Quando un giocatore rientra da una serie di gravi infortuni come quelli che hanno colpito Derrick Rose, da quella Gara 1 del 2012 fino al novembre dello scorso anno, è inevitabile preoccuparsi di possibili ricadute, e se ad avere questi problemi è il giocatore più rappresentativo dei Chicago Bulls dai tempi di Michael Jordan, è facile capire perché, ogni volta che Rose prende un colpo, tutto lo United Center trattenga il respiro.

Chicago non è una città facile. La geografia la colloca nel Midwest, ma la “città ventosa” sfugge agli stereotipi, e, proprio come New York, è una metropoli ubicata in uno Stato rurale.

Terza città degli USA, riconoscibile grazie allo skyline che si specchia sul lago Michigan, e per la “L”, la sopraelevata che l’attraversa, Chicago è stata patria della musica House e del “Rinascimento Nero”, una metropoli all’avanguardia in campo scientifico, architettonico (da qui arrivano la Chicago School e la Prairie School, e qui visse Frank Lloyd Wright) e industriale, passando per banche e settore terziario.

STATEWAY_GARDENS_HIGHRISE_HOUSING_PROJECT_ON_CHICAGO'S_SOUTH_SIDE._THE_COMPLEX_HAS_EIGHT_BUILDINGS_WITH_1,633_TWO_AND..._-_NARA_-_556161Chicago è un crogiuolo di realtà apparentemente contraddittorie, come i sobborghi poveri del Southside da cui proviene Rose, e quelli opulenti in riva al lago, come Lake Forrest, ma che assieme formano il tessuto connettivo di una città dinamica e vitale, dura come il suo clima (spazzato dal vento che soffia da nord), ma capace di rivelarsi, a uno sguardo più attento, una città vitale, fatta di parchi (e sono veramente tanti) e spazi pubblici, locali, teatri e occasioni sociali tra le quali non possono andare neglette le tante franchigie professionistiche di una metropoli che ama lo sport.

Ci sono due squadre di MLB, Cubs e White Sox, i Bears della NFL, e, i Blackhawks della NHL, che condividono il palazzetto con i Chicago Bulls, che, dopo i fasti degli anni novanta, si erano aggrappati al talento locale di Derrick Rose (che è di Englewood, e ha frequentato la Simeon High School di Benji Wilson) per ribaltare le sorti della franchigia.

Non che i Bulls andassero male: semplicemente, erano intrappolati in quell’eterna mediocrità che non consente di sognare in grande, ma nemmeno di puntare alla lottery.

Il colpo di fortuna (e di fortuna bisogna parlare: i Bulls avevano il 1.7% di chance di catturare la prima scelta!) capitò nel 2008, quando il GM Paxson scelse Rose. Derrick divenne Rookie of the Year (come Jordan ed Elton Brand prima di lui), portando Chicago ai Playoffs e pareggiando il record di Kareem Abdul-Jabbar per punti segnati all’esordio (36), poi, ox281265374789710333nel 2011, a 23 anni, diventò il più giovane MVP di sempre, cancellando il record di Wes Unseld, che resisteva da 42 anni.

La strada per loro sembrava tracciata, forti di un gruppo roccioso e di uno staff tecnico capitanato da Tom Thibodeau, ma, sfortunatamente, l’infortunio di Rose era in agguato, e da allora, i Bulls vivono nell’incertezza; durante questo biennio brechtiano, Thibodeau ha sempre difeso la sua superstar, anche quando qualcuno storceva il naso per la lentezza del suo rientro.

Dopo lo scoraggiante infortunio al menisco patito un anno fa contro i Blazers, Rose è tornato a giocare quest’estate, entrando nella rosa di Team USA ma lasciando l’impressione d’essere ben lontano dalla condizione atletica che gli aveva consentito di diventare un fattore ad alto livello.

La prestagione e le prime uscite di Regular Season hanno confermato quest’impressione, mostrandoci un D-Rose inedito: anziché il solito fascio di nervi, capace di esplodere a canestro dopo aver disposto a piacimento delle caviglie del malcapitato difensore, questo Rose era un giocatore sotto controllo, quasi sedato, che non si azzarda a ingranare le marce alte.

Derrick si è spinto a dire, in un’intervista, che: “Molti si arrabbiano vedendo che non gioco alcune partite, ma non capiscono che non sono preoccupato per quest’anno, ma sto pensando alla mia vita dopo il basket, e non voglio essere tutto rotto a causa del basket”, concetto assolutamente ammissibile ma che non è piaciuto molto in quel di Chicago, a partire da Thibodeau, che ha smesso di proteggere Rose, e che lo vorrebbe di nuovo engaged a pieno regime, anziché in costante apprensione.

È un discorso complesso che non possiamo affrontare con contezza, sia perché non sappiamo esattamente cosa i medici abbiano suggerito e prospettato a Rose, sia perchè Derrick è pagato profumatamente per mettere a disposizione il proprio fisico, ma ha giocato appena 55 delle ultime 240 gare dei Bulls, e, forse, un po’ di cautela è anche nell’interesse del club, che quest’anno gli pagherà 19 milioni (il dodicesimo contratto più alto dell’NBA).

Rose ha saltato due partite dopo essersi distorto la caviglia il 31 ottobre, è tornato senza essere al meglio e ha giocato male con Milwaukee (di là dai 13 punti e 7 assist), dando l’impressione di correre sulle uova, sempre esitante, così si è preso un’altra pausa, inanellando poi 10 partite consecutive, segno che, forse, la strategia scelta da D-Rose può pagare dividendi, e il modo in cui sta lentamente crescendo gara dopo gara, ne è testimone.

Rose: “L’ultima volta (l’anno scorso, N.d.R.) non c’ero con la testa. Volevo troppo, volevo dimostrare che la gente si sbagliava sul mio conto, ma questa volta è diverso: sono in pace con me stesso, mi fido di me e del mio gioco, e se so di poterne segnare 15 o 20 in un quarto, ma sto cercando di leggere il gioco, capire chi è caldo, se c’è un miss-match, e semplificare le cose a tutti”.

Sam Smith, istituzione del giornalismo sportivo di Chicago, ha twittato le parole di Derrick: “Sto cercando modi per vincere le partite senza abusare del mio fisico, e penso d’aver fatto un buon lavoro”, ma “buon lavoro” non è necessariamente quanto occorre per placare Thibodeau, che recentemente si è arrabbiato non poco con i suoi per un record casalingo poco lusinghiero (all’epoca 3-5, immediatamente migliorato con una vittoria).

Taj Gibson ammette che la squadra non ha il sense of urgency che servirebbe, così l’ex assistente di Doc Rivers ai Celtics ha deciso di suonare la sveglia; sempre secondo Taj: “Thibodeau ti sta addosso per un motivo. Vuole che tu migliori, e ti sta sempre col fiato sul collo, ogni giorno, e urla a tutti in continuazione, incluso Derrick Rose”.

I Bulls sono sempre stati un gruppo resiliente: l’anno scorso, alle prese con la ricaduta di D-Rose, quando il club decise di scaricare Luol Deng, si pensava che Chicago fosse pronta al tanking, e invece questo gruppo ha continuato a giocare con passione e intensità, conquistando i Playoffs e un record di 48-34. Proprio per questo è sorprendente vedere i Bulls balbettare difensivamente, mancare rotazioni e giocare con intensità altalenante.

Un allenatore, per quanto bravo, non può trasformare i suoi giocatori, ma solo usarli al meglio: quando Nate Robinson vestì la maglia di Chicago, non diventò un difensore di livello, ma fu messo in condizione di rendere al massimo delle proprie possibilità uscendo dalla panchina.

gasn4747L’arrivo di Pau Gasol ha portato entusiasmo, e Pau sembra effettivamente un giocatore più motivato di quanto non fosse agli ordini di D’Antoni, ma è chiaro che un lungo con il suo retroterra tecnico e caratteriale ha bisogno di tempo per amalgamarsi in un gruppo predicato su sacrificio e intensità.

Non vogliamo certo dire che Pau non sia un vincente (la sua carriera sta lì a dimostrare il contrario), ma il suo approccio e la sua sintassi cestistica non s’integrano perfettamente con i Jimmy Butler o i Noah, gente che ha talento, certo, ma che ha bisogno d’energia e di giocate di sacrificio.

L’inserimento di Gasol e Nikola Mirotic (che sta diventando sempre più convincente), unito alle apprensioni legate alle condizioni di Rose, ci fa capire che c’è qualcosa di fisiologico nelle incertezze di quest’inizio stagione.

Intanto, mentre Noah e Gasol imparano a convivere, Rose recupera fiducia e Thibodeau s’infuria, Jimmy Butler è cresciuto esponenzialmente.

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Etichettato come defensive-stopper senza grandi mezzi offensivi, Butler si sta gradualmente trasformando in un giocatore completo, non solo e non tanto per il tiro, quanto per la capacità di metter palla per terra, e per l’inedita determinazione con la quale cerca il canestro, possesso dopo possesso.

Contro Miami e l’ex compagno Deng, Butler, nonostante l’influenza, ha messo assieme 17 punti, 7 rimbalzi e 5 assist che testimoniano la sua poliedricità, oltre ad una durezza mentale forgiata dalle peripezie dickensiane alle quali Jimmy è stato sottoposto nel corso dell’adolescenza. Per Thibodeau: “Non stava bene, ma non si è certo lamentato, è andato in campo e ha fatto il suo; grande difesa, hustle plays, e penso che abbia fatto un secondo tempo fenomenale”.

Intanto, Rose nelle ultime tre ha segnato 22.7 punti, con il 53% dal campo, dati statistici in netta controtendenza con i numeri d’inizio stagione, e che possono essere incoraggianti: quando Derrick Rose vinse l’MVP, i Bulls erano una one-man-band. Oggi, grazie agli straordinari progressi di Butler, allo sviluppo di Noah come passatore e tiratore dalla media distanza, e all’addizione di Pau Gasol, i Bulls possono diventare una squadra molto varia, e quindi, più pericolosa.

Chicago, al netto dei suoi problemi contingenti, ha un roster profondo e completo, con figli di allenatori (i meravigliosi Dunleavy e Hinrich) che giocano duro e all’occasione possono recitare da protagonisti, due lunghi veri come Pau Gasol e Joakim Noah, degli stretch-four come Gibson e Mirotic, un cambio come Aaron Brooks o come Tony Snell, e una stellina come Jimmy Butler (e McDermott, fermo ai box per almeno sei settimane).

Nei Playoffs del 2011, il piano difensivo di LeBron e soci consistette nel fermare Rose, mentre oggi una strategia simile non funzionerebbe: Noah e Butler hanno imparato a cavarsela da soli, Gasol aggiunge miriadi di opzioni offensive, Brooks può cambiare le partite uscendo dal pino, per cui, come dice Rose: “Ogni sera può contribuire qualcuno di diverso”.

Tutto dipenderà da come queste parti si salderanno nel corso dei prossimi mesi, per poi arrivare alla volata finale di marzo-aprile e ai Playoffs con il vento in poppa.

Forse la consapevolezza della propria forza offensiva (105.7 punti per 100 possessi, con il 60% di canestri assistiti) recita un ruolo nella diminuita verve difensiva, ma per rendere al massimo questa squadra ha storicamente bisogno di intensità e di giocate grintose che tipicamente avvengono nella propria metà campo.

La shot chart dei Bulls 2013-2014...

La shot chart dei Bulls 2013-2014…

... e quella di questo inizio di stagione

… e quella di questo inizio di stagione

Chicago cattura solo il 74.1% di rimbalzi difensivi, provoca solo 13.1 palle perse avversarie per 100 possessi, tutti indicatori di un meccanismo perfettibile, ma le ultime gare, in contumacia del figlio di Yannick Noah (grandissimo tennista francese), offrono il fianco ad alcune considerazioni tecniche.

Contro Miami (priva di Bosh) i Bulls hanno concesso solo 75 punti agli avversari (minimo stagionale) e hanno dato segnali importanti, sia per le risposte offerte dai cosidetti role-player come Mike Dunleavy, autore di un terzo quarto da incorniciare, hanno offerto un’altra prova difensivamente convincente (un anno fa, con Carlos Boozer, sarebbe stato impensabile, mentre Gasol si conferma al suo meglio con vicino un “four” molto mobile) dopo gli 80 punti concessi ai Nets (con .87 punti per possesso).

Certo, Chicago continua a essere un work-in-progress, come testimoniano le frasi di Gibson e Noah dopo la sconfitta contro i Warriors. Secondo loro, i Bulls hanno un problema di fiducia difensiva.

Joakim Noah: “Mi prendo la mia parte di responsabilità, ma dobbiamo essere tutti sulla stessa pagina, mentre in questo momento non siamo dove dovremmo essere”.

La risposta di Tom Thibodeau è stata piuttosto netta e la dice lunga sul suo approccio: “Sono fesserie. La fiducia è lavoro; è così che si costruisce la fiducia, lavorandoci”.

Tuttavia, Taj Gibson non ha ritrattato, aggiungendo: “Sono i nuovi arrivati, molto semplicemente; molti di loro arrivano da squadre che non avevano grande focus difensivo, e quindi è normale che succeda”.

Posto che lo scambio è avvenuto in un contesto pacato, non è difficile leggere tra le righe e capire che Taj sta parlando di Pau Gasol, che l’ha soppiantato in quintetto e che non è famoso per difendere ventre a terra, ed è innegabile che questo modo di guardare le cose potrà, alla lunga, generare frizioni.

Thibodeau, che non è un allenatore particolarmente incline alla psicologia, ha subito cercato di togliere ogni scusa ai giocatori, ma starà alla loro intelligenza capire come sfruttare al meglio i reciproci punti di forza.

Nel frattempo Gasol, a libri per 7 milioni di dollari, segna 19 punti a partita, con 11.9 rimbalzi ad allacciata di scarpe, e stoppa 1.9 tiri, ma è chiaro che la sua limitata mobilità difensiva ne fa una liability in aiuto, soprattutto perché gioca vicino a un altro lungo che è al meglio quando può pattugliare l’area e non venendo risucchiato lontano da canestro sulle piste dello stretch-four di turno.

È possibile che Noah si senta esposto dal doppio ruolo al quale è chiamato (rim-protector e difensore sul lungo più mobile) e le sue frasi circa la “fiducia” si spieghino anche così.

Se la difesa dei Bulls è la dodicesima della lega (dopo essere stata tra le prime 5 in ciascuna delle stagioni di Thiboudeau), parte della responsabilità va sicuramente imputata al diverso personale, che comporta la necessità di rivedere alcuni equilibri.

Intanto Nikola Mirotic, il cui impatto con la NBA era stato traumatico, ha trovato fiducia e quella voglia di sporcarsi le mani che tanto piace al suo allenatore; forse sarà proprio la sua mobilità (abbinata ai suoi centimetri) a offrire a Thibodeau una soluzione tattica al rebus della coesistenza Gasol-Noah.

Niko ha la miglior percentuale di rimbalzi difensivi conquistati della squadra (27.6%), oltre ad un defensive rating di 99.6 che lo colloca tra i migliori dei Bulls.

Di lui, Rose dice: “Non si rende conto di quant’è forte. È un gran giocatore, capisce il gioco, ed è versatile; può andare a rimbalzo, tagliare, passare la palla. Non so se c’è qualcosa che non sa fare”.

Cosa capiterà quando Noah tornerà dal suo infortunio? Se lui, Mirotic, Gibson e Gasol troveranno un modo per coesistere, le cose potrebbero farsi davvero interessanti, dalle parti dello United Center.

Se questo gruppo di giocatori, così esperto, completo e talentuoso, dovesse trovare trazione e una precisa identità di squadra, i Bulls potrebbero rientrare prepotentemente nel discorso per il titolo NBA.

 

2 thoughts on “Focus: la stagione dei Chicago Bulls

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