Nene tira con 3-14 dal campo.

Come titola la versione italiana del film di James L. Brooks, interpretato da Jack Nicholson, qualcosa è cambiato. Indiana si riprende i favori del pronostico e manda un segnale ai rivali degli Heat che, al caldo della Florida, stanno passeggiando sui resti dei decrepiti Nets.

Le due squadre saranno di nuovo contro sul parquet del Verizon Center domenica notte, per una gara 4 che si annuncia piuttosto interessante, a questo anche punto per gli equilibri dell’intera Eastern Conference.

Ma non fidatevi di questi Pacers versione 2014. C’è sempre il rischio di scottarsi.
 

 

One thought on “Dopo Hibbert, tornano anche i vecchi Pacers: 2-1 nella serie

  1. Errata corrige: ovviamente i 63 punti dei Wizards non rappresentano la peggiore prestazione della storia dei playoff ma pareggiano il quarto punteggio peggiore registrato da una squadra nei playoff dalla stagione 1954-55

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