La fondazione del rematch delle attuali Finals risale al 2010; tutto ebbe inizio allora.

Se il reset degli Heat firmato Riley è stato sufficientemente mediatico, ed epico per conseguenze dinastiche (quattro Finals consecutive), per gli Spurs è necessario indagare più a fondo prima di capire la loro svolta della stagione 2010-2011.

San Antonio si presentò in sordina all’esordio di quel campionato: mentre i media vivisezionavano qualunque alito di vento soffiasse a Miami, gli Spurs avevano come unica novità l’arrivo del rookie Splitter ed era già scontata a priori la loro tredicesima partecipazione consecutiva alla post-season, così come erano tredici le stagioni che Popovich iniziava da head coach sulla panca Spurs.

Dopo la cocente eliminazione, nei playoff precedenti, per 4-0 al secondo turno da parte dei Suns di Gentry, si iniziava a prevedere un declino fisiologico degli Spurs: era svanita la propizia fortuna delle “annate dispari”, Duncan e Ginobili avevano varcato i 30 già da un po’ e i Suns avevano di fatto tolto il fiato agli Spurs, umiliandoli nella serie con un Offensive Rating di 115 e bombardandoli da tre con il 46%, insaccando più di 10 triple a partita. Tuttavia, perdere quella serie, in quel modo, ha probabilmente illuminato la mente di coach Pop.

Nella stagione 2010-2011 gli Spurs hanno infatti impostato una rivoluzione tattica paragonabile a quella coeva degli Heat, solo che a San Antonio non erano cambiati gli interpreti, ma solo il modo di dirigere l’orchestra.

Ecco qual’è stato il nuovo spartito Spurs, scritto e diretto da Pop e il suo staff:
Duncan per la prima volta in carriera gioca meno di 30 minuti per gara (28 e mezzo; il “tanking atletico” diventa un’arte), è terzo per Usg%, dietro a Parker e Ginobili, ed i suoi 13,4 punti sono il career-low;
– per la prima volta con coach Pop, la media possessi Spurs è leggermente sopra quella della lega ed oltrepassa quota 92 (crescerà ulteriormente negli anni seguenti); la prima conseguenza è che l’Offensive Rating, con Pop in panchina, non era mai stato così sopra la media della lega (+4,5, diventerà +6,3 l’anno dopo);
– per la prima volta, gli Spurs toccano e superano le 20 triple tentate a partita (21,1), risultando nondimeno la squadra più precisa, con un maestoso 39,7%.

Quell’anno furono eliminati al primo turno 4-2 dai Grizzlies, mentre Riley vinceva l’Executive of the year (e gli Heat perderanno le prime Finals del ciclo).

L’anno dopo Pop sarà Coach of the year e gli Heat vinceranno il titolo.
L’annata seguente, Spurs e Heat si fronteggeranno per sette gare nelle Finals.

Quattro stagioni dopo, oggi, gli Spurs hanno concluso una regular season in cui nessun giocatore ha toccato i 30 minuti di media, nessun giocatore supera i 17 punti, ma la squadra è risultata prima per rapporto assist/possessi, prima per rapporto punti fatti/subiti (su 100 possessi) e prima per percentuale da tre (39,7%, ironia del destino: come nel 2010-2011).

Gli Spurs sono così giunti alla seconda finale consecutiva (stavolta con il fattore campo), avendo dimostrato che si può giocare bene, “giocare bello” e vincere, senza un top scorer né un pretendente Mvp, senza rivoluzionare un roster che ha già vinto (ma tassellandolo con pazienza e maestria), fidandosi di un coach che senza cambiare squadra ha saputo cambiare stile di gioco. Notevole.

 

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