E’ di pochi giorni fa la notizia della firma di Steve Kerr come nuovo head coach dei Golden State Warriors.

L’ormai ex commentatore, aveva declinato l’offerta di Phil Jackson e la panchina dei Knicks, preferendo restare in California.

Kerr succede a Mark Jackson, licenziato dopo l’eliminazione subita dai suoi per mano dei Los Angeles Clippers, nel primo round dei playoffs. Il “Reverendo” lascia dopo tre stagioni, nonostante le ottime ultime due, culminate con il raggiungimento delle semifinali a Ovest dello scorso anno, dove i Warriors erano riusciti a mettere in seria difficoltà gli eventuali vice campioni dei San Antonio Spurs.

Ma sia la notizia del licenziamento di Jackson, sia quella della firma dell’ex Bulls, hanno lasciato più di una perplessità.

Il coach nativo di Brooklyn, era riuscito a migliorare costantemente il record della franchigia dal suo arrivo nel giugno del 2011, terminando la stagione appena conclusasi con un record di 51-31, eguagliando il terzo miglior record di sempre dei Californiani.

E allora come si spiega questa scelta ? Forse i risultati non sono stati ritenuti sufficienti dalla dirigenza giallo-blu ? Poco probabile.

Più probabilmente i continui attriti con quest’ultima, hanno poi portato alla decisione di rimpiazzarlo.

Per quanto riguarda il debuttante Kerr invece, i dubbi ruotano attorno alla sua inesperienza come head coach, cosa che non sembra però preoccupare il front office dei Warriors, che gli ha offerto un contratto da 25 milioni per 5 anni, affidandogli il difficile compito di migliorare quanto fatto dal suo predecessore.

Ma conosciamo meglio questo “rookie”.

Stephen Douglas Kerr, nasce a Beirut, il 27 settembre del 1965.

Il padre, Malcolm, specializzato in studi arabi, insegna scienze politiche ad UCLA e all’American University of Beirut, lavoro che porterà lui e la sua famiglia a spostarsi tra Stati Uniti e Medio Oriente.

Steve trascorre il suo primo anno di liceo in Egitto, gioca da point guard per il Cairo American College, prima di decidere l’anno seguente di tornare in California, con la speranza di attirare le attenzioni delle università.

recruit_g_kerr_195_display_imageGli scout NCAA, lo ritengono poco atletico e troppo lento rispetto agli altri pari ruolo, ma alla fine la sua scelta ripaga: Lute Olsen, coach della University of Arizona, ha un ultimo posto libero nel roster e lo sceglie. Giocherà per i Wildcats.

Durante il suo anno da freshman, una tragedia colpisce la famiglia Kerr: il padre, che intanto ha accettato il ruolo di rettore all’American University of Beirut, viene assassinato da terroristi appartenenti alla Jihad Islamico Palestinese, irritata dalla presenza delle truppe americane in Libano.

La notizia sconvolge il giovane Steve, che cerca rifugio nella pallacanestro.

Nel 1986, viene selezionato per rappresentare gli Stati Uniti al Mondiale di Spagna, sarà l’ultima squadra americana composta interamente da atleti non professionisti a conquistare la medaglia d’oro.

Durante il torneo però, si infortuna e salta l’intera stagione successiva.

Ritorna nel 1987-88, diventa un “fan favorite” per le sue triple e il suo range illimitato, e guida i Wildcats fino alle Final Fuor, mentre stabilisce un nuovo record NCAA per percentuale nei tiri da 3 (57.3%).

Si laurea nel 1988, e al Draft NBA dello stesso anno viene selezionato al secondo round dai Phoenix Suns, con i quali però trova poco spazio, e la stagione seguente passa ai Cleveland Cavaliers.

Steve KerrI Cavs di quegli anni sono ai vertici della Eastern Conference, e annoverano tra le proprie fila giocatori del calibro di Brad Daugherty, Larry Nance, Ron Harper e Mark Price.

Kerr parte invece dalla panchina, e assume il ruolo di specialista nel tiro da tre.

Ai playoffs, la squadra dell’Ohio trova per due volte i Bulls di Jordan sul suo cammino: la prima volta (1988-89) perde a gara 7 del primo round, serie bellissima e ricordata per “The Shot”; la seconda invece, alle Conference Finals del ’92 dopo sei gare.

L’anno successivo lo trascorre tra Cleveland e Orlando, prima di firmare nell’estate del 1993 con i Chicago Bulls.

Avrà un ruolo fondamentale nel secondo three-peat.

Arriva nella stagione del ritiro di Michael Jordan, e i Bulls guidati da Scottie Pippen (malgrado un record di 55-27) vengono eliminati al secondo turno dai New York Knicks, dopo una serie tiratissima.

Al suo secondo anno con i “tori”,  la squadra arranca fino al ritorno di MJ a Marzo; riescono poi a conquistare la 5° posizione ad Est, ma cadono al secondo round sotto i colpi degli Orlando Magic di Shaquille O’Neal e Penny Hardaway.

C’è un episodio durante l’off-season, che cementa il rapporto tra Kerr e Jordan e che cambierà le sorti della franchigia dell’Illinois.

Il numero 23 è sotto una fitta tempesta mediatica dopo l’uscita ai playoffs, la stampa americana gli imputa di non essere più il giocatore di due anni prima, e ormai 32enne, si crede non possa tornare quello di un tempo.

Michael è nervoso, e vuole a tutti costi dimostrare di essere ancora il giocatore più forte della lega.

Durante un allenamento, coach Phil Jackson lo fa marcare da Kerr.   I due sono compagni di squadra da soli tre mesi, e non si rivolgono quasi mai parola.

Sono individui diametralmente opposti: uno è un bianco che ha passato metà della sua vita in giro per il mondo,e che guarda maggior parte delle partite dalla panchina; l’altro è un nero cresciuto in North Carolina, ed è il più forte giocatore della storia del gioco.

Un’unica cosa li accomuna, la triste fine dei rispettivi padri, entrambi assassinati.

Inizia un duro “trash talk”, seguito da gomiti larghi e spintoni, alla fine arrivano alle mani, e devono essere separati dai compagni.

Steve torna a casa con un occhio nero, ma in serata arriva la telefonata di Michael, che si scusa per l’accaduto.

Ne segue un lungo chiarimento, durante il quale Kerr consiglia al compagno di non strafare, di fidarsi di più dei suoi compagni, e gli spiega di come ciò sarebbe stato essenziale per la squadra.

steve-kerr-discusses-when-michael-jordan-punched-him-in-the-faceNe nasce un rapporto che andrà oltre il parquet.

Nel suo libro “Eleven Rings”, Phil Jackson racconterà poi di quello scontro, definendolo un punto di svolta per le sorti di Chicago.

E la svolta ci fu per davvero.

I Bulls terminano la stagione 1995-96 con un record di 72-10, il migliore nella storia della lega, Jordan ritorna MVP, e la squadra batte in finale i Seattle SuperSonics di Payton e Kemp, conquistando il suo quarto titolo.

E’ il primo invece per il quasi 31enne Kerr, che di lì a un anno vincerà il 3 point contest, ma soprattutto diventerà un “eroe” per la sua squadra.

Finali 1997. I Bulls (con fattore campo a favore) si trovano di fronte l’ostacolo dei fortissimi Utah Jazz nelle sembianze di John Stockton e Karl Malone.

Le due squadre vincono i rispettivi match casalinghi, prima della famosa “Flu Game”, partita soffertissima che Chicago però riesce a vincere, tornando in Illinois sul 3-2.

Si arriva a gara 6. 28 secondi al termine, il punteggio è di 86 pari.

Jackson disegna lo schema per Jordan, ma Michael è certo che Stockton lo andrà a raddoppiare lasciando libero Kerr, così decide di affidarsi al suo compagno, il quale gli risponde con un sicuro “If he comes off, I’ll be ready”.

Come previsto, Stockton va in raddoppio, Jordan passa la palla a Kerr che con un jumper trova la retina a 5 secondi dalla fine.

 

Pippen ruba palla nella rimessa Jazz, e i Bulls sono di nuovo campioni, questa volta grazie all’altruismo di Michael, e soprattutto al sangue freddo di Steve.

La stagione seguente è l’ultima del trio Jordan-Pippen-Jackson, ma è anche quella del sesto titolo, il terzo per Kerr.

Chicago trova probabilmente la sua avversaria più forte negli Indiana Pacers di Reggie Miller, piegati soltanto a gara 7 nelle Finali di Conference, prima di battere nuovamente i Jazz per 4-2 in finale.

In estate Kerr viene ceduto ai San Antonio Spurs, con i quali vincerà ai danni dei Knicks, il suo quarto titolo consecutivo.

Nel 2003, ormai 37enne e terzo play nelle rotazioni, riesce a dare un ultimo contributo significativo alla sua squadra.

Durante gara 6 delle Finali di Conference contro i Mavericks, con Tony Parker a mezzo servizio e Speedy Claxton in serata no al tiro, Popovich decide di gettarlo nella mischia: lui ringrazia, e mette a segno quattro triple nell’ultimo quarto, guidando i suoi alla vittoria e al passaggio del turno.

 

Al termine della partita Duncan dirà di lui: “Steve è incredibile, è l’epitome del professionista. Entrare così, a freddo, e avere una performance del genere è davvero notevole. Ma lui è sempre pronto.”

Gli Spurs batteranno poi 4-2 i Nets nelle Finali NBA, quinto titolo per Kerr.

Si ritira con il record NBA ogni epoca per percentuale nei tiri da 3 in una stagione (52.4% nel 1994-95) e in carriera (45.4%), e con un anello per ogni dito della mano.

Subito dopo il ritiro, diventa seconda voce al commento per TNT accanto a Marv Albert, sia per l’NBA, sia per l’NCAA e presta la sua voce a diversi videogiochi, prima della serie Live e in seguito per 2K.

Nel 2007 accantona il commento (lo riprenderà in seguito) per assumere il ruolo di General Manager dei Phoenix Suns.

Durante il Draft del 2008 fa di tutto per accaparrarsi lo sloveno Goran Dragić, e alla fine ci riesce, scambiando la sua scelta con gli Spurs che lo avevano selezionato alla 45.

Nel 2010, al suo ultimo anno come GM, riesce a formare un roster con aspirazioni da titolo, e i Suns arrivano fino alle Finali di Conference.

Ora inizia una nuova avventura sulla panchina di Golden State, con un roster potenzialmente da contender: Curry, Lee, Bogut e Igoudala sono tutti sotto contratto almeno fino al 2016, mentre Thompson, Barnes e Draymond Green hanno ancora un contratto da rookie, il che darà abbastanza margine di manovra al GM Bob Myers per aggiungere gli ultimi tasselli a una squadra già di livello.

La scelta di puntare su Kerr, va ricercata nel rapporto tra lui e il proprietario Joe Lacob. I due giocano a golf insieme da diversi anni, cosa che ha permesso al numero 1 dei Warriors di conoscere e apprezzare Steve come persona.

Sinergia e comunità d’intenti, sono gli elementi base per la formazione di un’organizzazione vincente, elementi che sono venuti a mancare con coach Mark Jackson, e che la dirigenza è sicura di riuscire a trovare con Kerr al timone.

Per quanto riguarda l’inesperienza del nuovo allenatore, si deve notare che anche il “Reverendo” era al debutto quando prese le redini della squadra nel 2011, dimostrazione di come non abbiano timore a scommettere dalle parti di Oakland.

E sebbene sarà difficile migliorare quanto fatto dal suo predecessore, data anche la concorrenza spietata nella Western Conference, Steve ci ha mostrato di non avere mai paura della pressione: che sia ricoprire un ruolo da General Manager, o un tiro allo scadere nelle Finali, lui si farà sempre trovar pronto.

 

 

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