22 novembre 2013 e 28 aprile 2012. Cosa accomuna queste due date distanti appena un anno e mezzo?
Ebbene sì, coincidono entrambe con la fine virtuale dei sogni di gloria dei Chicago Bulls, incentrata sull’infortunio della loro stella, quel Derrick Rose natio della Windy City, che come un profeta in patria, aveva riportato in auge un nome molto in voga negli anni ’90.
Era proprio dai tempi in cui Sua Maestà Michael Jordan decise di appendere momentaneamente le scarpe al chiodo (il dopo lo sappiamo tutti), che la franchigia dell’Illinois non viveva un periodo così florido. I primi anni del post-Jordan furono terribili, con scelte sbagliate da parte della dirigenza, coach senza il ben che minimo carisma o appeal (non che il vincente predecessore avesse lasciato una facile eredità) e giocatori alquanto svogliati.
Ora, però, con l’ennesimo crack subito dal ginocchio (più precisamente menisco) del celebrato numero 1, la situazione in casa dei Tori rischia di incrinarsi notevolmente. Non solo Derrick era tornato in campo dopo una stagione di stop, non solo aveva commosso mezzo mondo cestistico con le sue parole dedicate al duro lavoro che ha svolto e stava svolgendo per tornare al top, ma aveva la voglia e la dedizione per cercare di puntare nuovamente al titolo che a Chicago manca dal 1998.
Non è passato troppo tempo, ma per una città abituata al successo (basti pensare ai Blackhawks nell’hockey) rappresenta davvero un’eternità e le speranze si sono interrotte anche quest’anno, in una buia e fredda serata di Portland, Oregon.
Il venticinquenne play si è subito sottoposto ad un operazione per riparare il danno avvenuto in quella parte tanto delicata del corpo, troppo importante per non essere sollecitata in uno sport come questo.
Sin dalla pre-season, però, a detta di molti, si è avuta come l’impressione che l’MVP 2011 stesse spingendo un po’ troppo sull’acceleratore e che il suo gioco fosse tornato con eccessiva fretta a quello a cui eravamo abituati prima della fatidica data da cui è cominciato il suo inferno. Ora, non si vuol dare la colpa a lui o a chiunque altro. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento e in qualsiasi frangente di gioco e quando il fato ci si mette di mezzo c’è ben poco da fare.
Ma perché la stagione dei Bulls, o meglio, le speranze di contendere il titolo agli odiati Miami Heat, sono svanite in quella partita di una decina di giorni fa?
Lo scorso anno Chicago aveva iniziato la stagione impostando il proprio gioco senza la presenza di Rose. Avevano avuto l’opportunità di lavorare sulla sua assenza sin dal training camp e giocatori quali Kirk Hinrich e Nate Robinson lo avevano sostituito più che egregiamente, guidando la squadra fino alle semifinali di conference. Quest’anno le cose sono state impostate diversamente.
Mettendo in preventivo che l’originario del South Side si sarebbe riappropriato del suo posto, il GM Gar Forman ha deciso di lasciar andare via due protagonisti della stagione passata, cioè Marco Belinelli e lo stesso Robinson. Due guardie che avevano fatto molto comodo durante la convalescenza di Rose, sono state liberate come si fa con le colombe a Pasqua. Nulla da obiettare, fino all’incidente in questione che ha ovviamente (viva le malelingue) messo in dubbio l’operato di Forman, reo di essersi fidato troppo delle condizioni fisiche della point guard, scoprendo troppo il reparto.
Troppo facile parlare con il senno di poi e Gar ha soltanto confidato sull’eventualità e la probabilità che non sarebbe più potuto succedere un evento così provante per la sua squadra. Ma i numeri e le statistiche funzionano fino ad un certo punto, almeno fino a quando subentra la sfortuna più nera, sì perché questa è l’unica spiegazione a quanto avvenuto.
Adesso la situazione è spiacevole, per non dire drammatica. Coach Thibodeau si trova con il solo capitano Kirk in cabina di regia, almeno per quanto riguarda la sicurezza e l’esperienza. Dietro di lui ci sarebbe Marquis Teague, ma l’ex Kentucky ha solamente vent’anni e lanciarlo in quintetto significherebbe esporsi a troppi rischi. Ha fatto vedere buone cose da quando è apparso nella lega, ma non bastano per affidargli il compito di guidare una squadra ambiziosa come i Bulls verso la post-season.
La mazzata è inoltre arrivata nel momento in cui Chicago stava trovando una giusta quadratura con cinque vittorie consecutive, prima della caduta in quel di Denver. Dopo un anno e mezzo privi di Rose, è normale che ci volesse del tempo prima di riadattarsi alla tipologia di giocatore da lui rappresentata. Niente più ball sharing, ma palla a Derrick che poi si inventerà qualcosa, proprio come ai “vecchi” tempi. Questo assetto da ritorno al passato non ha avuto una lunga durata e il coaching staff ha dovuto subito trovare una soluzione differente.
In queste prime partite senza di lui si è immediatamente sentita la mancanza di un accentratore di gioco, di un realizzatore che regalasse qualità offensiva. Senza nemmeno più Robinson e Belinelli a levare un minimo di castagne dal fuoco nella metà campo avversaria, i Tori si sono trovati saldamente presi per le corna, tanto che è Luol Deng ad essere diventato il miglior marcatore.
L’impatto psicologico, poi, ha decisamente inciso sulle prestazioni. Basti pensare alla partita successiva all’infortunio, in cui sono stati completamente surclassati dai Clippers o a quella dopo ancora contro i Jazz, la peggiore squadra della lega, tanto per intenderci. La lunga serie di trasferte – dovuta alla presenza del solito circo allo United Center – è arrivata proprio nel momento meno indicato. Ora bisognerà vedere quanto cambierà nelle prossime gare casalinghe e quanto potrà contare l’apporto del pubblico in una situazione così difficile.
La stagione dei Bulls ha, quindi, preso una direzione inaspettata e repentina. Si è stravolto immediatamente ogni piano e le ambizioni si sono ridimensionate a quelle della scorsa stagione.
Sotto canestro rimangono sempre un fattore, con tre lunghi da rotazione davvero efficaci in entrambe le zone del parquet, ma il problema è dietro. Rose garantiva sicurezza al back court, ora la lacuna è davvero pesante e non si potrà fare molto se non intervenire sul mercato, anche se la dirigenza ha fatto sapere che non ne ha nessuna intenzione.
Insomma, tutto appare un’incognita e da qui ad aprile è molto, molto lunga.
Scrive per playitusa dal 2012. Esperto di NBA, NHL ed MLB.
https://twitter.com/NikLippolis
One thought on “I Bulls ancora orfani di Rose”