Conveniamo che sia alquanto strano intitolare un post con la parola problemi relazionandolo ad un reparto guidato da un fantastico giocatore come Andrew Luck, tuttavia le indicazioni che stanno fornendo le ultime uscite dei Colts fanno riflettere, e si finisce per concentrarsi sui possibili aggiustamenti che un attacco già guidato da una superstar in erba potrebbe mettere a punto per migliorare i propri risultati. Ed è altrettanto strano disquisire degli aspetti negativi di una squadra stabilmente in vetta alla propria division, la Afc South, praticamente già ipotecata con diverse giornate di anticipo grazie alla recente vittoria contro Tennessee, che con un bilancio di 7 vittorie e 3 sconfitte sta giocando per tenere intatte le speranze di potersi disputare una gara di playoffs in casa e, perché no, magari trascorrere una settimana di pausa in più (ad oggi il seed è il numero due) ed entrare in campo direttamente nella seconda tornata di postseason.
Ma i problemi sono reali, ci sono sul serio. Se i Colts desiderano percorrere più strada rispetto al già ottimo anno scorso ed essere pericolosi nella corsa al Super Bowl, vi sono due aspetti fondamentali la migliorare. Vediamoli.
La crisi dei primi tempi
Ultimamente sembra che Indianapolis sia una squadra dai due volti, un aspetto incomprensibile se si dà una rapida occhiata alla prima parte del calendario. E’ sempre la stessa squadra che ha dominato i 49ers in tempi insospettabili, ovvero quando San Francisco sembrava la stessa squadra dominante dell’anno prima, che ha battuto Seattle e tutt’oggi è ancora l’unica franchigia ad esservi riuscita nel 2013, nonché la sola ad aver imposto una battuta d’arresto ai Denver Broncos, un trio di prove straordinarie che oltre ad aver consentito a Luck di battere una fetta consistente di passato direttamente o indirettamente a lui relazionata (Jim Harbaugh, Peyton Manning), aveva quasi imposto i Colts quali partecipanti in prima fila nel concorrere per il biglietto magico per il MetLife Stadium di New York, e cosa ci si va a fare in quel posto quest’anno oramai lo sappiamo tutti.
I numeri, però, parlano fin troppo chiaramente, e ci raccontano di una squadra che nei primi trenta minuti ha delle enormi difficoltà nel tenere il risultato. Dopo Denver, la crisi. 21-3 contro Houston, 38-0 contro i Rams, 14-0 contro i Titans. D’accordo, la forza di una squadra sta soprattutto nel saper rimontare, e qui vengono d’aiuto le scorribande aeree organizzate da Luck e T.Y. Hilton contro Houston – squadra però da 2-8 – nonché la grande prova di forza messa in atto contro Tennessee, soverchiata da un protagonista inatteso come Donald Brown (che ritroveremo anche nella seconda parte dell’articolo), ma considerando il fatto che le tre franchigie citate sono tutt’ora in possesso di un record perdente, che cosa mai accadrebbe se questo trend dovesse ripetersi anche nei playoffs, quando nessuno è disposto a perdonarti dalle cattive partenze? Sotto quale valanga di punti potrebbero essere potenzialmente messi i Colts contro Denver o una New England che sta recuperando il proprio gioco aereo grazie all’asse Gronk-Brady, in una gara senza domani che venisse interpretata allo stesso modo della disfatta contro St. Louis?
Restiamo convinti che un team in grado di schierare Andrew Luck a roster abbia sempre e comunque le possibilità per vincere qualsiasi partita, ma i playoffs sono di un’altra pasta rispetto alla regular season, e molti altri grossi calibri simili al grande prospetto da Stanford hanno pagato dazio in passato, ed in quel di Indianapolis tutto vogliono vedere eccetto una (nuova) serie di uscite precoci dai playoffs dopo delle stagioni regolari giocate alla grande.
Va sottolineato che non aiuta il fatto di non poter disporre più del miglior ricevitore di squadra, quel Reggie Wayne che troppo facilmente era stato dato per finito, e che si è invece dimostrato un traghettatore ideale tra le diverse epoche, Manning prima e Luck poi, facendosi sempre trovare con la medesima puntualità di un tempo quale punto di riferimento per qualsiasi regista si fosse messo sotto il centro, dimostrando grande dedizione, longevità e leadership. Oggi Wayne sta affrontando il processo di rieducazione dopo la rottura del crociato anteriore, che per un giocatore di 35 anni può essere letale dal punto di vista della continuità della carriera ad alti livelli.
Come è vero questo, è vero anche che una grande squadra deve trovare delle alternative alle perdite ed essere sempre profonda dove serve, ed i Colts sperano fortemente che la connessione tra Luck e Hilton continui ad essere di prima qualità, e che giocatori molto attesi come Coby Fleener, autore di un’ottima prestazione contro i Titans, facciano finalmente quel passo in avanti che le loro potenzialità consentono loro tranquillamente di poter fare.
Il gioco di corse ed il problema Richardson
Un bel mattino tutti ci siamo alzati sobbalzando alla lettura della notizia che i Cleveland Browns avevano deciso di disfarsi di una delle loro prime scelte più recenti, e che i Colts avevano inversamente acconsentito all’investimento del loro primo pick 2014 per ricevere un noto ex running back di Alabama in cambio.
Premesso che poche partite non sono un campione sufficiente per poter esprimere un giudizio definitivo su una trade, è comunque evidente che qualcosa non stia funzionando nel gioco di corse di Indianapolis, quando invece c’è estremo bisogno che questo torni ad essere un aspetto attraverso il quale minacciare le difese in vista dei playoffs, quando correre il pallone può aiutare a decidere l’andamento di una partita. Se vogliamo questo aspetto è fortemente relazionato al capitolo precedente, in quanto quando una squadra diventa offensivamente mono-dimensionale significa che diventa limitata nelle sue possibilità di attaccare, e che quindi la difesa avversaria sa meglio dove poter intervenire e che cosa fare prima dello snap. Molti degli svantaggi di quei famosi primi tempi sono arrivati per la mancanza di produzione del gioco a terra, e per le eccessive forzature cui Luck è stato sottoposto.
Trent Richardson è sotto stretta osservazione, in quanto è bloccato a 2.8 yards di media per portata, la corsa più lunga che ha effettuato in maglia blu è stata di 8 yards, e, al di là dei numeri, non è un fattore nel reparto offensivo in questo momento così come lo è stato Donald Brown contro Tennessee. Non è solo un problema di cifre (Brown corre con 5.9 yards di media a portata), il fatto grave per Richardson è che Indianapolis, cavalcando Brown per il secondo tempo della sfida-chiave contro i Titans, ha girato la gara e vinto proprio per merito di quella decisione. Per quanta pazienza coach Pagano abbia dichiarato di avere nei confronti dello sviluppo del gioco di Richardson e per quanto convinto sia che il giovane running back troverà presto la sua dimensione, le gare sinora giocate ci raccontano di un giocatore spesso inchiodato alla linea di scrimmage, privo di movimenti significativi per creare il primo distacco dal placcatore, e non sufficientemente esplosivo per correre al di fuori dalla delimitazione dei tackle, laddove invece Brown ha fatto disastri (positivi, s’intende) nel confronto di giovedì scorso.
Sulla carta le idee secondo le quali la trade è stata eseguita non fanno una grinza, un attacco già potente a livello aereo doveva essere contro-bilanciato da un gioco di corse in grado di andare dritto e forte e di fornire un modo secondario di vincere le partite ad una squadra non necessariamente costretta ad usare il suo grande quarterback per tutto il tempo, peraltro mettendo sul piatto di Brown in un ruolo a lui congeniale, quello del running back part-time in grado di fornire quella minaccia in più data dal maggiore bagaglio atletico e dalla capacità di ricevere fuori dal backfield.
E’ chiaro che Pagano e Grigson, il GM di Indy, l’abbiano pensata molto bene, ma i fatti dicono che il rendimento offensivo a terra è ancora lontano dai progetti che hanno portato a questo scambio. Ed il tempo per aggiustare il tutto prima delle battaglie “win or go home” sta cominciando a scadere…
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.