History NHL History

Dalle origini alla fondazione della NHL

Per gli appassionati di hockey su ghiaccio, uno dei luoghi più amati e venerati è senza dubbio Montreal: tra la città del Quebec e questa disciplina esiste, infatti, un fortissimo legame, che parte dal XIX secolo e che arriva ai Montreal Canadiens, la più celebre squadra di tutti i tempi.

I primi riferimenti a giochi su ghiaccio a Montreal risalgono al 1837, quando si sarebbero disputate alcune partite di Ice Hurley: tuttavia, queste testimonianze non solo sono piuttosto imprecise, ma contengono anche numerosi anacronismi, di conseguenza la Society of International Hockey Research ha espresso molti dubbi riguardo la veridicità di quegli incontri.

La nostra ricerca, quindi, inizia il 3 marzo 1875, quando al Victoria Rink di Montreal fu organizzata una partita di hockey su ghiaccio, che tra l’altro fu presentata anche dalla Montreal Gazette, un importante quotidiano locale: questo evento ha un significato storico molto importante, poiché, nonostante le evidenti differenze con il gioco moderno, è considerato il primo incontro ufficiale di hockey su ghiaccio.

Indipendentemente dal reale luogo di nascita, la città di Montreal recitò un ruolo da protagonista nella diffusione dell’hockey, soprattutto grazie alla McGill University: gli studenti di questa università, infatti, erano assidui giocatori di hockey e, grazie alle loro proposte, diedero un grande impulso allo sviluppo della disciplina nel resto della nazione.

Nel 1883, durante il Winter Carnival di Montreal (un’importante manifestazione che attirava spettatori da tutto il Nord America), fu organizzato il primo torneo ufficiale di hockey su ghiaccio, cui parteciparono la McGill University (che si aggiudicò la Bedouin Cup), i Montreal Victorias e una compagine di Quebec City: poiché il pubblico apprezzò lo spettacolo offerto dalle tre squadre, la competizione fu ripetuta per altri sei anni.

La popolarità dell’hockey era in continuo aumento e ben presto furono fondate le prime leghe, tra cui la Amateur Hockey Association of Canada nel 1886: a questa organizzazione si iscrissero quattro formazioni di Montreal, i Victorias, i Crystals, la McGill University e il Montreal Hockey Club, squadra appartenente alla Montreal Amateur Athletic Association (MAAA), che nel 1893 ricevette dal Governatore del Canada la prima Stanley Cup.


La Montreal AAA, prima squadra premiata con la Stanley Cup

La MAAA mantenne la Coppa anche nel 1894, ma nella stagione successiva dovette cederla ai Montreal Victorias, i quali nel febbraio 1896 furono sconfitti dagli omonimi Winnipeg Victorias; il prestigioso trofeo rientrò a Montreal qualche mese dopo, rimanendoci fino all’inizio del XX secolo; tra le squadre vittoriose ricordiamo, oltre alla Montreal AAA e i Victorias, gli Shamrocks, compagine rappresentante la minoranza irlandese, che si aggiudicò la Coppa nel 1899 e nel 1990.

Nel 1902 la Montreal AAA vinse la quarta (e ultima) Stanley Cup della propria storia, battendo in finale i Winnipeg Victorias: quello fu l’ultimo successo di una compagine di Montreal prima del dominio degli Ottawa Senators (i famosi Silver Seven), che vinsero nove sfide consecutive.

Nel 1906 i Silver Seven affrontarono per la seconda volta in due anni i Montreal Wanderers, una compagine fondata nel 1903 e che comprendeva numerosi giocatori della Montreal AAA, tra cui il celebre Dickie Boon: i Wanderers sono considerati la prima squadra professionistica di Montreal.

La sfida per la Stanley Cup fu molto spettacolare: i Wanderers vinsero la gara di andata 9-1, ma furono battuti 9-3 nel ritorno; il punteggio complessivo della serie (12-10) fu favorevole alla compagine di Montreal, che quindi poté riportare la prestigiosa coppa in Quebec.

Come si può intuire facilmente, l’hockey a Montreal era praticato dalla popolazione di lingua inglese, anche perché i francesi non sembravano molto interessati: soltanto grazie a dei contatti con la minoranza irlandese, i francofoni iniziarono ad appassionarsi al nuovo gioco; nel 1894 fu creata la Association Athletique d’Amateurs Nationale, la prima squadra completamente francese, nota anche come le Nationale, e pochi anni dopo comparve le Montagnard.

Queste due squadre ebbero un discreto successo nei primi anni del XX secolo, sebbene i due giocatori più rappresentativi, Jean Baptiste “Jack” Laviolette e Didier Pitre, si fossero trasferiti negli USA per passare al professionismo: nel 1906-07 fu addirittura considerata un’ipotetica sfida per la Stanley Cup tra i Montreal Wanderers, detentori del trofeo, e appunto le Montagnard. Purtroppo dopo alcuni reclami e proteste, la formazione francese fu privata di due vittorie all’interno della propria lega e per questo si ritirò.

Essendo le Nationale ormai scomparso, i francofoni rimasero senza squadre per due stagioni, ma quando anche in Canada prese piede il professionismo, molti giocatori “emigrati” negli Stati Uniti rientrarono in patria: il 10 marzo 1909 i Montreal Wanderers, detentori della Stanley Cup, sfidarono in un’amichevole una selezione formata dagli atleti francesi più rappresentativi, quali Jack Laviolette, Didier “Cannonball” Pitre, Edouard “Newsy” Lalonde, Emile Coutu, Joseph Dostaler e Alphonse Jette.

La partita finì 9-8 per i Wanderers, ma la prestazione dei loro avversari (che indossavano le vecchie divise de le Nationale) fu sicuramente ottima e contribuì all’ingresso della squadra francese all’interno della Canadian Hockey Association, la nuova lega che si proponeva di “governare” l’hockey nel Canada Orientale.

Tuttavia quest’ipotesi non si realizzò, infatti, nel dicembre 1909 J. Ambrose O’Brien istituì un’ulteriore organizzazione, la National Hockey Association, cui s’iscrissero anche i Wanderers e il Club de Hockey Canadien: questa compagine francese era stata fondata il 4 dicembre 1909 proprio da J. Ambrose O’Brien, che successivamente aveva incaricato Laviolette di preparare la formazione. La maglia della nuova squadra era blu, con una banda bianca che copriva le spalle e il petto, su cui era posto una lettera C, mentre i pantaloni erano sempre di colore bianco, mentre le calze rosse: la squadra di hockey più celebre del pianeta, i Montreal Canadiens, aveva appena mosso i primi passi!

Inevitabile fu lo scontro (anche in tribunale) tra le Nationale e i Canadiens per assicurarsi i migliori talenti, ma alla fine le Nationale fu sconfitto e scomparve: i Canadiens rimasero gli unici rappresentanti della Montreal francese; il 5 dicembre 1909 i Canadiens giocarono, contro i Cobalt Silver Kings, la loro prima partita vincendo 7-6 in overtime.

Intanto la diatriba tra le due leghe si chiuse con la vittoria della NHA, che attirò tre squadre dalla CHA, ormai prossima alla fine: sette formazioni componevano l’organizzazione rimasta e ben tre (Shamrocks, Wanderers e Canadiens) erano originarie di Montreal; il 15 gennaio 1910 i massimi dirigenti della NHA stilarono un nuovo calendario e quattro giorni più tardi i Canadiens affrontarono Renfrew, perdendo 9-4.

Nella NHA giocavano anche gli Ottawa Senators, che, la stagione precedente, avevano riconquistato la Stanley Cup: il primo titolo della nuova lega fu assegnato ai Wanderers, che poterono ricevere il prestigioso trofeo. Poche settimane dopo l’importante successo, la compagine inglese di Montreal accettò la sfida dei Berlin Union Jackets, campioni della Ontario Professional League, battendoli agevolmente 7-3; i Wanderers poterono alzare la Stanley Cup per l’ultima volta.

Un evento molto importante avvenne nel novembre del 1910 quando, al termine di una contesa finita davanti al giudice, la franchigia francofona fu acquisita da George Kendall-Kennedy, diventando il Club Athlétique Canadien; inoltre dopo lo scioglimento degli Shamrocks, soltanto Wanderers e Canadiens continuarono la loro attività a livello professionistico a Montreal.

Nel 1914 la compagine francofona cambiò per la terza volta la propria divisa di gioca, presentando quella che è utilizzata ancora oggi: rossa, con al centro una banda blu (con bordi bianchi) e il logo della franchigia. In verità per molti anni i Canadiens utilizzarono solamente la maglia rossa, presentando quella bianca per la prima volta soltanto nel 1945; dal 1968 la squadra disputa regolarmente gli incontri casalinghi, indossando la divisa chiara.

Nel 1916 i Canadiens vinsero il titolo della NHA, qualificandosi per la finale della Stanley Cup dove avrebbero affrontato i Portland Rosebuds, campioni della Pacific Coast Hockey Association: dopo cinque combattute partite, i Canadiens conquistarono il leggendario trofeo per la prima volta; leader indiscusso era Didier Pitre, miglior marcatore della squadra.

In verità altri giocatori francesi avevano avuto il piacere di vedere il loro nome inciso sulla Stanley Cup gli anni precedenti: Antoine “Tony” Gingras dei Winnipeg Victorias nel 1901 e Henri Menard dei Montreal Shamrocks nel 1906.

La stagione del 1916-17 fu divisa in due metà: i Canadiens e gli Ottawa Senators, vincitori rispettivamente della prima e della seconda parte, si affrontarono in un playoff per l’assegnazione dell’ultimo titolo NHA della storia; la squadra francofona vinse la sfida ma perse in quattro partite con i Seattle Metropolitans la serie per la Stanley Cup, che, per la prima volta, lasciò il Canada per gli Stati Uniti.

Nel 1917 fu fondata, dalle ceneri della NHA, la National Hockey League, cui s’iscrissero sia i Canadiens, sia i Wanderers; il Club Athlétique Canadien si trasformò in Club de Hockey Canadien, presentando il celebre logo CH, che, ancora oggi, è il simbolo della franchigia.

Purtroppo il 2 gennaio 1918, la Montreal Westmount Arena fu distrutta da un incendio, obbligando i Canadiens a trasferirsi nella piccola Jubilee Arena e provocando la scomparsa dei Wanderers: in verità, molti critici ritengono che i veri motivi del ritiro fossero di natura economica e che l’incendio non fosse altro che una copertura per nascondere i problemi finanziari; soltanto nel 1924 la comunità inglese poté festeggiare l’ingresso di una nuova formazione, i Maroons.

La stagione successiva vide i Canadiens conquistare per la prima volta il titolo NHL, aggiudicandosi il diritto di disputare la finale della Stanley Cup contro i Seattle Metropolitans; in quel periodo un’epidemia influenzale stava pericolosamente contagiando il continente americano, ciononostante la serie fu regolarmente disputata: tuttavia dopo cinque incontri (due vittorie per parte e un pareggio) molti giocatori dei Canadiens si ammalarono e lo scontro finale dovette essere sospeso. Il manager di Montreal George Kennedy propose di utilizzare alcuni hockeisti provenienti da Victoria per poter continuare la serie, ma con grande sportività la dirigenza dei Metropolitans rifiutò l’offerta: per la prima volta la Stanley Cup non fu assegnata.

Qualche tempo dopo anche la Jubilee Arena andò in fiamme e per un periodo di quattro anni i Canadiens, passati nel 1921 nelle mani di Léo Dandurand, Joseph Cattarinich e Louis A. Létourneau, disputarono le loro partite interne alla Mont-Royal Arena, costruita in meno di sei mesi.

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Dalla costruzione del Forum a Maurice Richard

Il 1924 vide l’inaugurazione del mitico Forum, costruito inizialmente per i debuttanti Maroons: in effetti, i Canadiens vi entrarono ufficialmente soltanto nel 1926, ma ebbero la fortuna di disputare il primo incontro del nuovo impianto (vinto 7-1 contro i Toronto St. Pats). Il Forum sarebbe rimasto la casa dei Canadiens per oltre settant’anni, quando nel 1996 fu sostituito dal moderno Molson Centre; tuttavia va ricordato che il Forum fu sottoposto a due rinnovamenti (1949, 1968), che ne aumentarono la capienza e lo modernizzarono.

Sempre nel 1924 (così si dice) comparve il soprannome Habs, con cui i tifosi incitano, ancora oggi, la propria squadra: il reporter americano Tex Rickard era stato informato che la lettera H presente nel logo significasse Habitants, un termine con cui s’indicavano gli agricoltori francesi del Quebec; Rickard riferì che gran parte dei giocatori dei Canadiens erano contadini, quindi Habitants o più brevemente Habs.

E proprio nel 1924 i Montreal Canadiens vinsero per la seconda volta il titolo della NHL, per poi aggiudicarsi la Stanley Cup, sconfiggendo i Vancouver Millionaires e i Calgary Tigers, rispettivamente campioni della PCHA e della WCHL: l’anno successivo i Canadiens bissarono il titolo NHL, ma non riuscirono a difendere la Stanley Cup, conquistata dai Victoria Cougars.

Nonostante la sconfitta, i Canadiens erano già diventati una formazione importantissima, ma forse il vero protagonista che si distinse sugli altri fu il portiere Georges Vezina, unico giocatore ad aver partecipato a tutte le stagioni della squadra francese: fin dalla prima annata Vezina difese con estrema classe la gabbia dei Canadiens; le sue prese erano sempre molto sicure, nonostante i portieri dell’epoca fossero privi di guanti e protezioni varie, oltre ad essere obbligati a restare in piedi (il regolamento vietava loro di buttarsi sul ghiaccio per compiere una parata).

Durante il training camp della stagione 1925-26, il Chicoutimi Cucumber (questo il soprannome) si sentì molto affaticato, evidenziando uno stato di salute precario: nonostante la febbre altissima, Vezina decise di disputare la partita inaugurale contro i Pittsburgh Pirates, ma dovette essere sostituito alla fine del primo periodo, interrompendo una striscia di 367 partite consecutive.

I medici gli diagnosticarono una forma di tubercolosi in stadio molto avanzato: il 24 marzo 1926 a soli 39 anni, Georges Vezina si spense, lasciando un vuoto incolmabile nella squadra e tra i tifosi; non è un caso che gli anni successivi alla sua morte furono molto difficili per i Canadiens.

Per onorare lo sfortunato campione, i massimi dirigenti della franchigia donarono alla NHL un trofeo (dedicato alla memoria di Vezina) con cui premiare il portiere che avesse compilato la media gol subiti più bassa; dal 1981-82, il riconoscimento viene assegnato da una giuria di addetti ai lavori al miglior goalie della stagione, indipendentemente dal numero di reti concesse.

Sebbene i Canadiens entrassero in un periodo di crisi, la Stanley Cup ritornò a Montreal, grazie ai Maroons, che si aggiudicarono il trofeo, dopo aver battuto i Cougars in finale: ovviamente tra Canadiens e Maroons la rivalità era molto accesa e creò durissime battaglie sia sul ghiaccio, sia sugli spalti.

I Canadiens si aggiudicarono due Coppe consecutive (ricordiamoci che dal 1926-27 il trofeo veniva consegnato direttamente alla squadra campione NHL, senza successivi spareggi con formazioni provenienti da altre leghe) nel 1930 e 1931, mentre i Maroons replicarono nel 1935, quando sconfissero i Toronto Maple Leafs 3-0; tra i protagonisti dei Canadiens ricordiamo Sylvio Mantha, Howie Morenz, Aurele Joliat e George Hainsworth (degno erede di Georges Vezina), mentre tra i Maroons non ci si può dimenticare di Nels Stewart, Howie Smith e Babe Siebert.

Una menzione particolare meriterebbe Howie Morenz, protagonista dei Canadiens negli anni ’20 e nei primi anni ’30: per tre volte fu premiato con l’Hart Trophy e in due occasioni vinse il titolo dei marcatori; nel 1934 fu ceduto ai Chicago Black Hawks, i quali poi lo scambiarono con i New York Rangers. Tuttavia nel 1936 Morenz rientrò a Montreal, ma il 28 gennaio 1937, in una partita proprio contro Chicago, si fratturò la gamba, mettendo fine alla propria carriera; l’8 marzo, a causa di complicazioni dopo l’infortunio, Howie Morenz si spense e ben 15.000 tifosi si recarono al Forum per rendere omaggio al loro beniamino.

Qualche mese dopo, per aiutare la famiglia dello sfortunato giocatore, fu organizzata un’amichevole tra una selezione mista di Canadiens e Maroons e una formata dai migliori giocatori della NHL: la squadra di Montreal fu sconfitta 6-3.

Il 17 marzo 1938 si disputò l’ultima sfida tra le due grandi rivali, vinta dai francesi per 6-3: poco tempo dopo i Maroons chiusero la loro esistenza, lasciando la città di Montreal interamente ai Canadiens; gli Habs, ad ogni modo, avrebbero dovuto aspettare alcuni anni prima di ritornare a dominare la NHL.

Momento chiave della storia degli Habs accadde il 31 ottobre 1942, quando Maurice Richard, un giovane di ventuno anni, debuttò con la maglia rosso-blu; Richard giocò le prime partite della sua carriera con la maglia numero 15 ma dopo la nascita della sua primogenita (che pesava 9 libbre), decise di cambiarlo, scegliendo appunto il 9.

Nonostante le attese, gli inizi furono complessi e costellati di infortuni e il manager degli Habs pensò addirittura ad una cessione; tuttavia Richard si era già messo in luce, tanto che un giornalista locale lo aveva soprannominato “The Comet”: questo nomignolo scomparve ben presto, poiché il suo compagno Ray Getliffe, sconvolto dalla velocità di Richard, lo ribattezzò The Rocket.

Superate le difficoltà iniziali, Richard impose il suo talento nel mondo dell’hockey su ghiaccio, diventando il dominatore della NHL: per 18 anni the Rocket avrebbe intimorito i difensori avversari con la sua velocità e la sua fisicità, di cui spesso abusava per umiliarli. Al termine della carriera Richard aveva segnato 544 reti (record ancora imbattuto per i Canadiens), diventando il primo giocatore a superare il muro dei 500; inoltre nel 1945, il mitico numero 9 riuscì a realizzare 50 gol in 50 partite, impresa eguagliata da Mike Bossy (star dei New York Islanders) soltanto nel 1981.

Memorabile fu la partita contro i Chicago Black Hawks del 19 ottobre 1957, quando Richard segnò la cinquecentesima rete nella NHL; teniamo presente che nessun altro giocatore era ancora riuscito a superare il muro dei 400 gol!

Richard, oltre ad essere un fenomeno in attacco, era anche un giocatore aggressivo, rissoso, spesso coinvolto in scazzottate e battaglie: nel 1955 fu addirittura squalificato dal presidente della NHL Clarence Campbell per l’intera post-season dopo aver rotto la mazza sulla schiena del Bruin Hal Laycoe e preso a pugni l’arbitro; l’intero stato del Quebec si ribellò alla decisione, protestando vivacemente.

Richard sapeva incutere timore negli avversari e questo commento del portiere Glenn Hall ci fa capire molte cose: “What I remember most about the Rocket were his eyes. When he came flying toward you with the puck on his stick, his eyes were all lit up, flashing and gleaming like a pinball machine. It was terrifying”.

Richard si ritirò nel 1960 dopo la finale vinta 4-0 sui Toronto Maple Leafs: quella era la dodicesima coppa vinta dai Canadiens, la decima alzata dal Rocket; nella classifica dei 50 migliori giocatori NHL di tutti i tempi, Richard occupa la quinta posizione, dietro solo a Wayne Gretzky, Bobby Orr, Gordie Howe e Mario Lemieux.

Nel 1999 fu istituito il Maurice Richard Trophy, riconoscimento destinato al giocatore con più gol realizzati al termine della stagione regolare.

Ma per diventare una squadra così dominante un solo giocatore non è sufficiente: come ci si può dimenticare di un fuoriclasse come Hector “Toe” Blake, soprannominato “The Lamplighter”?

Dopo aver giocato nei Maroons, Blake si aggregò nel 1935 ai Canadiens, diventandone capitano nel 1940; vestì la maglia degli Habs fino al 1948, quando un infortunio ad una gamba lo costrinse al ritiro (in effetti, giocò altre due stagioni in alcune minor leagues). La sua carriera nella NHL presenta 235 gol e 292 assist; nel 1946 Blake ricevette il primo Lady Bing Trophy, riconoscimento consegnato al giocatore che dimostra più sportività; nel 1955 Blake diventò allenatore dei Canadiens, posizione mantenuta fino al 1968, quando regalò agli Habs la quindicesima Stanley Cup della loro storia.

Compagno di linea (la celeberrima Punch Line) di Blake e Richard era il centro Elmer Lach, originario di Nokomis, Saskatchewan: dopo aver debuttato nel 1940-41 totalizzando 21 punti ed aver giocato solo una partita nel 1941-42, Lach esplose definitivamente la stagione successiva quando collezionò 18 gol e 40 assist; il Nokomis Flash diventò una pedina chiave nello scacchiere di Montreal, anche perché molti dei suoi passaggi erano trasformati in gol da Richard.

Nel 1944-45 Lach, grazie a 80 punti (26 gol e 54 assist), si laureò miglior marcatore della NHL, davanti ai suoi compagni di linea Richard e Blake: i tre fuoriclasse segnarono complessivamente 220 punti, un record battuto solamente molti anni più tardi, grazie al prolungamento della stagione; incredibilmente, dopo aver dominato in regular season, i Canadiens furono sconfitti dai Toronto Maple Leafs nella semifinale per la Stanley Cup!

Nonostante numerosi infortuni, Lach continuò ad eccellere anche nei campionati successivi, ma fu costretto al ritiro nel 1953 al termine della finale vinta 4-1 contro i Boston Bruins; la quinta partita della serie terminò 1-0 ai supplementari grazie alla rete realizzata proprio dal Nokomis Flash.

Un altro giocatore degno di nota fu il portiere Bill Durnam: nella sua breve carriera a livello professionistico (1943-1950), Durnam vinse sei Vezina Trophy e due Stanley Cup; purtroppo lo stress e il logorio dovuti alla difficile posizione lo costrinsero ad un ritiro prematuro. Tra le caratteristiche di Durnam spiccava il suo ambidestrismo: riusciva a bloccare i dischi e a maneggiare la mazza sia con la mano destra sia con la sinistra.

Non va dimenticato il difensore Ken Reardon, difensore famoso per il suo coraggio e per la sua cattiveria; giocatore duro e aggressivo, fu però vittima di innumerevoli infortuni che lo obbligarono al ritiro nel 1950 a soli 30 anni.

Un altro momento chiave nella storia dei Canadiens avvenne il 1° agosto 1946, quando Frank Selke diventò il Manager della squadra: dopo aver guidato i Toronto Maple Leafs da dietro la scrivania, Selke era pronto a creare la leggenda degli Habs; gli anni ’50 videro la definitiva ascesa di Montreal, che, ben presto, diventò l’autentica regina della NHL, vincendo sette coppe in nove stagioni. I Canadiens erano riusciti a completare una clamorosa cinquina tra il 1956 e il 1960, performance mai più eguagliata in seguito; soltanto i New York Yankees (cinque World Series tra il 1949 e il 1953) e i Boston Celtics (otto titoli NBA tra il 1959 e il 1966) hanno saputo vincere così tanti campionati consecutivi nello sport professionistico nordamericano.

Nel 1952-53 il coach Dick Irvin, Sr e il Manager Selke istituirono una delle più belle e principali tradizioni dei Canadiens, incidendo sulla porta dello spogliatoio del Forum alcuni versi della poesia di guerra “In Flanders Field”, scritta dal Luogotenente Colonnello dell’Esercito Canadese John McCrae: “To you from failing hands we throw the torch; be yours to hold it high.” oppure in francese “Nos bras meurtris vous tendent le flambeau. À vous toujours de le porter bien haut”. La torcia diventò il simbolo della tradizione dei Canadiens e il legame tra i giocatori del passato, del presente e del futuro.

Nel 1956 i dirigenti della NHL decisero di cambiare la regola della superiorità numerica, per cercare di arginare il dominio dei Canadiens, che riuscivano a segnare anche tre o quattro volte in un solo Power Play: le nuove norme stabilirono che, in caso di rete, la penalità sarebbe automaticamente terminata, permettendo al giocatore punito di rientrare sul ghiaccio.

Nel 1957 ci fu un importante passaggio di proprietà della franchigia: il Club de Hockey Canadien passò nelle mani dei fratelli Hartland e Thomas Molson.

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I Grandi Canadiens degli anni ’50 – ’60

Andiamo ora a conoscere brevemente i campioni principali che vestirono la mitica maglia rosso-blu degli Habs tra gli anni cinquanta e sessanta: il posto d’onore è sicuramente occupato da Jean Beliveau.


Beliveau nacque a Trois Riviers, Quebec il 31 agosto 1931 e fin da giovane mostrò un talento al di fuori del comune: nel 1953 firmò un contratto da 100.000 dollari con i Montreal Canadiens, anche se in verità aveva già giocato cinque partite con la maglia degli Habs nel 1950-51 e 1952-53.

Quell’ingaggio, tuttavia, fu ampiamente meritato, poiché in 18 stagioni Beliveau, soprannominato Le Gros Bill, sarebbe diventato una delle più grandi stelle nella storia della NHL; Beliveau era un giocatore molto fisico e robusto (190 cm; 92 kg), ma anche velocissimo sui pattini: praticamente immarcabile per gli avversari, accumulò 507 reti e 712 assist in stagione regolare e 176 punti (record degli Habs) nei playoff. Nel 1965 fu istituito il Conn Smythe Trophy, riconoscimento assegnato al miglior giocatore della post-season: Jean Beliveau fu il primo a ricevere il prestigioso premio.

Nel 1971, dopo aver alzato la decima Stanley Cup personale (la quinta come capitano, ruolo ricoperto dal 1961-62), Beliveau si ritirò, lasciando negli appassionati di hockey dei ricordi stupendi: il suo comportamento sul ghiaccio fu sempre molto apprezzato e per questo additato come esempio per i più giovani; nel 1971 i Canadiens organizzarono una serata speciale per celebrare il ritiro del loro campione e poco tempo dopo istituirono il Jean Beliveau Fund, dedicato ai bambini in difficoltà.

Un altro fuoriclasse degli anni ’50 fu Doug Harvey, considerato dopo Bobby Orr il migliore difensore di sempre; il suo debutto con la maglia degli Habs avvenne nel 1948, ma gli inizi non furono facili poiché, secondo i tifosi del Forum, giocava in modo pigro e svogliato.

Tuttavia a partire dagli anni ’50 Harvey diventò il punto di riferimento della squadra: aveva grande intelligenza, poiché sapeva decidere quando rallentare il ritmo di gioco, oppure scatenare l’attacco Run and Gun; inoltre evitava passaggi inutili o attacchi improbabili che avrebbero permesso agli avversari di prendere possesso del disco.

Per sette volte tra il 1955 e il 1962 ricevette il Norris Trophy (premio per il miglior difensore), “rubatogli” dal compagno Tom Johnson nel 1959: solamente il leggendario Orr avrebbe collezionato un numero maggiore di riconoscimenti (8); durante la stagione 1960-61, quella successiva al ritiro di Maurice Richard, Doug Harvey ricoprì il ruolo prestigioso di Capitano dei Canadiens.

Tuttavia i difficili rapporti con Selke convinsero il manager a cedere Harvey ai New York Rangers nel 1961: dopo aver giocato tre stagioni nella Grande Mela, Harvey lasciò la NHL per qualche lega minore; nel 1966-67 fece qualche apparizione con la maglia dei Detroit Red Wings, mentre nel 1968-69 giocò ben 70 partite per i St. Louis Blues, con cui giocò (e perse) la finale di Stanley Cup proprio contro i Canadiens.

Molto importante, invece, in attacco fu il contributo di Bernie “Boom Boom” Geoffrion, ala destra dei Canadiens per quasi 14 anni: fu uno dei più pericolosi attaccanti della lega e nel 1960 diventò il secondo giocatore a segnare 50 gol (anche se in 64 partite) in una stagione; sempre in quel campionato Geoffrion realizzò ben 95 punti. Al termine del 1963-64 si ritirò dalla NHL, per andare ad allenare i Quebec Aces della AHL; tuttavia qualche anno più tardi rientrò nel circuito principale con la maglia dei New York Rangers.

Nel 1953 un altro giocatore importante fece il debutto con la maglia degli Habs, Jacques Plante, forse il portiere più innovativo nella storia dell’hockey su ghiaccio: innanzi tutto fu il primo goalkeeper che usciva dalla gabbia e prendeva possesso del disco dietro la linea di porta per poi passarlo a difensori; inoltre fu sempre il primo che, con il braccio alzato, segnalava ai compagni una situazione di liberazione vietata.

Ma forse fu un altro aspetto che distinse Plante dai portieri della sua epoca: già dal 1956 utilizzava durante gli allenamenti una maschera di protezione per la faccia, che però non poteva essere indossata in gara; tuttavia il 1° novembre 1959, in una partita contro i Rangers, Plante fu colpito violentemente dal puck, rimediando una brutta ferita sul volto.

Plante rientrò in partita, indossando una maschera per lo stupore dei presenti e continuò ad utilizzarla anche nelle gare successive: inizialmente il coach Toe Blake non era molto favorevole a questa consuetudine, ma poi si rassegnò, anche perché i Canadiens con Plante “mascherato” avevano completato una striscia di 18 incontri senza sconfitte; di lì a poco, tutti gli altri portieri copiarono l’idea di Plante.

Nel 1963 Plante lasciò Montreal per i New York Rangers, che lo tagliarono al termine del 1964-65: dopo quattro stagioni senza NHL, Plante rientrò nel 1968 giocando con la maglia dei Blues, dei Maple Leafs, dei Bruins e poi con quella degli Edmonton Oilers della WHA.

A fine carriera Plante aveva collezionato sette Vezina Trophy, di cui cinque consecutivi tra il 1956 e 1960 e uno a pari merito con Glenn Hall nel 1969, ma soprattutto l’Hart Trophy nel 1962: soltanto nel 1997 un altro portiere, Dominik Hasek, sarebbe riuscito a ricevere il prestigioso trofeo.

Tornando agli attaccanti, un posto speciale nel cuore dei tifosi è occupato da Dickie Moore: dopo aver disputato, appena ventenne, un’ottima stagione da rookie nel 1951, con 33 punti in 33 partite, incontrò diverse difficoltà negli anni successivi; soltanto nel 1954 Moore fu utilizzato in pianta stabile all’interno della formazione.

La sua carriera fu molto spettacolare e Moore si trasformò in uno delle più pericolose ali sinistre della NHL: nel 1957-58 realizzò 36 gol con 48 assist, rendendosi protagonista anche nei playoff con 11 punti in 17 partite; l’anno successivo stabilì addirittura il record NHL con 96 punti complessivi.

Purtroppo gli infortuni interruppero la carriera di Moore, almeno come membro dei Canadiens, che lo rilasciarono nel 1963; dopo un anno senza giocare fu ingaggiato dai Toronto Maple Leafs con cui disputò appena 38 partite. Dopo un’ulteriore pausa di due stagioni, Dickie Moore chiuse definitivamente la sua carriera nel 1968 con i St. Louis Blues, sconfitti nella finale di Stanley Cup proprio dagli Habs.

Chiudiamo questa carrellata di fuoriclasse con Henri Richard (fratello di Maurice), forse dopo Jean Beliveau, il più amato dagli spettatori del Forum: sebbene gli addetti ai lavori non gli avessero prospettato una carriera da protagonista, Pocket Rocket, alto appena 169 centimetri, seppe smentire anche i più scettici.


Debuttò nel 1955-56, segnando 19 gol e 40 punti, ma già alla terza stagione era il migliore assistman della lega; forse Pocket Rocket, a differenza del fratello, non era una macchina da gol, ma pochi avevano la sua visione di gioco.

Il momento più spettacolare della sua carriera avvenne nelle finali di Stanley Cup del 1966 contro i Detroit Red Wings: la decisiva gara 6 si allungò al supplementare, ma dopo due minuti Richard segnò il gol che regalò l’ennesima coppa ai Canadiens.

La sua carriera con gli Habs fu lunghissima e terminò nel 1975 dopo venti stagioni con la casacca rosso-blu: i suoi numeri finali presentano 358 gol e 688 assist per un totale di 1046 punti, ma soprattutto 1256 presenze (record) con la maglia dei Canadiens.

Tuttavia il primato più importante detenuto da Henri Richard sono le 11 Stanley Cup conquistate: nessun altro giocatore nella storia dell’hockey su ghiaccio ha potuto leggere il proprio nome sul mitico trofeo così tante volte; incredibilmente Pocket Rocket vinse la Coppa in oltre la metà delle stagioni giocate.

Henri Richard, inoltre, ricevette da Jean Beliveau i gradi di capitano quando quest’ultimo si ritirò nel 1971; il compito era sicuramente arduo, ma Pocket Rocket era un giocatore molto rispettato dai compagni.

Qualche anno prima (1964) era avvenuto un importante cambiamento a livello dirigenziale, infatti, David Molson era stato nominato presidente del Club de Hockey Canadien, mentre Sam Pollock era stato incaricato di sostituire il general manager Frank Selke; nel 1968 David, William e Peter Molson acquistarono completamente la franchigia, prima di cederla nel 1971 alla Placements Rondelle Inc., detenuta da Peter e Edward Bronfman.

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Canadiens – Gli anni ’70

Dopo il ritiro di Toe Blake nel 1969, il posto di allenatore capo fu assegnato a Claude Ruel, il quale vinse la coppa al primo tentativo, la quarta per Montreal in una striscia di cinque anni: l’unica delusione accadde nel 1967, quando i Canadiens furono sconfitti in sei partite dai Toronto Maple Leafs; quello fu il tredicesimo e ultimo successo per Toronto, che, nella classifica delle Stanley Cup vinte, occupa la seconda posizione.

Durante il periodo delle Original Six (dal 1942-43 al 1966-67), la rivalità tra Toronto e Montreal fu così forte e sentita che tra gli appassionati canadesi si erano create due distinte fazioni: chi sosteneva i Canadiens, chi sosteneva i Maple Leafs; sicuramente non va dimenticata la classica e storica ostilità tra francesi e inglesi.

Nonostante il successo nella Stanley Cup, la carriera di Ruel sulla panchina di Montreal fu molto breve e terminò nella stagione 1970-71, quando dopo 23 partite mediocri fu sollevato dalla dirigenza e sostituito con Al MacNeil; il nuovo tecnico riuscì a condurre i Canadiens ai playoff, dove avrebbero incontrato al primo turno un avversario durissimo: i Boston Bruins di Bobby Orr e Phil Esposito, detentori della Stanley Cup.

La battaglia tra le due compagini fu splendida e si chiuse dopo sette partite appassionanti: importantissima fu la seconda sfida giocata al Boston Garden, in cui i Bruins (vittoriosi in gara 1) presero un vantaggio di 5-1; incredibilmente i Canadiens riuscirono in un’insperata rimonta, aggiudicandosi la partita 7-5.

Dopo quel successo i Canadiens continuarono la loro corsa nella post-season, qualificandosi per la finale, dove li avrebbero attesi i Chicago Black Hawks; la serie fu molto controversa, nonostante la vittoria finale: Henri Richard, infatti, non aveva accettato il suo mancato utilizzo durante il terzo periodo di gara 5 e accusò pesantemente il proprio coach, definendolo il peggiore tecnico che lui avesse mai avuto.

Ovviamente scoppiarono le polemiche, soltanto mitigate dalla vittoria finale dei Canadiens; durante la conferenza stampa al termine di gara 7 Pocket Rocket, autore di due reti decisive, affermò che tutto era stato dimenticato e sperava, addirittura, che MacNeil venisse confermato per la stagione successiva.

Ciononostante la dirigenza decise di sollevare MacNeil dall’incarico e di sostituirlo con Scotty Bowman, che era riuscito a portare i nuovi St. Louis Blues a tre finali di Stanley Cup consecutive nei primi tre anni di esistenza.

(Quando avvenne l’espansione del 1967, le nuove squadre furono inserite nella Western Division, mentre le Original Six nella Eastern, in modo tale che le formazioni debuttanti potessero disputare fin dal primo anno la finale di Stanley Cup).

Scotty Bowman si rivelò una scelta davvero azzeccata e i Canadiens, sotto la guida del nuovo coach, continuarono la loro straordinaria tradizione vincente: in otto anni gli Habs avrebbero alzato cinque Stanley Cup, riuscendo a vincere in tutte le stagioni almeno 45 partite. Bowman era un maestro non solo a livello tecnico e tattico, ma anche dal punto di vista psicologico: mai i suoi giocatori subirono dei cali di concentrazione (normali dopo tanti successi), anzi ogni partita era una sfida da vincere assolutamente.

Il capolavoro di Bowman sono le quattro Stanley Cup consecutive tra il 1976 e il 1979, che fecero rinverdire i fasti di Richard, Beliveau e Plante; i Canadiens (diventati proprietà nel 1978 della Molson Breweries), inoltre, stavano combattendo una sfida a distanza con i New York Yankees per il maggior numero di titoli conquistati: alla fine degli anni ’70 la situazione era di 22 pari.

Tra gli anni ’60 e ’70 la gloriosa divisa dei Canadiens fu indossata da numerosi campioni, che raccolsero degnamente l’eredità delle leggende del passato: gli Habs erano sempre i più forti della NHL e i tifosi del Forum poterono ancora gioire ed esultare; nel 1976-77 Montreal, totalizzando 132 punti in regular season (60 vittorie, 8 sconfitte, 12 pareggi), stabilirono un record ancora imbattuto.

Il primo fuoriclasse che ci viene in mente è senza dubbio Yvan Cournoyer, il Roadrunner (l’avversario di Will Coyote) della NHL; originario di Drumondville, Quebec (quindi il suo nome va pronunciato Curnuaié), iniziò la sua carriera con la maglia dei Montreal Jr. Canadiens a soli diciotto anni, dimostrandosi un’autentica minaccia per i portieri avversari: nel 1963-64 riuscì a realizzare addirittura 111 punti con 63 reti, meritandosi una chiamata da parte degli Habs.

Cournoyer non era molto alto (1.70), ma era dotato di due gambe talmente grosse e muscolose che nel magazzino dei Junior Canadiens non c’erano dei pantaloni adatti alla sua misura; nonostante l’enorme talento diventò membro stabile degli Habs soltanto nel 1965-66, ma da quel momento nessuno gli avrebbe più tolto il posto in squadra.

I primi anni, tuttavia, non furono particolarmente piacevoli (parzialmente mitigati da tre Stanley Cup) per Cournoyer, poiché Coach Toe Blake preferiva utilizzarlo in fase difensiva, senza dargli la possibilità di sfoggiare le sue incredibili doti; quando Ruel subentrò a Blake, le cose cambiarono.

Cournoyer poté esprimere la sua abbagliante velocità e il suo meraviglioso talento, trasformandosi nella più pericolosa ala destra della lega: nel 1968-69 il Roadrunner segnò 43 reti, dimostrandosi molto utile anche in fase difensiva; quello che impressionava maggiormente era il perfetto controllo del puck, pur pattinando ad una velocità notevole.

Ma Cournoyer non era solo veloce, ma anche dotato di un tiro molto potente, che poteva trasformarsi in un’arma pericolosissima per le difese avversarie, in particolare nei power play, di cui era spesso il regista: la stagione migliore fu quella del 1971-72, la prima di Scotty Bowman, in cui segnò 47 reti e 83 punti; quando nel 1975 Henri Richard si ritirò, Cournoyer diventò il Capitano dei Canadiens, ruolo che ricoprì con grande classe e maestria.

Con il passare degli anni, i tifosi si resero purtroppo conto che forse Cournoyer stava perdendo quella velocità che lo aveva contraddistinto negli anni precedenti: in verità un problema alla schiena gli causò fortissimi dolori alla gamba, rendendo necessaria un’operazione chirurgica.

Gli anni successivi furono tutt’altro che esaltanti (nonostante le Stanley Cup conquistate) e Jean Beliveau gli suggerì addirittura di ritirarsi: Yvan inizialmente sembrava poco incline ad accettare i consigli del vecchio Capitano, ma dopo un’ulteriore operazione alla schiena dovette cedere; dopo 16 stagioni ad altissimo livello (e la decima coppa personale), Cournoyer lasciò l’hockey professionistico con 968 partite giocate, 428 gol e 435 assist e solamente 77 minuti di penalità.

Come al solito, la porta era sempre difesa da un giocatore fenomenale, Ken Dryden: dopo aver disputato alcune ottime stagioni nelle leghe minori, fu chiamato nella prima squadra nel 1970-71; sebbene avesse giocato appena sei partite, Dryden poteva considerarsi fortunato, poiché ai rookie (specialmente se portieri) difficilmente veniva dato spazio.

Il coach Al McNeil, invece, rimase molto soddisfatto dalle prestazioni del giovane goalie e decise di promuoverlo titolare nei playoff, dove i Canadiens avrebbero affrontato i possenti Boston Bruins; gli addetti ai lavori rimasero molto perplessi riguardo alla scelta del tecnico, anche perché i Bruins, avendo il fattore campo a favore, disponevano di un chiaro vantaggio: il Boston Garden era uno degli impianti più rumorosi della NHL e aveva sempre messo in crisi gli avversari.

Invece Dryden, che aveva già giocato al Garden a livello universitario, rispose alla grande: Phil Esposito, autore di 76 gol in 78 incontri durante la regular season, fu limitato a sole tre reti in sette gare e tantissime volte i tifosi dei Bruins gridarono “GOL”, prima di vedere il puck respinto dal giovane portiere; Dryden fu molto efficace anche nelle altre serie di playoff e, non a caso, fu premiato con il Conn Smythe Trophy.

Dryden era diventato il portiere titolare dei Canadiens, ma dopo la vittoria della Stanley Cup nel 1973, annunciò a soli 26 anni il proprio ritiro, per lavorare come apprendista presso uno studio legale di Toronto (con uno stipendio di 7.500 dollari l’anno); la stagione successiva fu molto difficile per gli Habs, che pregarono il loro portiere di ritornare.

Dryden accettò l’offerta e i Canadiens tornarono la squadra dominante di qualche anno prima: Montreal, con Ken a difesa della gabbia, vinse quattro Stanley Cup consecutive, ma dopo l’ultimo trionfo, il portiere si ritirò. definitivamente.

Le sue statistiche finali sono impressionanti: sei coppe vinte in otto stagioni, una media gol subiti di 2.24, 46 shutout e un bilancio finale di 258 vittorie, 57 sconfitte e 47 pareggi con una percentuale di vittoria pari a 75,8% (la migliore nella storia della NHL); la sua annata migliore fu il 1976-77, quando in stagione regolare compilò una media di 2.14 con 10 shutout, e nei playoff una media di 1.56 con 4 partite senza subire gol.

Ma la vera star degli anni ’70, il simbolo dei Canadiens, colui che diventò l’idolo dei tifosi fu senza ombra di dubbio The Flower Guy Lafleur, una delle più fantastiche ali destre e uno dei più eccitanti giocatori mai apparsi sul ghiaccio della NHL.

Soprannominato anche le Demon Blond per via dei lunghi capelli biondi, iniziò la propria carriera professionistica nel 1971 con i Montreal Canadiens, i quali lo ottennero grazie ad una serie di scambi con i California Golden Seals. Jean Beliveau notò subito il grande talento del giovane giocatore e per questo gli propose di utilizzare il suo numero 4; Lafleur, tuttavia, rifiutò, preferendo il 10.

Da sempre tifoso degli Habs, il Fiore diventò un beniamino degli spettatori del Forum dopo pochissimo tempo, sebbene molti critici fossero scettici sulle reali abilità di Lafleur; tuttavia nella sua prima stagione segnò subito 29 reti, per poi esplodere nel 1975 quando chiuse l’annata con 53 gol: Lafleur diventò il primo giocatore nella storia dell NHL a realizzare 50 reti (60 nel 1978) e 100 punti in sei stagioni consecutive.

Lafleur era un giocatore spettacolare, dotato di una velocità abbagliante che gli permetteva di volare sul ghiaccio; sicuramente non è stato il miglior hockeista di sempre (dodicesimo nella classifica all-time), ma forse può essere considerato il più eccitante: ogni volta che Guy prendeva possesso del puck saltava i difensori avversari come se fossero semplici birilli, lasciando gli spettatori senza parole.

Nel 1985 a 33 anni Lafleur si ritirò dalla NHL, lasciando gli Habs dopo 14 stagioni magnifiche, coronate da cinque Stanley Cup, due Hart Trophy (MVP), tre Art Ross Trophy (miglior cannoniere); con la maglia degli Habs il Flower giocò 961 partite, segnando 518 gol, con 728 assist (record di squadra) e 1246 punti (altro record).

La dirigenza degli Habs concesse l’ultimo omaggio al Fiore, ritirando la maglia numero 10: soltanto Howie Morenz (7), Maurice (9) e Henri (11) Richard, Jean Beliveau (4), Doug Harvey (2), Jacques Plante (1) hanno potuto ricevere questo grandissimo onore.

In effetti, dopo tre anni d’inattività, Lafleur rientrò sul ghiaccio con la maglia dei New York Rangers, diventando il secondo giocatore dopo Gordie Howe a disputare una partita NHL dopo l’elezione nella Hall of Fame; in seguito rifiutò un contratto milionario con i Los Angeles Kings (e la possibilità di giocare con Wayne Gretzky), per chiudere definitivamente la propria carriera con i Quebec Nordiques.

Un giocatore moderno paragonabile a Lafleur potrebbe essere Pavel Bure, proprio per l’abilità del Russian Rocket di volare sul ghiaccio, saltare la difesa tutto da solo con finte e deke e poi segnare.

Parlando della difesa, aspetto fondamentale del gioco, menzione particolare meritano i Big Three, Serge Savard (soprannominato the Senator per via degli interessi politici), Guy Lapointe e Larry Robinson, che, per oltre 15 anni, crearono davanti ai loro portieri delle barriere praticamente insormontabili; dal 1979-80 Serge Savard diventò ufficialmente Capitano dei Canadiens, ruolo comunque già ricoperto durante i playoff della stagione precedente, a causa dell’infortunio di Cournoyer: la quarta Stanley Cup consecutiva, infatti, fu alzata proprio dal Senator.

Altri giocatori degni di nota sono Steve Shutt, autore di 60 reti e 105 punti nel 1977 (record per un’ala sinistra) e Jacques Lemaire, compagni di linea (la celeberrima Dynasty Line) di Lafleur, e i fratelli Frank e Pete Mahovlich, che, avendo indossato nella loro carriera la maglia di diverse altre squadre, non possono essere considerati bandiere dei Canadiens.

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Dalle sfide Canada-URSS al debutto di Patrick Roy

Gli anni ’70 saranno ricordati dagli appassionati di hockey su ghiaccio per le leggendarie sfide tra Canada e URSS, pagine fondamentali nella storia di questo sport; per la prima storica serie del 1972 ben sei Canadiens furono invitati ad indossare la maglia con la Foglia D’Acero: Ken Dryden, Serge Savard, Guy Lapointe, Yvan Cournoyer (uno degli eroi della squadra), Frank e Pete Mahovlich.

Il 31 dicembre 1975 gli Habs sfidarono al Forum il CSKA, la formazione leader della lega sovietica, all’interno della Super Series 76, otto incontri tra le migliori compagini della NHL e russe: i Canadiens dominarono per tutta la partita, collezionando ben 38 tiri contro i miseri 13 dei russi, ma tutto ciò non fu sufficiente per la vittoria, poiché Vladislav Tretiak parò praticamente tutto.

Il match si chiuse sul 3-3 e ancora oggi quella performance è considerata una delle migliori mai realizzate da un portiere: al termine della partita Scotty Bowman affermò di essere orgoglioso dei suoi giocatori, confessando che Tretiak era praticamente imbattibile; forse l’unica delusione di quella partita fu Ken Dryden, che, tuttavia, non brillò mai nelle sfide contro i Sovietici.

Vladislav Tretiak, invece, fu sempre protagonista durante quei memorabili incontri, esaltandosi proprio nelle sfide giocate al Forum: gara 1 della serie del 1972, la partita contro gli Habs della Super Series, la finale di Canada Cup del 1981; Tretiak era diventato il simbolo degli avversari sovietici, ma con il passare del tempo i tifosi canadesi (in particolare quelli di Montreal) si innamorarono di questo leggendario portiere, facendo segretamente il tifo per lui.

Negli anni ’80 la dirigenza dei Canadiens cercò in tutti i modi di ingaggiare Tretiak, il quale aveva oltretutto confermato il suo interesse per la Stanley Cup, unico trofeo che mancava nella sua illustrissima carriera. Purtroppo il regime comunista riuscì ad impedire il trasferimento e Tretiak, costretto tra l’altro a smentire le sue dichiarazioni favorevoli alla NHL, dovette ritirarsi senza aver potuto giocare in Nord America.

In seguito alla vittoria nella Stanley Cup del 1979, Scotty Bowman lasciò la panchina degli Habs, dopo aver accettato le offerte dei Buffalo Sabres, che lo ingaggiarono come coach e general manager; da quel momento gli Habs, pur rimanendo una squadra temuta e rispettata, persero la loro immagine di dominatori della NHL e si può tranquillamente affermare che l’epopea dei Flying Frenchmen si chiuse con l’inizio degli anni ’80.

La nuova decade, infatti, vide l’ascesa di due altre dinastie, i New York Islanders di Denis Potvin e Mike Bossy, che completarono una quaterna tra il 1980 e il 1983, e i meravigliosi Edmonton Oilers di Wayne Gretzky, Mark Messier e Jari Kurri.

Ritornando alle stagioni gloriose dei Canadiens, possiamo affermare che una delle più fiere rivali di Montreal fu Boston, che, a causa delle numerose sconfitte consecutive sofferte nei playoff, soffriva di un complesso nei confronti degli Habs; sicuramente la delusione più cocente avvenne nel 1979, quando le due formazioni si affrontarono nella semifinale per la Stanley Cup.

Dopo sei partite, la situazione era di parità (tutti successi interni) e la settima gara in Quebec avrebbe determinato la sfidante dei New York Rangers (vittoriosi sui New York Islanders nell’altra semifinale) per la Stanley Cup: i Bruins iniziarono il terzo periodo sul 3-1 a proprio favore, ma gli Habs riuscirono a pareggiare; quando, però, Rick Middleton segnò il 4-3, gli spettatori del Forum furono improvvisamente zittiti.

I Canadiens erano destinati all’eliminazione, ma un’incredibile e assurda penalità contro Boston per “troppi uomini sul ghiaccio” regalò a Montreal un Power Play: Guy Lafleur pareggiò la partita, sfruttando la superiorità numerica e Yvon Lambert, al 9:33 del supplementare, condannò definitivamente i Bruins.


La rete di Yvon Lambert contro Boston nel 1979

Nel 1979 la World Hockey Association, la lega ribelle degli anni ’70, fu sciolta, ma quattro squadre appartenenti a quella organizzazione furono inserite nella NHL: gli Hartford Whalers, gli Edmonton Oilers, i Winnipeg Jets e i Quebec Nordiques; proprio tra Nordiques e Canadiens nacque una rivalità che portò a degli scontri e battaglie incandescenti.

Nonostante fosse scontato che tra le due squadre e tifoserie del Quebec non sarebbe potuto correre buon sangue, pochi avrebbero immaginato cosa sarebbe successo: ogni volta che Nordiques e Canadiens si affrontavano, la temperatura si alzava e coinvolgeva giocatori e tifosi, provocando spesso zuffe, risse e tafferugli, ma anche partite altamente spettacolari.

Negli anni ’70, invece, la rivalità tra Montreal e Toronto perse leggermente di forza, a causa dei numerosi realignment che spostarono le due formazioni in division e conference diverse: nel 1998 fu preparato lo schema adesso in vigore, permettendo a Toronto e Montreal di poter finalmente ritornare nello stesso raggruppamento (North-East Division), dopo oltre vent’anni; ciononostante la dura rivalità di un tempo non potrà essere ricreata, anche perché dopo la serie finale del 1967 le due formazioni non si scontrarono più nella post-season.

Nel 1985, in occasione del 75esimo anniversario dei Montreal Canadiens, fu preparato un sondaggio tra i tifosi per selezionare un ipotetico Dream Team; questi furono i giocatori scelti dagli appassionati:

– Jacques Plante (portiere)
– Doug Harvey (difensore)
– Larry Robinson (difensore)
– Maurice Richard (ala destra)
– Jean Beliveau (centro)
– Dickie Moore (ala sinistra)
– Hector Toe Blake (coach)

Come detto in precedenza, questa decade non vide il dominio dei Canadiens, tuttavia gli Habs si dimostrarono sempre una squadra pericolosa: il giocatore simbolo di Montreal negli anni ’80 fu ovviamente Patrick Roy.

Patrick Roy era nato il 5 ottobre 1965 e, essendo originario di Quebec City, era sempre stato un tifoso dei Nordiques; dopo alcune buoni stagioni nelle leghe minori, Roy fu selezionato nel 1984 dai Canadiens, squadra da lui sempre detestata.

Il 23 febbraio 1985 Roy fece il suo debutto ufficiale con gli Habs, dimostrando grande abilità e sicurezza, ciononostante Patrick fu trasferito ai Sherbroke Canadiens della AHL per fare esperienza; immediatamente i tecnici notarono in lui una caratteristica eccezionale: sapeva rendere al meglio nelle partite decisive.

Qualche mese dopo Roy fu chiamato al training camp della prima squadra, ma questa volta il tecnico Jean Perron decise di trattenerlo; nella sua annata da rookie Patrick giocò 47 partite con 23 vittorie ed una media di 3.35, numeri eccellenti per un ventenne.

Tuttavia i successi non erano finiti, poiché il coach decise di nominarlo portiere titolare per gli imminenti playoff: nella post-season Roy si rivelò un’autentica saracinesca, portando i Canadiens alla finale di Stanley Cup contro i Calgary Flames; Montreal riuscì a prevalere un’altra volta e Roy ricevette un meritatissimo (quanto inaspettato solo qualche mese prima) Conn Smythe Trophy.

Roy diventò l’eroe popolare, meritandosi l’appellativo di St. Patrick; ora il giovane fuoriclasse avrebbe dovuto dimostrare negli anni successivi che i riconoscimenti non erano casuali, ma Roy non deluse mai, meritandosi in tre occasioni il Vezina Trophy.


Il grande Patrick Roy

La squadra del 1986 non era paragonabile a quella fantastica degli anni ’70, tuttavia era formata da diversi giocatori interessanti, primo fra tutti Claude Lemieux, rookie durante la stagione coronata dalla 23esima Stanley Cup: sebbene sia considerato da molti critici uno dei più sporchi giocatori (se non proprio il più sporco) nell’intera storia della NHL, Lemieux è l’ottavo miglior marcatore nella storia dei playoff, davanti anche all’omonimo Super Mario (nessun legame di parentela).

Claude in stagione regolare giocò solamente dieci partite, ma durante la post-season fu impiegato a tempo pieno, realizzando, in venti incontri, dieci reti, di cui quattro decisive, e 16 punti: i game-winning goals nei playoff sono uno dei marchi di fabbrica di Lemiuex, infatti, nella speciale classica è secondo solo a Wayne Gretzky; Lemieux rimase a Montreal per altre quattro stagioni prima di essere scambiato con i New Jersey Devils.

Nel roster del 1986 vanno menzionati anche il vecchio Larry Robinson, il capitano Bob Gainey, Chris Chelios, lo svedese Mats Naslund (primo europeo ingaggiato da Montreal) e Guy Carbonneau, tutti ottimi giocatori ma, a parte Roy e il giovane Chelios, non superstar.

Gli Habs tornarono in finale tre anni dopo, dove ad attenderli c’erano ancora i Calgary Flames di Al MacInnis e Lanny McDonald: purtroppo i Canadiens furono sconfitti in sei partite e fu veramente dolce per i Flames conquistare la Stanley Cup sul ghiaccio del Forum (mai nessun’altra squadra c’era riuscita); quella fu la settima sconfitta per Montreal nella serie finale, la prima dal 1967.

Anche negli anni ’80 la rivalità tra Habs e Bruins fu molto aspra e carica di emozioni: per cinque stagioni consecutive a partire dal 1984 le due nemiche s’incontrarono nei playoff, con quattro vittorie canadesi nelle prime quattro sfide; nel 1988 gli Habs dovettero cedere a Boston che, finalmente, poté gioire di un successo su Montreal dopo anni di delusioni.

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Canadiens – Gli anni ’90 e il nuovo millennio

Il 1993 era una stagione molto affascinante per l’hockey su ghiaccio, poiché si festeggiava il centesimo anniversario della Stanley Cup, il trofeo consegnato da Lord Stanley un secolo prima alla Montreal AAA; sarebbe stato bello per gli Habs, guidati da Jacques Demers, celebrare degnamente quell’evento, ma la regular season non fu completamente soddisfacente: la qualificazione ai playoff era stata raggiunta, ma pochi pronosticavano una vittoria finale.

Il primo turno li vedeva di fronte agli arci-rivali dei Quebec Nordiques, i quali si aggiudicarono gara 1 (in overtime) e gara 2; i Canadiens sfruttarono le partite interne vincendo il terzo (ai supplementari) e il quarto confronto: ora la quinta sfida, da disputarsi a Quebec City, sarebbe stata fondamentale.

Dopo 60 minuti il punteggio era di 4-4, ma Montreal riuscì a segnare il gol decisivo nel prolungamento: la serie era segnata e gli Habs si qualificarono per il secondo turno, dove i Buffalo Sabres erano pronti a sfidarli; grazie a tre vittorie in overtime, gli Habs superarono i rivali 4-0, conquistando il titolo della Adams Division. La finale della Eastern Conference, giocata contro i New York Islanders, fu vinta da Montreal 4-1, ma sia gara 3 sia gara 4 furono risolte in overtime.

Gli Habs erano pronti a contendersi l’ennesima Stanley Cup, dimostrandosi molto confidenti e sicuri, nonostante dall’altra parte ci fossero i Los Angeles Kings del signor Wayne Gretzky: in verità i Californiani partirono alla grande, aggiudicandosi la prima sfida al Montreal Forum e prendendo un vantaggio iniziale nella seconda; gli Habs reagirono e, dopo la squalifica assegnata a Marty McSorley per mazza illegale, rimontarono, vincendo l’incontro al supplementare.

La serie si spostò al Forum di Los Angeles, ma i Canadiens erano lanciati: tutte due le partite finirono in overtime, ma i Kings furono ancora battuti; sul 3-1, la serie tornò in Canada e gli Habs chiusero il conto definitivamente.

I Montreal Canadiens in tutta la post-season avevano vinto dieci partite in overtime, stabilendo un record probabilmente imbattibile, ma cosa più importante si erano aggiudicati la 24esima Coppa (e il 25esimo titolo NHL) della loro illustre storia; il centesimo anniversario del trofeo di Lord Stanley non poteva avere migliore celebrazione. Inoltre i Canadiens, staccando di due lunghezze i New York Yankees, potevano dichiararsi a ragione la squadra più vincente nella storia dello sport nordamericano.

L’eroe indiscusso di quella formazione fu certamente il leggendario Patrick Roy, premiato meritatamente con il Conn Smythe Trophy; Roy era l’unico giocatore di grido presente nel roster, sicuramente di qualità inferiore se confrontato con quello di sette anni prima: i contributi di Guy Carbonneau, Vincent Damphousse, Eric Desjardins e Brian LeClair furono importanti, ma nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla vittoria finale di Montreal.


Patrick Roy alza la 24esima Stanley Cup

(Nella seconda metà degli anni ’90, i New York Yankees conquistarono 4 World Series, raggiungendo quota 26 nella classifica totale: i Montreal Canadiens, quindi, furono relegati in seconda posizione).

Tuttavia dopo quel successo i Canadiens lasciarono definitivamente le posizioni nobili della NHL, anche se il discorso andrebbe allungato a tutte le squadre della Foglia D’Acero: le innumerevoli disparità economiche con le squadre americane contribuirono enormemente al declino delle formazioni canadesi; inoltre due franchigie, i Winnipeg Jets e proprio i Quebec Nordiques, furono trasferite negli USA, diventando i Phoenix Coyotes e i Colorado Avalanche, mentre gli Oilers rimasero ad Edmonton con enormi difficoltà.

La stagione ridotta del 1995 fu molto triste per i Canadiens, che, per la prima volta dal 1970, non si qualificarono per la post-season; qualche mese più tardi, invece, si materializzò il divorzio di Patrick Roy, che, dopo uno scontro con il tecnico Mario Tremblay e la dirigenza, fu ceduto proprio ai Colorado Avalanche: in una partita contro i Red Wings persa 12-1, Roy aveva incassato nove gol di Detroit prima di essere sostituito.

Roy non accettò questo affronto e accusò pesantemente tutto lo staff tecnico e dirigenziale di Montreal, chiedendo apertamente il trasferimento: a Denver Roy ritrovò Claude Lemieux, contribuendo insieme al successo in una nuova Stanley Cup; tuttavia i tifosi degli Habs, sempre leali con i loro beniamini, non serbarono rancore nei confronti di Roy, quando tornò a Montreal da avversario.

Il momento più commovente degli anni ’90 si verificò l’11 marzo 1996, quando i Canadiens si esibirono al Forum per l’ultima volta: la vittoria per 4-1 contro i Dallas Stars salutò definitivamente il leggendario impianto, diventato indubbiamente il tempio dell’hockey su ghiaccio; cinque giorni dopo, contro i New York Rangers, fu aperto il moderno Molson Centre (ora Bell Centre), privo però della magia e della tradizione. Nel vecchio Forum, tra l’altro, erano presenti i fantasmi dei giocatori passati, che in moltissime occasioni aiutarono i Canadiens a vincere le partite più improbabili: almeno così si dice a Montreal!

Ma il vero evento che sconvolse l’intero Canada fu la morte, al termine di una lunga malattia, di Maurice Richard il 27 maggio 2000: il Rocket aveva 78 anni, ma era ancora venerato come un dio da tutti gli appassionati; s’ipotizza che oltre centomila persone si siano recate al Molson Centre per rendere omaggio alla salma di Richard, un vero eroe nazionale.

Cosa si possono aspettare i Montreal Canadiens del nuovo millennio? Sarà in grado George N. Gillett Jr, che nel 2001 ha acquistato l’80,1% della proprietà dalla Molson Inc, di riportare gli Habs al vertice della NHL?

Queste domande sono molto difficili: la stagione 2001-02 è stata indubbiamente positiva, coronata dall’ingresso ai playoff e dal passaggio al secondo turno.

Il capitano, il finlandese Saku Koivu, è rientrato in squadra dopo una brutta malattia, mentre Jose Theodore è stato premiato sia con il Vezina Trophy, sia con l’Hart Trophy: la grandissima tradizione di portieri degli Habs, che parte proprio da Georges Vezina e prosegue con George Hainsworth, Bill Durnam, Jacques Plante, Ken Dryden e Patrick Roy, potrà sicuramente continuare; Theodore, inoltre, è l’ennesima dimostrazione di come il Quebec sia la patria dei portieri.

Purtroppo l’annata successiva è stata alquanto deludente, coronata dal licenziamento del coach Michel Therrien in favore di Claude Julien; tuttavia con l’arrivo di Bob Gainey in qualità di GM si stanno notando dei miglioramenti e forse gli Habs dovrebbero aver lasciato alle spalle il periodo difficile.

I tifosi di Montreal sognano di rivedere i propri idoli in cima alla NHL, ma forse non solo loro: i Canadiens con la loro tradizione e il loro fascino hanno coinvolto anche i sostenitori delle altre squadre (a parte quelli dei Bruins e dei Nordiques), che, nel profondo del loro cuore, sperano che gli Habs possano tornare ad essere i dominatori dell’hockey su ghiaccio.

Fonti dell’articolo:

Site Web Officiel / Official Web Site – Canadiens de Montreal
GOHABS.COM – Your Web Connection to Canadiens Hockey
HABS.COM – The Habs Page
Legends of Hockey
HockeySandwich.com
Maurice “The Rocket” Richard

Total Hockey, the Official Encyclopedia of the NHL (Second Edition), Total Sports Publications, Kingston, New York 1998, 2000

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