New York Knickerbockers, ovvero dello psicodramma di una franchigia che si sentiva pronta per puntare al titolo e che invece rischia di sprofondare nell’ennesimo baratro della sua storia recente.

Un’annata iniziata con proclami e squilli di tromba, peraltro legittimati dall’ultima regular season conclusa al secondo posto della Eastern Conference e da un monte salari da capogiro, è giunta al rettilineo finale avendo ormai assunto i contorni di una Caporetto newyorchese.

Un’annata partita con un piede che più sbagliato che non si poteva, sprofondando inizialmente con i cugini dei Nets che, a differenza dei bianco-arancio, sono riusciti a trovare la quadratura e a rilanciarsi come possibile mina vagante nei playoff, lasciando ai Knicks il non invidiabile ruolo di pecora nera della Grande Mela.

Vero, nel mese di marzo coach Woodson è finalmente riuscito a riportare dignità e vittorie dalle parti del Madison Square Garden (nelle ultime 17 partite giocate il bilancio parla di 12 vittorie e 5 sconfitte), ma il buon momento dei Knicks sembra essere arrivato decisamente troppo tardi.

Il crollo verticale degli Hawks ha riaperto la lotta per l’ottava posizione a Est, l’ultima utile per i playoff, ma la situazione attuale di classifica rende la corsa dei newyorchesi una vera e propria impresa: Atlanta ha una partita di vantaggio nella colonna delle vittorie e due partite in più da giocare.

Non solo, ma con la clamorosa vittoria ottenuta sul parquet di Indiana (e la contemporanea sconfitta di misura dei Knicks in quel di Miami) gli Hawks hanno messo una seria ipoteca sulla partecipazione alla postseason: la squadra di coach Brown ha un calendario abbordabile, con tre delle ultime sei gare da giocare contro squadre dal record perdente e ormai proiettate alla prossima stagione.

Per continuare ad alimentare la flebile fiamma della speranza nei playoff, i Knicks saranno chiamati a fare bottino pieno nelle ultime quattro gare della loro stagione: impresa non facile, considerato il valore degli avversari (New York affronterà due volte i Raptors, Chicago e Brooklyn).

Qualora i Knicks riuscissero in un filotto apparentemente proibitivo, agli Hawks basterebbe comunque portare a casa tre vittorie: in caso di arrivo in parità il tie breaker sorriderebbe alla franchigia della Georgia, che a parità di scontri diretti resterebbe comunque davanti in virtù del miglior bilancio nelle partite contro avversari della Conference di appartenenza.

Servirebbe un miracolo a ‘Melo e compagni, e i mancati playoff sarebbero il “coronamento” del fallimento dei Knicks, che passerebbero da una stagione da 54 vittorie a un’annata disastrosa su tutta la linea.

La miglior notizia per il futuro della franchigia potrebbe essere arrivata il 18 marzo scorso: in una conferenza stampa annunciata in pompa magna, i Knicks hanno infatti presentato il nuovo presidente della franchigia, carica che per i prossimi cinque anni sarà ricoperta da un certo Phil Jackson.

Il Maestro Zen ha scelto di tornare alle origini, tornando dove tutto era cominciato con una brillante carriera da giocatore coincisa con gli unici due titoli conquistati dai Knicks.

Jackson ha scelto (lautamente ricompensato, ça va sans dire) di vestire i panni del salvatore della patria; un’impresa che si annuncia proibitiva anche per chi, come lui, è poco avvezzo alla parola sconfitta.

Jackson porta certezze e garanzie in un futuro nel quale i punti fermi sono davvero pochi: la sua figura simboleggia l’ambizione della franchigia, unita al senso di appartenenza di uno degli eroi vincenti con la canotta dei Knicks e a un’attitudine al successo senza eguali.

Ma il vecchio Phil non dispone di bacchetta magica, e per i miracoli non è ancora attrezzato: se sono pochi i dubbi sul fatto che riuscirà a dimostrare, dietro la scrivania, lo stesso talento messo in mostra da giocatore e da coach, è però altrettanto pacifico che i nodi da sciogliere sono molti, e tutti alquanto intricati.

In primis, New York non potrà consolarsi del fallimento stagionale nemmeno con un possibile colpo di fortuna in sede di Draft: i Knicks si sono infatti privati di gran parte delle loro future scelte (e di tutte quelle relative al Draft 2014) nei vari scambi coi quali è stato assemblato il roster attuale.

Non una grande mossa, ovviamente col senno di poi, visto che il futuro della franchigia sembra essere a dir poco nebuloso: l’età media è tra le più alte della lega (28.4 anni, sesto dato assoluto) e molti dei veterani sembrano aver già oltrepassato i migliori anni delle rispettive carriere.

A completare il quadro troviamo una situazione salariale quanto mai complessa, che vede i Knicks praticamente ammanettati almeno per quanto riguarda la prossima stagione: con 89 milioni di dollari quello dei Knicks è il secondo monte salari più alto della Nba, battuto solo dalle follie di Mr.Prokhorov che si è spinto oltre quota cento per realizzare le mire di grandezza attraverso i suoi Nets.

Che il giocatore più pagato sia Amar’e Stoudemire, autore di una discreta seconda parte di stagione ma ormai lontano parente del giocatore che mangiava il ferro con la maglia dei Suns e che nella prima stagione a New York scriveva 25 punti e 8 rimbalzi ad allacciata di scarpe, è il segnale della complessità della gestione del futuro prossimo della franchigia.

Ma non è finita qua, perché in tutto questo tourbillon di milioni e prospettive i Knicks corrono il forte rischio di perdere una delle loro rare speranze per un rilancio vincente: Carmelo Anthony, volto della franchigia che fu letteralmente smantellata l’edizione 2010-2011 dei Knicks (squadra che più d’antoniana non si poteva e che era riuscita a riportare la franchigia ad un record vincente con Stoudemire in versione go-to-guy e il trio Gallinari-W. Chandler-Felton a fare da supporting cast di successo) pur di vestirlo di bianco-arancio, ha infatti a disposizione una early termination option per uscire dal suo ricco contratto con un anno di anticipo ed esplorare il mercato dei free agent.

Anche Stoudemire e Bargnani avrebbero la stessa possibilità, ma è praticamente impossibile che i due rinuncino a un ultimo anno quanto mai ricco (più di 23 milioni Stat, 11 abbondanti per il Mago).

Per Anthony invece la questione è molto diversa: ‘Melo si troverà davanti ad un’estate di scelte importanti, che vedranno da un lato un contratto più lungo e remunerativo col quale legherebbe il suo volto a quello di una piazza inimitabile per molti aspetti (l’offerta che possono mettere sul piatto i Knicks) contrapposto alla possibilità di rinunciare a qualche dollaro (relativamente parlando, si intende) per trasferirsi in una franchigia che gli permetta di competere immediatamente per il titolo (Chicago? Houston?).

Anthony, insieme a Paul e Howard, è rimasto uno dei fenomeni della sua generazione ancora senza un anello al dito; ‘Melo si appresta a compiere trent’anni, e sa che il tempo non aspetta.

E proprio il tempo rischia di essere uno dei fattori dominanti nella sua decisione: è difficile immaginare dei Knicks già competitivi per l’anello nella prossima stagione, con un roster che (a meno di trade al momento poco appetibili per la maggior parte delle altre franchige) rimarrà pressoché invariato rispetto a quello che nelle ultime due stagioni ha palesato tutti i suoi limiti.

Jackson e la dirigenza newyorchese potranno avere maggiori margini di manovra nell’estate 2015, che si annuncia interessante guardando ai possibili nomi in scadenza di contratto, ma non è detto che Anthony sia disposto a sprecare uno degli anni della piena maturità agonistica aspettando che la squadra torni a essere competitiva per lottare ai vertici della Nba.

Solitamente vige la regola del “chi rompe paga, e i cocci sono i suoi”: Phil Jackson dovrà armarsi di pazienza e spendere ogni briciola del suo carisma e della sua visione illuminata per ricostruire sulle macerie dell’ennesimo disastro bianco-arancio.

Ci sarà ‘Melo ad aiutarlo col suo talento in campo e magari con l’ascendente su altre stelle grazie al quale gli Heat (per citare un esempio tanto lampante quanto recente) sono riusciti a diventare grandissimi nelle ultime stagioni?

Lo scopriremo presto, ricordandoci di una frase detta da Spike Lee proprio con riferimento ai suoi amati Knicks in uno spot in onda nella passata stagione: “You never know who’s gonna wear the crown next”.

 

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