Il bello della Nba è che non ti lascia praticamente mai solo. Anche quando finisce la stagione c’è sempre qualcosa per cui tenere alta l’attenzione: il draft un decina di giorni dopo la fine delle Finals, le Summer League (ok, qua magari l’attenzione non è così alta…) per vedere i primissimi passi dei nuovi arrivati nella Lega e poi, soprattutto, il periodo della free agency, che è il momento in cui davvero la monotonia estiva viene rotta.

Ogni anno fa storia a sé. Ci sono mercati in cui si annunciano i grandi colpi e poi niente si muove, altri dove non c’è materialmente la merce da muovere e altri ancora, vedi l’estate 2014, dove c’è il potenziale per ribaltare gli equilibri della Lega nel giro di un paio di settimane. E, non c’è che dire, in questi circa venti giorni di apertura del mercato free agent è successo abbastanza perché quelle che sono state le linee guida degli ultimi 2/3 campionati vengano rivoluzionate in maniera piuttosto netta.

I PIANI ALTI

Finora nel mercato ci sono stati parecchi movimenti un po’ dappertutto, ma quello che rischia di rendere questa free agency potenzialmente storica è che quelli più significativi hanno coinvolto alcune delle squadre al vertice della Nba. E ovviamente, come nel 2010, tutto inizia dall’uomo da Akron, a.k.a. LeBron James e tutta una sciorinata di soprannomi su cui non penso ci sia bisogno di farvi un ripasso. Venerdì 11 luglio, quando in Italia erano su per giù le 17, una pagina sul sito internet di Sport Illustrated scritta (o meglio, raccontata) dal diretto interessato ci notificava del suo addio a South Beach per fare ritorno nella terra natia dell’Ohio e ricongiungersi con quei Cleveland Cavs lasciati, per fare il viaggio inverso, a mezzo della ormai famigerata “Decision”.

Una scelta per certi versi a sorpresa, pure se negli ultimi giorni le voci di un suo ritorno si erano fatte sempre più insistenti, e che automaticamente ha riportato Cleveland sulla mappa del basket. James, Irving, Wiggins rischia di essere, nel giro di un paio d’anni, uno dei back court più dominanti di sempre, e già da adesso, come è normale che sia quando LBJ si muove, trasforma i Cavs da squadra da Lottery a pretendente al titolo. Pretendente, non favorita, sia chiaro. La “Decision 2.0” ha avuto sì ragioni di cuore, ma inserisce James in un contesto molto giovane e con poca maturità e esperienza a certi livelli. Oltre ai tre sopracitati, Thompson e Varejao sono certamente una coppia solida sotto i ferri, ma tutta da testare a livello post season, Bennett sta dando segnali di risveglio nelle prime partite di Summer League, ma risulta comunque difficile pensare a una Cleveland capace di vincere da subito.

Dall’annuncio dell’ormai ex Miami Heat si è scatenato il domino dei restanti pezzi pregiati di mercato, e nel giro di un paio di giorni tutti i pezzi del puzzle sono andati al loro posto. Generando vincitori e vinti.

E i Miami Heat, nonostante la partenza di James, non devono necessariamente rientrare tra gli sconfitti, essendo riusciti a limitare i danni in qualche modo. Subito dopo l’annuncio di James, infatti, è arrivata la notizia del rinnovo quinquennale per 118 milioni di dollari di Chris Bosh, che sembrava ormai destinato ad accasarsi a Houston, accoppiata a quella del rinnovo di Dwyane Wade. Insomma, la squadra di Spoelstra sicuramente accuserà il colpo, ma riuscendo a mantenere a roster due dei suoi tre pezzi pregiati (pur strapagando Bosh), e aggiungendo al mix Luol Deng (oltre a McRoberts e Danny Granger, al netto della probabile uscita di Ray Allen e a quella in direzione Dallas di Rashard Lewis), rimane certamente nei piani alti della Eastern Conference, pur retrocedendo da favorita al titolo a “semplice” contender.

Discorso diametralmente opposto per gli Houston Rockets, che da questo mercato escono con le ossa sbriciolate. Il GM Morey si fregava già le mani, convinto di essere a un passo dal formare i nuovi Big Three, andando ad aggiungere Chris Bosh a James Harden e Dwight Howard, dopo aver inseguito infruttuosamente Carmelo Anthony. Per fargli posto a livello di salary cap aveva pure ceduto Jeremy Lin e una prima scelta ai Lakers, in una mossa non troppo dissimile da quella del management dei Cavs, che aveva sacrificato Jack e Zeller per creare lo spazio necessario a pagare LBJ. Peccato che, come visto in precedenza, i ponti d’oro e dollari proposti a Bosh da Pat Riley lo abbiano convinto a rifirmare con gli Heat. E i guai per i Rockets non sono terminati lì.

Infatti, un’altra questione spinosa all’ordine del giorno per questa free agency, in casa Houston, era quella riguardante Chandler Parsons, entrato in regime di restricted free agency. Nel momento in cui Dallas ha offerto 46 milioni di dollari in tre anni all’ex alunno di Florida University, il front office dei Razzi ha tentennato, per poi non pareggiare l’offerta e rimediare, per modo di dire, andando a prendersi Trevor Ariza (un ritorno a Houston dopo la parentesi poco felice del 2009/2010) in uscita da Washington. Insomma, tirando le somme, rispetto a un 2013/2014 fermatosi in malo modo al primo turno di playoff, ma che comunque prometteva ottime cose in prospettiva futura, i texani perdono il loro terzo violino, il loro sesto uomo e vedono rapidamente sfumare tutto l’entusiasmo che avevano generato le voci di arrivo di uno tra Chris Bosh e Carmelo Anthony.

Di contro, escono a braccia alzate i Mavericks, che hanno operato davvero bene nell’ultimo mese. Prima riportando a casa Tyson Chandler da New York, poi rifirmando a cifre assolutamente ridicole per il valore del giocatore (25 milioni in 3 anni) Dirk Nowitzki e, infine, prendendo Chandler Parsons, senza subire così la dipartita di Vince Carter. Tre colpi che consentono agli uomini di Cuban di pensare in grande in vista della prossima stagione. Anche qui, le prospettive di titolo paiono assolutamente azzardate, ma certo i Mavs hanno le armi per entrare tra le primissime dell’Ovest.

Poi c’è il caso Chicago Bulls, sul quale non è facile dare un giudizio. Le voci, in apertura di mercato, erano che Thibodeau e il suo staff sarebbero andati a caccia di Carmelo Anthony per davvero. Ma il matrimonio non si è consumato. E allora il front office della Windy City ha prima posto una pezza al draft scegliendo Doug McDermott, non certo giocatore di livello comparabile a Anthony, ma che potrà far comodo ai Bulls, poi ha confermato l’arrivo in città di Nikola Mirotic e infine si è liberato del peso di Carlos Boozer, amnistiandolo. Salvo firmare Pau Gasol.

Una mossa apparsa un controsenso ai più, visto che il catalano, per il momento della sua carriera, appare in una situazione non troppo diversa da quella in cui era Carlos Boozer: un “4” con ottime doti offensive (sicuramente migliori letture), ma ormai fisicamente andato e, soprattutto, una vera tassa difensiva. Di certo Gasol è un giocatore che, in assoluto, vale di più rispetto a Boozer, ma il rischio che si sono presi a Chicago è davvero elevato.

Infine Indiana, candidata al ruolo di Houston dell’Est. I Pacers non sembravano avere piani bellicosi in questa off season, se non quello di trattenere Lance Stephenson. Missione fallita. L’ex Cincinnati si è accordato per un triennale con Charlotte, proseguendo il momento nero della franchigia, iniziato con gli arrivi di Bynum e Turner in inverno, accordandosi per un triennale con Charlotte. Una partenza dolorosa, mitigata solo in parte dall’arrivo di Rodney Stuckey dai Pistons. Il 2014/2015 rischia di essere un anno particolarmente duro per i Pacers.

LE ALTRE NOBILI IN ATTESA

C’è stato anche chi ha preferito giocare d’attesa limando solo qualche dettaglio per non modificare troppo i propri equilibri e mantenere uno status quo che comunque fino ad oggi è stato vincente o comunque positivo. E’ il caso dei campioni in carica, i San Antonio Spurs, che, incassato il sì per un altro anno di Duncan, hanno solo rinnovato a cifre oneste Diaw e Mills. Discorso analogo per i Thunder, che si sono limitati a mettere a roster il tiratore Anthony Morrow, e per i Grizzlies, che hanno rifirmato Randolph, confermato Udrih e preso Vince Carter da Dallas. Qualcosa in più hanno fatto i Clippers, che hanno dato parecchi soldi a Spencer Hawes (mossa tutta da valutare) e sostituito il partente Collison con Jordan Farmar, oltre a dare l’addio, senza troppi rimpianti, a Danny Granger. Fermi anche i Blazers (dentro Steve Blake e Chris Kaman) e i Warriors (Livingston arrivato per sostituire proprio Blake).

LA MIDDLE CLASS CHE PUNTA IN ALTO

Tra le squadre sospese nel in quel limbo che è proprio di chi resta ai limiti dei playoff, non c’ è dubbio che, col colpo Stephenson, Charlotte sia quella che si è mossa meglio. Con l’arrivo dal draft di Vonleh e Hairston (oltre che di Marvin Williams sempre dalla free agency), la squadra di Michael Jordan si presenta ai nastri di partenza della prossima stagione con legittime ambizioni di fare un ulteriore passo in avanti nelle gerarchie della Eastern Conference.

In un mix dove sicuramente ci saranno anche Toronto (rifirmati Lowry, Vasquez e Patterson, preso James Johnson), Washington (perso Ariza, sostituito con Pierce, e rifirmato Gortat) e Atlanta (rinnovato lo spot di guardia con Sefolosha e Bazemore). Meno certe di esserci le due metà di New York. I Knicks hanno iniziato per l’ennesima volta un nuovo ciclo con Phil Jackson e Derek Fisher, sono riusciti a sopravvivere al MeloDrama 2 confermando Anthony, ma attorno la squadra è parecchio carente e ha perso pure Chandler sotto canestro. I Nets, invece, sono semplicemente fermi, ingessati da un salary cap più appesantito di Charles Barkley dopo 20 anni di inattività. Hanno perso due pezzi importanti come Pierce e Livingston e non vedono prospettive rosee nel futuro prossimo.

A Ovest un paio di mosse interessanti dei Nuggets che hanno riportato a casa Afflalo e pescato quello che potrebbe essere uno steal del draft in Gary Harris. Misteriosi i Suns, che con già Dragic e Bledsoe (che però và rinnovato), sono andati a prendere pure Isiah Thomas da Sacramento e in più hanno perso Frye. Se non altro il rookie TJ Warren sta spadroneggiando in Summer League. Minnesota, dal canto suo, resta legata al sottile filo di Kevin Love, che pare sempre più vicino alla rottura, e pure al draft ha scelto di prendersi un rischio notevole selezionando LaVine.

CHI LAVORA PER STARE MEGLIO (PRIMA O POI…)

Ci sono poi quelle squadre che sono nel bel mezzo di un periodo di ricostruzione dalle fondamenta e lavorano per proseguire la propria opera di rifondazione seguendo i propri obiettivi. Ad esempio gli Orlando Magic, che continuano a inserire giovani giocatori interessanti (Aaron Gordon e Elfrid Payton dal draft) mischiati a free agent minori (buona la firma di Channing Frye in tal senso) che non ne disturbino lo sviluppo. I Celtics stessi stanno ricostruendo con grande calma e dopo Smart al draft si sono limitati a rifirmare Bradley. Restano poi alla finestra per capire cosa farne di Rajon Rondo, mentre la Love Story pare lontana dal potersi concludere nella BeanTown.

Anche i Jazz procedono col periodo di ricostruzione. Arrivato il prospetto del mistero Dantè Exum, i mormoni hanno pareggiato l’offerta di Charlotte per Gordon Hayward e sperano di cominciare a vedere qualche risultato di squadra da quest’anno. Ugualmente a Los Angeles sponda Lakers si lavora in questa direzione e già il fatto di aver salutato Pau Gasol, che ormai era solo un peso, è un buon passo avanti, anche perché il suo addio libera direttamente tanti minuti per Julius Randle. Lin dai Rockets è una discreta acquisizione, certamente una mossa migliore del rinnovo quadriennale regalato a Nick Young.

STIAMO MALE E LAVORIAMO PER STARE ANCORA PEGGIO

Categoria alla quale si iscrivono con pieno merito Detroit Pistons e Sacramento Kings. La squadra del Michigan ha condotto finora una offseason da inchiesta, firmando esterni di dubbio valore (Jodie Meeks, Cartier Martin, DJ Augustin) fregandosene del fatto che ci sia a roster un Caldwell Pope in pieno sviluppo. Sono fermi sul fronte del rinnovo di Greg Monroe e proprio con i Kings stanno discutendo di una possibile trade che porti Josh Smith in California.

E a proposito dei Kings. Il draft ha portato uno Stauskas che è certamente un buon giocatore, ma che cozza abbastanza con la scelta di McLemore del 2013. E’ stato lasciato andare Isiah Thomas verso Phoenix senza tanti rimpianti, per sostituirlo con Darren Collison e ora si cerca di prendere Josh Smith. No, dico, ma ve lo immaginate un frontcourt con Gay, Smith e Cousins??? Se siete tifosi di una di queste due squadre, beh, vi siamo vicini.

4 thoughts on “Come cambiano gli equilibri in NBA dopo il terremoto free agency

  1. Bell’articolo, in particolare mi é piaciuto “STIAMO MALE E LAVORIAMO PER STARE ANCORA PEGGIO” ahahahah.
    Detroit questa estate è al secondo tempo di quel horror che é la sua gestione, mentre a Sacramento, come a NY, non capiscono che non basta ammassare talento (o presunto tale) alla rinfusa per esser forti.
    Ma Love si deciderà prima o poi?

  2. Diciamo che dopo la firma di Boozer i Lakers diventano davvero borderline con l’ultima categoria :D

    • Marshall(Lin), Kobe, Young(Johnson), Boozer(Randle), Hill non è malaccio dai…nella EC sarebbero tranquillamente da 5°/6° posto…nel wild west non hanno la minima speranza di arrivare ai PO

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