Non è mai facile scrivere un articolo sulla peggiore squadra della lega. Risaltare le caratteristiche negative è sempre provante, soprattutto se la franchigia in questione sono gli Utah Jazz. Franchigia storica, conservatrice e tradizionalista, ma mai vincente, almeno non come avrebbe voluto.
Conosciamo tutti la storia dello Stockton to Malone di metà-fine anni ’90, conosciamo tutti la leggenda di Jerry Sloan che si è seduto su questa panchina per 27 lunghi anni – carriera da vice compresa.
Quando lasciò il posto a Tyrone Corbin, nel 2011, si sapeva che sarebbe iniziata una nuova era, ma non in maniera così drastica. I tifosi della squadra che fu di Pete Maravich e di New Orleans (da cui il nome Jazz) sono sempre stati abituati a stare ai vertici o, almeno, ad arrivare alla post-season. Invece, già lo scorso anno, la loro lotta si fermò a due gare dal termine quando lasciarono solennemente l’ottavo e ultimo posto disponibile ai Lakers.
Così, il GM Dennis Lindsey ha deciso di far partire definitivamente questa benedetta ricostruzione che, anno dopo anno, è stata rimandata per la residua competitività che la squadra ancora mostrava.
Perciò, in estate sono stati mandati via due pilastri come Al Jefferson e Paul Millsap, sancendo l’ascesa della tanto acclamata coppia di lunghi: Kanter-Favors. A dire la verità, le aspettative su di loro non erano poi così tanto scarne. Tanti giovani, talento complessivo davvero eccellente, con anche l’aggiunta dal Draft di Trey Burke, miglior giocatore del college basket nella scorsa stagione.
Purtroppo l’inizio di stagione ha mostrato delle carte differenti rispetto a quelle che erano state messe in tavola durante l’off-season. Partenza senza vittorie dopo otto gare, cosa che non succedeva da quando erano ancora in Louisiana, una trentina di anni fa. Ma quali sono i motivi lampanti di questo sfracello?
Cominciamo dall’attacco che è il peggiore della lega, almeno per quanto riguarda i numeri, con solo 88.7 punti segnati durante le 11 partite finora giocate. Il motivo lampante di questa evidente lacuna è la mancanza di tiratori, specialmente da tre, dove il migliore è un lungo come Marvin Williams che tra l’altro ne infila appena 1.3 a gara.
La squadra di Corbin sta tirando con il 41.3% dal campo – 40.1% durante le otto sconfitte di fila – alzato leggermente solo grazie all’ottima prestazione contro i Pelicans in cui è anche arrivata la prima vittoria stagionale. Ritornando alle prestazioni da oltre l’arco, il 27.6% è davvero un dato disarmante e non sembra che la situazione si possa risollevare facilmente.
Gordon Hayward sembra essere l’unico attaccante decente presente nel roster in questo momento, almeno fino a quando non rientrerà Burke, che intanto si è fratturato l’indice della mano destra e rientrerà per fine novembre, almeno si spera.
La guardia-ala ex Butler sta provando a tenere a galla la barca mettendo sempre la sua solita grande energia in campo, tanto che sta sfiorando il 20+5+5 e mi piace pensare che non sia solo per il contratto in scadenza. Ma, ricollegandoci al discorso precedente, non stiamo parlando di un tiratore puro, anzi preferisce adottare l’uno contro uno, cercando la penetrazione.
La situazione in regia, poi, è disperata. Jamaal Tinsley, firmato per dare man forte nel reparto vista la mancanza di Burke, è stato tagliato dopo poche partite, mentre John Lucas III ha raccolto poco e niente in 25 minuti di impiego medio. Proprio per via di questa mancanza, i Jazz stanno decisamente soffrendo nella circolazione di palla e lo dimostra il penultimo posto nella classifica degli assist.
Ma nel disastro più totale un po’ di ottimismo riesce a trapelare, soprattutto per quanto riguarda il futuro. Oltre ai già citati Hayward e Burke, sotto canestro c’è una coppia di lunghi davvero temibile e con ancora evidenti margini di miglioramento.
Enes Kanter sta segnando 15.7 punti con 7.5 rimbalzi di media, confermandosi un giocatore di stazza e parecchio versatile, dato che può occupare due posizioni differenti. Accanto a lui c’è Derrick Favors che sta viaggiando ad una doppia-doppia di media da 14.0 punti e 10.6 rimbalzi. Dal punto di vista offensivo ancora pecca, specialmente nei movimenti sotto canestro, ma ha sinora dimostrato un grande potenziale difensivo e può fare sicuramente di meglio.
I buoni presupposti, quindi, ci sono tutti. La squadra è questa e quest’anno andrà così. Tanking o non tanking, a Salt Lake City vogliono rivedere al più presto dei Jazz competitivi con uno sguardo logico al ricco Draft del prossimo anno.
Tra le mura dell’Energy Solutions Arena non risuonano solo mugugni di delusione o di disapprovazione, ma c’è anche chi già inneggia al nome di Andrew Wiggins, sperando che la lottery del maggio venturo sia magnanima.
Scrive per playitusa dal 2012. Esperto di NBA, NHL ed MLB.
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