Damian Lillard ha subito sbaragliato la concorrenza alla Summer League coi suoi Blazers…

Si sa, il draft è una lotteria, e non solo perché la franchigia detentrice della prima scelta assoluta viene scelta col sistema della “lottery”, appunto; lo è perché in molti casi è difficile dire come un rookie, seppur talentuoso, risponderà alle sollecitazioni di una lega come l’NBA, con pressioni altissime e un livello di intensità fuori dall’ordinario.

Basta citare Sam Bowie, seconda scelta assoluta nell’anno in cui Micheal Jordan fu scelto con la terza, o (rovescio della medaglia) Manu Ginobili, scelto con la numero 57 nel Draft del 1999.

Però, quest’anno, c’è un fatto da non trascurare: il Draft 2012 è stato un Draft post-lockout e molti collegiali hanno aspettato un anno in più per fare il grande salto, per paura che la stagione non cominciasse. Quindi ci sono tutti i presupposti perchè il draft svoltosi qualche mese fa si riveli ad alta concentrazione di talento.

Partendo dal reparto playmaker i due rookie scelti con pick alte al draft sono stati Damian Lillard, da Weber State, e Austin Rivers, figlio di “Doc”, prodotto di Duke.

Lillard, pick numero 6, è stato scelto da Portland per risollevare le sorti di una piazza che in questi ultimi anni ne ha viste di tutti i colori e ha già fatto vedere cose importanti in Summer League, dove è stato eletto Mvp. Si può notare subito come il prodotto di Weber St. sia fisicamente pronto per la lega: un corpo già ben strutturato, velocità e forza; ottimo realizzatore (nella stagione scorsa ha viaggiato costantemente sopra i venti punti a partita) e con grande capacità di buttarsi in area pitturata a prendere contatti con avversari più grossi di lui.

Le perplessità però ci sono, e sono inerenti alla sue skills di puro playmaking: un ball handling buono ma non eccezionale e una capacità da passatore e facilitatore per i compagni tutta da scoprire.

Austin Rivers è stato scelto alla numero dieci per gli Hornets. Il figlio di coach Rivers non sembra prontissimo fin da subito, soprattutto dal punto di vista fisico; potrebbe soffrire difensivamente contro avversari più grossi di lui. Le qualità però sono innegabili: grande tiratore da tutte le posizioni, anche dal palleggio, e capacità di coprire entrambi i ruoli da guardia; qualità da clutcher e buon trattatore di palla. Dovrà probabilmente attraversare una fase di studio per adattarsi all’intensità del nuovo contesto.

La scelta più alta fra le guardie (3rd pick) è stata, come nelle previsioni, Bradley Beal, che andrà a rinforzare i Washington Wizards. Il prodotto di Florida ha fatto scorgere qualità innate: mani raffinate e grande fisicità, atletismo ed intensità; c’è chi azzarda paragoni pesanti: con Ray Allen per la capacità di muoversi senza palla sfruttando i blocchi e con Dwayne Wade per le sue qualità di stoppatore rapportate ai centimetri. Se riesce ad aggiungere alcuni tasselli al suo gioco (per esempio la capacità di crearsi il tiro dal palleggio e non solo sugli scarichi) il futuro è suo. Probabilmente i Wizards, con lui e John Wall, si sono sistemati per le pozioni da guardia per il prossimo decennio.

Dion Waiters è stato probabilmente la sopresa di questo Draft. I Cavs per ricostruire il roster si sono affidati ad un giocatore che fa scorgere grandi potenzialità ma che a Syracuse veniva relegato a ruolo di sesto uomo. Guardia senza paura che spesso, anche partendo dalla panchina, è stato il go-to guy degli Orange. Ha sicuramente punti nelle mani, ma in molti sollevano dubbi sulla sua capacità di leggere il gioco e sul suo Q.I. Cestistico.

Terrence Ross, scelto dai Toronto Raptors, è sicuramente un atleta di primissimo livello e grazie al suo fisico può ricoprire anche il ruolo di ala piccola. Il prodotto di Washington ha doti da realizzatore e molteplici soluzioni offensive; deve migliorare in attitudine difensiva e nella capacità di coinvolgere i compagni.

Anche nel reparto ali, i rookie di questa stagione sembrano partire da un’ottima base. Balza all’occhio il fatto che sia con la prima che con la seconda scelta sono arrivati nella lega due giocatori provenienti da Kentuky: Anthony Davis (non c’erano molti dubbi) e Michael Kidd-Gilchrist.

Il neo-giocatore dei Bobcats mostra qualità difensive fuori dal comune, mobilità e qualità da stoppatore di tecnica più che di atletismo. Gli mancano pochi pezzi per diventare un giocatore completo, migliorare il trattamento di palla ed affinare le sue qualità di tiratore, specialmente dalla distanza; ma l’attitudine al lavoro e il livello di comprensione del gioco non sono in discussione.

Altro prospetto interessante è Harrison Barnes, in forza ai Golden State Warriors; capacità di concludere al ferro e buon arresto e tiro solo tra le sue migliori qualità. Ci sono i requisiti per fare bene da subito ma potrebbe avere dei problemi con i difensori NBA per via di una velocità non eccezionale e di un ball handling da migliorare. Come difensore è ancora da giudicare al piano superiore.

Passando alla posizione di ala grande, abbiamo Thomas Robinson, dall’università di Kansas, scelto alla cinque dai Sacramento Kings: rimbalzista coi fiocchi, potenza fisica e istinto per il rimbalzo offensivo sono qualità che servivano ai Kings; sono inoltre buoni i suoi movimenti sul perno e possiede un tiro discreto dalla media distanza. Va sicuramente raffinato il suo gioco e potrebbe soffrire di un’altezza non straordinaria per un’ala grande.

Andre Drummond, centro scelto dai Detroit Pistons, è sicuramente dotato di un corpo già ben strutturato, anche in ottica NBA; è poi dotato di grande atletismo e di una mobilità insospettabile per la sua stazza; è però un diamante molto grezzo che avrà bisogno di un periodo di ambientamento dal punto di vista prettamente tecnico, soprattutto in attacco, dove, a parte la pericolosità in situazione di pick&roll dinamico, non aggiunge molte frecce al suo arco.

Tra i rookie di quest’anno non si può non parlare poi di Jonas Valanciunas, scelto nel draft 2011 dai Toronto Raptors ma restato in Europa un anno in più; un centro tecnico e con braccia lunghe che potrebbe sollevare Bargnani dall’impiccio di dover coprire un ruolo non del tutto suo. Discreto rimbalzista ma difensore tutto da inventare; ha però dalla sua tanta esperienza a livello europeo e mani educate.

Gli Hornets non hanno avuto dubbi e hanno utilizzato la prima scelta assoluta per portare a New Orleans un certo Antony Davis, fresco vincitore del titolo NCAA con Kentuky. Che dire di Davis, corpo da “freak”, non altissimo ma con una apertura “alare” da albatros che, unita ad un istinto sovrannaturale per la stoppata, ne fa un rookie di sicuro impatto difensivo sin da subito anche ai piani alti.

Il pacchetto di skills difensive è completato da un buon feeling per il rimbalzo e da una mobilità non comune per un 2.09, tant’è che molti lo vedrebbero bene anche nella posizione da 4. Certo, deve sicuramente perfezionare alcuni aspetti del suo gioco, soprattutto in attacco: la tecnica di tiro è buona ma discontinua nella realizzazione e, soprattutto, sembra ancora un po’ acerbo nei movimenti in post (chissà che tra qualche tempo anche lui, dopo Kobe, LeBron e altri, non vada a chiedere consiglio ad Hakeem “The Dream”). Quindi, di sicuro gli Hornets hanno arricchito il roster con un rookie di sicuro avvenire, già pronto a spostare gli equilibri, in che misura dipenderà dalla sua capacità di comprensione del gioco.

Tanta qualità quindi, ma è presto per dire chi sarà nominato rookie dell’anno a fine stagione. Di sicuro però, i nomi sopracitati si giocheranno le loro carte per essere inseriti nel miglior quintetto delle matricole. Welcome to the NBA, guys!

 

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