Nick Saban nella vita teme pochissime cose, ed ha ben ragione di comportarsi in questo modo visto il grande successo ottenuto da quando ha preso in mano le redini del programma di football di Alabama. Tre titoli nazionali nel giro di quattro anni, dei quali due pervenuti consecutivamente, ed ora la caccia al three-peat, un qualcosa che nel college football non si verifica da quando i nostri nonni si godevano la pausa tra un conflitto mondiale e l’altro.
Johnny Football, però, è un’altra cosa. L’anno passato arrivò in quel di Mobile assieme alla sua ciurma baldanzoso come non mai, desideroso di continuare una marcia che avrebbe portato Texas A&M, alla primissima esperienza nella competitiva Sec, ad un record conclusivo di 11-2, impensabile per chiunque avesse provato a calcolare delle previsioni per un salto dalla Big XII che, intendiamoci, non è esattamente l’ultima conference della Ncaa in termini di squadre in grado di issarsi sul panorama nazionale, ma che comunque inseriva gli Aggies in un contesto anzitutto inesplorato, ed in seconda battuta che ha fatto piovere titoli nazionali come noccioline.
E come è andata, ce lo ricordiamo tutti.
Sabato non è cambiato un granchè, almeno a giudicare dalla faccia di Saban nell’immediato post-partita. Sì, vero, Alabama ha vinto e si è probabilmente scrollata di dosso la più grande minaccia della sua regular season, ma nessuno può negare che ancora una volta Johnny Manziel sia riuscito a scavare profondamente nei difetti di una squadra che da lungo tempo gioca metodicamente ed appare imbattibile, imperforabile, creando chissà quanti reconditi dubbi nella testa di chi queste edizioni vincenti dei Crimson Tide le ha concepite e poi costruite sul campo con un eccellente lavoro di recruiting, la base su cui poggia la continuità di risultati fatta vedere fino ad oggi. Lo spauracchio c’è stato, ma è alle spalle.
Manziel e Texas A&M, i quali sono tutt’altro che eslcusi dalla corsa al National Championship, sono usciti a testa alta dal proprio campo casalingo consci di essere andati a qualche gestione migliore dell’ovale dal raccogliere per il secondo anno consecutivo un upset che sarebbe stato incredibile, ed hanno letteralmente fatto a pezzi un’impenetrabile difesa mettendo a referto non solo i 42 punti, ma pure 628 (!) yards di total offense e permettendosi il vezzo di mostrare agli occhi di tutti gli Stati Uniti che sì, anche il tanto pubblicizzato reparto difensivo di ‘Bama può essere messo in grande difficoltà ed essere infilato con un big play di 95 yards che ti riapre la partita tutto d’un colpo nel quarto finale, gioco che peraltro ha coronato la nottata della vita per il wide receiver Mike Evans, che un bel giorno, davanti ad un camino ardente, coccolerà i suoi nipotini raccontando di quella volta che affrontò il tenebroso Nick e gli scrisse in faccia quaranta yards di media per ricezione prima di dare loro la buonanotte.
Se è vero che senza due costosissimi errori di Manziel (ricordiamo comunque, 5 passaggi da touchdown, 464 yards su lancio e 98 su corsa), di cui uno in redzone e l’altro andato a causare un ritorno di intercetto per il safety Vinnie Sunseri, forse in questo momento l’argomento di cui scriviamo sarebbe differente, e riguarderebbe la seconda caduta in altrettanti anni dell’impero cremisi dinanzi al piccolo quarterback dai tanti problemi fuori dal campo, ma che quando veste casco e paraspalle diventa letteralmente incontenibile.
E’ vero anche, tuttavia, che una grande squadra emerge anche in questi momenti, anzi, guai non lo facesse. Se Saban ha insegnato una lezione ai suoi (non lo sappiamo, però è intuibile) è proprio quella di non lasciarsi mai deprimere dai numeri di una partita mentre la stessa è ancora da decidere, e che l’argenteria pesante è pur sempre quella che conta più di tutto, in qualsiasi disciplina sportiva. E’ un classico di qualsiasi sport. Semplicemente, find a way to win, no matter what.
Nei momenti più importanti, non conta quanto siano andate bene o male le cose in precedenza, le qualità tecniche e morali dei campioni vengono fuori sempre e comunque. Ed ecco che, nonostante i Tide fossero stati costretti a snaturarsi per star dietro al ritmo partita imposto dagli avversari, l’attacco è riuscito a portare a casa i possessi decisivi riportando la strategia alla cara vecchia scuola, quella delle corse efficienti e della gestione nel tempo di possesso, e si sa, quando Alabama corre un determinato numero di yards che sta tra le 150 e le 180, non perde MAI.
E qui entra in gioco A.J. McCarron, l’Mvp nascosto della gara, che tanti si ostinano a definire un game manager qualunque, etichetta che gli sta a dir poco stretta. E’ l’etichetta medesima che si avvinghia irrimediabilmente attorno ai quarterback ordinati e precisi, quelli che svolgono il compitino usufruendo di sistemi offensivi fatti di corse tartassanti, difese asfissianti e passaggi medio-corti, insomma, per farla breve il tipo di regista che non produce grandi giocate con il suo braccio. E’ un’etichetta che parrebbe più vicina ad un Greg McElroy che non a McCarron, il quale sabato ha avuto tutta la libertà d’azione necessaria ricevendo la chiamata dalla sideline con l’opzione di cambiarla a piacimento a seconda delle sue letture, concludendo con 334 yards su passaggio, suo personale massimo in carriera, e 4 passaggi da touchdown, compreso quello che a due minuti e mezzo dal termine del quarto periodo ha scritto il nuovo +14 sugli Aggies e fatto felice il running back Jalston Fowler, che in gara è stato autore di quella sola ricezione. E che ricezione…
McCarron, che sta inevitabilmente apprestandosi ad essere un domani ricordato come uno dei migliori quarterback di sempre di Alabama e non solo per i record universitari che sta infrangendo – al di là dei numeri ha pur sempre due titoli nazionali da protagonista da sfoggiare, no? – ha tenuto su l’attacco sfoggiando un intenso attacco aereo come ad Alabama lo si è visto poche volte, questo necessitava fare per star dietro ai folli ritmi di Manziel e soci e questo è stato fatto, dimostrando che Alabama può essere versatile al di là delle proprie consolidate abitudini.
Sotto di 14-0 con una folla a dir poco impazzita di gioia, i Tide non hanno perso la calma ed hanno trovato il modo di ottenere la vittoria. E quando è arrivato il momento giusto, invece di intestardirsi nel non volersi snaturare a tutti i costi, hanno cominciato a martellare come usano fare di solito consegnando il pallone in mano a T.J. Yeldon, che da solo ha messo su 149 yards ed una meta (vabbè, anche un fumble in redzone…) e più generalmente sfruttando un backfield che grazie ai contributi di Kenyan Drake e del già citato Fowler ha costruito 6.3 yards per portata e regalato all’attacco quell’equilibrio statistico fondamentale per i concetti offensivi di Saban (234 yards su corsa, 334 su lancio).
La difesa ha subìto tantissimo e raccolto la peggior prestazione di sempre dell’era Saban. Da un lato fa paura, perché semmai i Crimson Tide dovessero incrociare le armi con un altro attacco del genere potrebbero essere guai seri, tuttavia, voltando la faccia alla medaglia, c’è comunque da considerare che la difesa ha eseguito le giocate necessarie al momento giusto. Le secondarie sono sembrate a dir poco vulnerabili, ma proprio da lì sono pervenuti i due game breakers, se così li vogliamo chiamare, ovvero il suddetto intercetto con meta di Sunseri (fondamentale, però, il pallone alzato dal compagno Jarrick Williams, senza il quale non sarebbe accaduto nulla), e l’intercetto in endzone di Cyrus Jones nel primo tempo, quando Manziel sembrava in procinto di segnare ancora ed ha invece mollato un lob un pochino troppo superficiale nell’esecuzione.
Ed ora, per chiudere, un occhio al futuro: mentre agli Aggies non resta che attendere ed eventualmente ringraziare l’eventuale fautore del fatal sgambetto nei confronti dell’acerrima neo-rivale, la strada dei Crimson Tide sembra meno complicata ora che l’ombra di Johnny Football si è dissipata, contando peraltro che se il Nostro dovesse dichiararsi per il professionismo al termine di questa stagione, Saban potrà dormire sonni tranquilli da qui all’eternità.
Chiaro, Ole Miss e Lsu bastano da sole a rappresentare degli ostacoli ardui i cui relativi coaching staff si staranno già divorando il nastro della partita di sabato per vedere come colpire a morte la difesa di Alabama, ma questo programma di football, pur subendo a ripetizione, ha dimostrato di essere una sola cosa: vincente.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Si ma dove lo incontrano quest’anno un altro qb forte come Manziel? Magari possono incontrare una difesa migliore di quella di T A&M, ma un altro qb così in NCAA quest’anno non c’è secondo me…
Hai ragione Max, tuttavia devono stare attentissimi sia contro Ole Miss che contro LSU, se lo fanno hanno la strada direi spianata per la finale.
da appasionato un pò ignorante, perchè Manziel è dato dai mock draft al 2°-3° giro, i problemi fuori dal campo lo penalizzano così tanto? la questione fisica è così rilevante? o ci sono altri problemi?
fossi io un gm dell’NFL mi vederei tutto pur di sceglierlo! xD
vedendo il calendario e il valore delle squadre non vedo come la finale non possa essere Bama – Oregon