Se seguite il football americano da più di una decade, non vi sarà difficile riconoscere gli Arizona Cardinals come una delle squadre meno continue di tutta la lega, nonostante all’interno di questo spazio temporale la squadra abbia partecipato al Super Bowl, perdendolo contro gli Steelers, per poi ritornare nell’anonimato più o meno completo.

Era l’epoca di Kurt Warner, di Larry Fitzgerald – che oggi è sempre qui al servizio di questa uniforme – e di Anquan Boldin, era l’inizio dell’era gestita da Ken Wisenhunt, che si rivelò essere tanto promettente per il futuro della franchigia quanto deludente una volta conclusi diversi campionati sotto il livello delle aspettative, soprattutto perché il management aveva nel frattempo sonoramente fallito nel tentativo di posizionare un quarterback degno di succedere al grande Kurt.

In Arizona i Cardinals non hanno mai brillato: dal 1988 ad oggi la squadra ha compilato solamente tre record positivi, due dei quali consecutivi proprio negli anni di Warner e del Super Bowl, mentre per trovare il terzo bisogna tornare indietro al 1998, quando alla guida dell’attacco c’era Jake The Snake Plummer e la compagine allora allenata da Vince Tobin riuscì, a quota 9-7, a qualificarsi per i playoffs, vincendo la Wild Card ed uscendo di scena la settimana successiva.

112913_bruce-arians_600Ora, siamo tutti d’accordo sul fatto che Arizona domenica scorsa ha perso un’importantissima occasione per restare in corsa per la postseason uscendo sconfitta dallo scontro diretto per i playoffs contro Philadelphia, ma sono assolutamente innegabili i progressi che la squadra allenata da Bruce Arians ha mostrato nel corso del mese precedente alla gara contro gli Eagles. Già, proprio quello stesso Arians che ha contribuito a fare di Ben Roethlisberger il quarterback che è oggi, nonché colui che un anno fa sostituì coach Chuck Pagano sulla linea laterale dei Colts in seguito all’improvvisa malattia di questi, mettendo fortemente mano alla grande cavalcata conclusa da Indianapolis con l’accesso alla postseason ad una sola annata di distanza da un misero 3-13.

Oggi il buon Bruce è l’artefice dei positivi cambiamenti pervenuti nel deserto.

Prima di domenica scorsa i Cards possedevano una striscia di quattro vittorie consecutive che li ha comprensibilmente fatti tornare agli onori delle cronache, ed il merito, considerando che il reparto difensivo ha giocato molto bene già dall’inizio del campionato, va ricondotto ai grandi progressi fatti vedere dall’attacco. Un settore che già era disorientato per la girandola di quarterback passata di qui ultimamente ha dovuto assorbire l’ennesima novità, l’arrivo di Carson Palmer, reduce da una mediocre esperienza con i Raiders dopo una vita passata a Cincinnati, un giocatore di grande esperienza che doveva necessariamente acclimatarsi all’interno di un sistema offensivo per lui del tutto inedito. A dimostrazione del fatto che digerire un playbook di qualsiasi tipo non è compito facile anche se si è dei navigati registi in giro già da una decade per la National Football League, l’inizio di Palmer è stato tra i più difficoltosi che si potessero immaginare, e non subito lo sposalizio tra gli schemi ad alto tasso aereo con molteplici soluzioni profonde prediletto da Arians ed un quarterback che la dirigenza ha scelto perché in possesso delle caratteristiche tecniche adatte a far girare questo sistema è andato come si auspicava.

1d93a413-b0ac-44ef-8e73-fac24e30972aUn inizio non incoraggiante ha visto Arizona perdere quattro delle prime sette partite con l’aggravante di trovarsi a quota 0-3 contro avversarie dirette della Nfc West, non la migliore delle statistiche considerata la recente competitività di una division che ancora oggi, dominio di Seattle a parte, non può dire quali e quante squadre potranno qualificarsi per la postseason di gennaio.

Palmer si è dimostrato un quarterback impreciso terminando più di qualche confronto sotto il 60% di passaggi completati, un segno che l’intesa con i vari Fitzgerald, Floyd e Roberts non era ancora ben rodata, ed il computo di touchdown raffrontati ad intercetti non era stato per nulla soddisfacente, dando l’idea di una squadra che non sapeva correre il pallone e che per giunta si ritrovava costretta ad usare un pesante numero di chiamate aeree esponendo il quarterback ad eccessive  forzature, alle quali vanno aggiunte alcune incomprensioni interpretative del playbook tra Palmer ed i suoi bersagli.

Poi tutto ha cominciato ad andare visibilmente meglio. I cinici diranno che non casualmente questo è accaduto nel momento stesso in cui Arizona ha affrontato squadre di basso calibro come Houston, Jacksonville ed Atlanta, ma la quarta vittoria di quel filotto consecutivo, oltre che dare una sonora lezione ad una contender per il Super Bowl come i Colts, ha dato dimostrazione dell’acquisita maturità offensiva raggiunta dal roster, che finalmente ha trovato una sua identità fornendo un rendimenti di qualità, alla stregua di una difesa molto consistente nel contrapporsi le corse e capace di proporre blitz creativi e schemi in grado di creare confusione a chiunque, compreso quell’Andrew Luck che Arians aveva cresciuto solo poco tempo prima.

Oltre a Palmer, che ha registrato un rating superiore a 100 in tre di quelle quattro occasioni limitando notevolmente il numero di intercetti e superando di poco il 70% di completi, segno di una rinnovata precisione, ci sono stati molti altri fattori che hanno contribuito alla crescita offensiva della squadra, che ancora usa centellinare le corse e favorisce un gioco aereo che all’attualità è il quattordicesimo di tutta la Nfl, ma che in qualche modo ha trovato la strada giusta per rendere efficace la sua potenziale produttività pur non avendo gli strumenti per imporsi a terra.

Rashard Mendenhall, vecchia conoscenza di Arians dai tempi di Pittsburgh, ha superato diversi problemi fisici e costituisce un buon tandem assieme al rookie Andre Ellington, una delle matricole di maggior impatto di questa stagione pur essendo stato selezionato solamente al sesto giro del draft 2013, e che come biglietto da visita presenta un totale di 441 yards su corsa – una media di 6 per tocco – e 247 in 28 ricezioni, a dimostrazione del fatto che quando la dirigenza cercava un giocatore dinamico in grado di fare danni non appena toccasse palla, qui ci aveva visto particolarmente giusto.

Michael Floyd, primo giro 2012 da Notre Dame, aveva passato un anno da rookie tutto sommato anonimo se relazionato alla posizione di scelta, ma nelle ultime tre gare giocate (396 yards totali) sembra essere definitivamente esploso e capace di porsi quale bersaglio importante per un Palmer che nutre sempre maggiore fiducia nei suoi confronti, e che costituisce finalmente quell’alternativa che da lungo tempo si cercava per punire le sempre generose attenzioni riservate dalle difese avversarie all’asso Fitzgerald.

patrick_peterson_wallpaper-otherLa difesa ha in Patrick Peterson un leader di carattere molto forte e personalità trascinante, quasi incredibile se rapportato alla sua giovane età, ed è stato proprio lui a tramutare – al momento – un grosso rischio come Tyrann Mathieu in un investimento di sicuro rendimento. Peterson, oltre ad essere uno dei migliori cornerback della lega ed uno special teamer di tutto rispetto, è un mentore imprescindibile per l’ex compagno di college a Lsu, che grazie alla guida offerta da Patrick è riuscito a restare lontano dai guai, ed oggi si è meritatamente guadagnato il posto di strong safety titolare a suon di giocate determinanti. L’assunzione di Todd Bowles, precedentemente defensive coordinator degli ultimi e disastrosi Eagles condotti da Andy Reid, non pareva essere particolarmente convincente ma sta pagando, come dimostra la comprensione delle sue idee da parte dei giocatori, che trasportano in campo l’imprevedibilità di una difesa pronta a colpire da più punti, non a caso una peculiarità tipica di Dick LeBeau, che Bruce Arians ha avuto il tempo di frequentare negli anni passati agli Steelers.

Veterani come Darnell Dockett e John Abraham, che da lunghissimi anni non giocava da outside linebacker nella 3-4, hanno trovato un’ideale fontana su cui abbeverarsi per vivere una seconda giovinezza agonistica – Abraham, in special modo, era considerato finito e con 8 sack è il miglior Cardinal nel settore – mentre giocatori più giovani come Calais Campbell si sono dimostrati ambivalenti nel difendere contro corse e passaggi, in questo secondo caso portando eccellente pressione, oppure forzando raddoppi per creare i giusti varchi per le giocate di Karlos Dansby e di Daryl Washington, quest’ultimo rientrato in campo dopo aver saltato per squalifica tutto il primo mese di gare, ovvero uno dei migliori tandem di linebacker interni di tutta la lega.

I Cardinals, nonostante la battuta d’arresto di Philadelphia, sono vivi e vegeti per la corsa alla postseason, ed avranno la possibilità di accumulare qualche altra importante vittoria divisionale sperando in qualche passo falso delle dirette concorrenti, con l’opportunità di affrontare San Francisco per la seconda ed ultima volta proprio nella giornata di chiusura della regular season. Tre delle ultime quattro partite vedranno la franchigia impegnata contro concorrenti divisionali, con la ghiotta occasione di rimpinzare il record contro la Nfc in caso di parità con altre compagini in ottica Wild Card.

L169_CIFRba4e9a80d6c12d3eb9d3aa6a7f03e6caVada come vada, ma i tempi di Jon Skelton, Kevin Kolb, Ryan Lindley e compagnia bella sembrano già lontani mille miglia, ed i Cardinals possono finalmente vedere un futuro incoraggiante davanti ai loro occhi. Bruce Arians, cui pochissimi avevano dato credito prima della partenza di questa stagione, ha ancora una volta ottenuto risultati di una certa caratura senza godere del favore dei pronostici, e la cosa che per i fans dei Cardinals appare più bella di tutte, è proprio il fatto che questo potrebbe essere semplicemente l’inizio di un periodo di prosperità, che si spera possa essere il più lungo da quando la squadra si trasferì nell’arido deserto dopo aver passato numerose stagioni a St. Louis.

 

3 thoughts on “Arizona Cardinals, c’è un futuro davanti?

  1. Bell’articolo e molto accurato. Davvero non riesco a trovare un errore. Forse si potevano anche citare i margini di miglioramento che ancora abbiamo, relativi ad una OL pietosa in pass protection a causa anche degli infortuni (Winston non si è ancora ripreso per bene e si vede, Cooper è saltato in pre-season) ma anche quelli relativi alla copertura dei TE che contro di noi hanno la media di yard ricevute più alta della lega, sintomo che forse l’aggressività della 3-4 con uso massiccio di zone-blitz soffre tanto questo tipo di giocatori alti e veloci, data anche la stazza di una secondaria “bassa” (Mathieu, Bell…)

    Complimenti per il pezzo ancora una volta.

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