Dopo una stagione trascorsa all’insegna del “abbiate pazienza e vedrete”, i Lakers ritenevano d’esser pronti alla riscossa, ma le aspettative sono state disattese; anziché costruire uno squadrone, ad El Segundo hanno assemblato una formazione da classifica medio-bassa, e, ancora una volta, la dirigenza ha rimandato alle prossime estati, quando “sicuramente” i Los Angeles Lakers torneranno a fare la voce grossa sul mercato; c’è da credergli?

Jim Buss, il figlio di Jerry Buss e Vice-Presidente Esecutivo delle Basketball Operations, è in procinto d’iniziare il quarto anno di una gestione che ha visto il record della franchigia californiana passare dal 57-25 del 2011 ai numeri quasi rovesciati di questa sciagurata stagione (la peggiore da quando i Lakers hanno lasciato Minneapolis), chiusa con un bilancio di 27-55.

Eliminati i retaggi della gestione Jackson (Ronnie Lester, Derek Fisher, Lamar Odom, Luke Walton, Brian Shaw e, ora, anche Pau Gasol), Buss ha puntato tutto su due operazioni fallite (la firma di Chris Paul, sabotata da David Stern, e lo scambio con Dwight Howard). Persi i principali asset per gli scambi, i Lakers hanno abbracciato una politica improntata sul reclutamento dei migliori free agent.

L’estate 2014 doveva ricollocare i Lakers sulla carta geografica dell’NBA che conta; Los Angeles puntava tutto sul draft e sulla firma di uno tra LeBron James e Carmelo Anthony (che è stato davvero vicino a farsi convincere), ma le cose non sono andate come previsto.

Il draft ha regalato una potenziale star come Julius Randle e l’interessante Jordan Clarkson, mentre dal mercato sono arrivate più che altro delusioni. Persa la corsa a Carmelo Anthony, i Lakers non hanno potuto fare altro che dispiegare un piano B molto meno glamour.

Vediamo quali sono state, esattamente, le mosse di Jim Buss e Mitch Kupchak.

Dopo aver scelto Randle e Clarkson, i Lakers hanno ottenuto Jeremy Lin da Houston (sono i Rockets, che hanno regalato Lin e Asik, perso Parsons e ottenuto Ariza, i veri grandi sconfitti di quest’estate), che, ragionevolmente, sarà lo starter nella posizione di playmaker davanti a Jordan Clarkson (un ragazzo che ha fatto benissimo nella Summer League di Las Vegas e che vi consigliamo di tener d’occhio) e a quel che resta del povero Steve Nash (aruolato a 27 milioni per 3 stagioni, quando aveva già 38 anni).

Hanno poi rifirmato Ryan Kelly, Xavier Henry, Wesley Johnson e perso Kent Bazemore, Jordan Farmar e Chris Kaman, oltre, ovviamente, a Pau Gasol.

I Lakers hanno fatto la felicità delle prossime generazioni delle famiglie Young e Hill, strapagando Jordan Hill (nove milioni all’anno per due anni oltre all’opzione della squadra per un terzo) e, firmando Swaggy P (al secolo Nick Young) per 21 milioni in 4 anni.

Infine, Los Angeles ha approfittato del taglio di Carlos Boozer (lasciato a piedi dai Bulls, bisognosi di spazio per firmare Gasol) per offrirgli un contratto da 3 milioni (usando il meccanismo degli Amnesty Bids per i Waivers, che, in sostanza, consiste nell’offrirsi di pagare una porzione del contratto di un giocatore tagliato; la squadra che offre di più, se lo aggiudica, e il resto del contratto lo pagherà la franchigia che ha usato l’Amnesty Rule per tagliarlo).

I fans non hanno gradito molto questo sostanziale scambio con Chicago, ma è bene tenere a mente che, se Boozer è un cattivo difensore e in abbondante declino in attacco, lo stesso si può dire di Pau. Per ruolo (riserva di Randle) e prezzo, Boozer non è affatto un cattivo affare.

Poco dopo, Los Angeles ha tagliato Kendall Marshall, il playmaker che tanto aveva fatto bene nella seconda parte di stagione (per lui, 8 punti di media e 8.8 assist in 54 partite). L’intenzione era di rifirmarlo dopo aver tentato altre mosse di mercato, posto che Kupchak lo riteneva sacrificabile, alla luce di una summer league decisamente mediocre.

Prontamente, i Bucks hanno offerto un contratto a Marshall, assicurandoselo.

I Lakers non hanno più spazio salariale per firmare giocatori rilevanti, e, di fatto, tolti Melo e LeBron, non hanno nemmeno fatto un tentativo di arrivare a Greg Monroe, l’ala-centro di Detroit che avrebbe potuto formare una bella coppia con Julius Randle.

I Lakers non hanno ritenuto di strapagarlo nel tentativo di strapparlo ai Pistons di Stan Van Gundy, ed è strano spendere così tanti soldi per Hill e Young e non voler investire su uno dei migliori big men in circolazione, ma va sottolineato che Monroe vorrà un contratto lungo, oltre che lucrativo, e Los Angeles non vuole perdere flessibilità economica.

A guidare questo gruppo ci sarà Byron Scott, che fece da chioccia a Bryant nel 1996 ed è un membro della “Lakers Family”, avendo fatto parte della storica squadra degli anno ’80 (con tanto di maglia ritirata). Per lui, discepolo di Pat Riley, è arrivato il momento di apporre la firma su di un quadriennale da 17 milioni (l’ultimo anno è una team-option) che lo collocherà sulla panchina più ambita.

Scott è un discreto allenatore, che, dopo l’esordio folgorante con i Nets (due Finali NBA) ha lavorato in modo interessante a New Orleans e poi ha impostato la ricostruzione dei Cavs, ma è stato licenziato due volte a metà stagione, ha un poco lusinghiero record di vittorie in carriera del 44%, e in 11 stagioni, ha fatto i Playoffs solo 4 volte.

L’ex guardia dello Showtime è un allenatore con la fama d’essere ferreo nelle proprie convinzioni (David West l’ha definito “troppo orgoglioso per cambiare”), e forse anche per questo Kupchak e Buss hanno atteso tanto a rompere gli indugi.

Sorprende l’assoluta calma (forse rassegnazione?) con la quale Kobe Bryant sta vivendo questa transizione. O sa di avere nelle gambe ancora abbastanza stagioni da sperare di vedere la luce in fondo al tunnel, oppure ha davvero imparato l’arte dello Zen da Phil Jackson.

Qualche giorno fa ha addirittura detto alla giornalista Ramona Shelburne di essere contento di come sta lavorando Mitch Kupchak.

In effetti, date le circostanze, Los Angeles ha fatto quel che poteva: si è assicurata un playmaker giovane e di buon livello in Jeremy Lin (in scadenza di contratto), ha usato il draft in modo accorto, oltre ad aver confermato, a cifre contenute, giocatori utili come Ryan Kelly (che, come stretch-four, non è male) e Xavier Henry.

Young e Hill ci sembrano strapagati, così come Kobe Bryant, e l’impressione è che i Lakers non sappiano gestire con misura le loro risorse, andando “all-in”, come si dice nel Poker, a ogni mano, anche quando non ce n’è assolutamente bisogno.

L’errore capitale dei Lakers è stato commesso due anni fa, quando investirono su Dwight Howard e Steve Nash, e ora scontano le conseguenze d’aver deciso di rivoltare la squadra come un calzino anziché muoversi per puntellare un roster che aveva portato due titoli NBA.

La rosa attuale è figlia di quelle decisioni; si tratta di un nucleo con gravi lacune e poco talentuoso, che, tuttavia, nelle mani dell’allenatore giusto, potrebbe anche sorprendere, soprattutto se Bryant dovesse essere in buone condizioni fisiche e dell’umore giusto per fare il “facilitator” piuttosto che la prima punta.

Più realisticamente, i Lakers svilupperanno Randle e Clarkson, barcamenandosi tra l’ottava e la decima piazza a ovest, ma rimane l’incognita del futuro: valorizzare questo nucleo, o conservare flessibilità salariale per l’estate 2015 (Kevin Love) e 2016 (Kevin Durant)?

Dovessero scegliere una modalità attendista, Los Angeles si garantirebbe altri due anni molto mediocri, senza nessuna vera certezza di poter arrivare alle tanto concupite superstar, ma è altresì vero che, allo stato delle cose, ai Lakers converrebbe costruire attraverso il draft, per arrivare al 2016 carichi di talento e con spazio salariale.

Se invece sceglieranno di costruire mediante gli scambi, potranno tornare prima ai Playoffs, ma non c’è alcuna garanzia di riuscire a tornare a competere per il titolo NBA.

Esiste poi una terza alternativa: scambiare Nash (9 milioni) e Lin (8 milioni), entrambi in scadenza, con una squadra bisognosa di ripulire il monte salariale, ma è un’ipotesi che, eventualmente, prenderà corpo a stagione in corso.

Qualunque strada percorreranno, i Los Angeles Lakers hanno moltissimo lavoro dinnanzi; il ritorno di Jeanie Buss ad un ruolo più vocale nel club è stato salutato positivamente (e addirittura sollecitato da Adam Silver), ma è solo un primo passo per restituire spolvero alla franchigia. In questi tre anni la lotta intestina tra fratello e sorella ha mietuto molte vittime e provocato il tracollo di un’organizzazione che stava viaggiando con il vento in poppa.

Secondo molti insider, come Kevin Ding di Bleacher Report, i due eredi del Dottor Buss sono tornati a parlarsi, ma i rapporti restano tesi, ed è il club ad andarci di mezzo: ostracizzato durante la gestione Jackson-Jeanie-Kupchak, alla prima occasione utile Jim Buss ha spazzato via tutto quello che di buono era stato costruito.

Jim ha tutti contro, dal pubblico a Kobe Bryant, e va detto che non tutte le sue decisioni sono state professionali come dovrebbero: nel 1999, Jerry West parlò con Shaquille O’Neal e Kobe Bryant, e quando entrambi si dissero interessati a giocare per Phil Jackson, West lo chiamò, pur non stimandolo.

Mentre Mr. Logo fu capace di sottrarre l’ego dall’equazione, Jim Buss ha scaricato una serie di giocatori e collaboratori di provata abilità, solo perché legati a Phil Jackson, finendo col danneggiare la franchigia.

Il futuro dei Los Angeles Lakers passa, prima ancora che dagli scambi, dalla necessità di rimettere ordine nel litigioso front office di El Segundo, perché senza una direzione chiara, tornare grandi sarà impossibile.

 

7 thoughts on “Dove vanno i Los Angeles Lakers?

  1. Scott è stato si un membro importante dello showtime degli anni ’80 ma purtroppo per lui non gli hanno ritirato la maglia…almeno non fino adesso ;-)

  2. Confermo anch’io che l’opzione per Hill è sul secondo anno e non sul terzo. Comunque sono sostanzialmente d’accordo su questo articolo.

  3. Secondo Basketball Reference, Jordan Hill ha due anni di contratto garantito, con un terzo anno sul quale pende la “Early Termination Option”.
    Spotrac indica il contratto come annuale, con un’opzione della squadra sul secondo.
    Wojnarowski parla di un biennale da 18, senza specificare altro.
    Eric Pincus del LA Times parla di un biennale con solo il primo anno garantito.

    Direi che hai ragione tu, non ho controllato a dovere, my bad!

  4. Giusto anche per quanto riguarda la maglia ritirata, chissà perché, ero convinto avessero ritirato la sua e non quella di Michael Cooper!

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